domenica 30 dicembre 2007

Pillole di Storia

Il poco tempo a disposizione mi impedisce di sviscerare molti argomenti interessanti, propongo quindi 3 temi di storia, per stimolare la curiosità dei lettori, che magari decideranno di approfondire quello che ritengono più meritevole.

Il primo argomento riguarda il Pakistan e le origini della presenza islamica nel subcontinente indiano. La prima spedizione è datata 644 d.C., si deve essere trattato di una missione di carattere esplorativo ed i territori visitati non devono aver impressionato gli Arabi che, per alcuni decenni, non vi faranno ritorno; questo è il resoconto che riportano le fonti: “l’acqua è poca, la frutta scadente, i predoni audaci; se si mandano truppe scarse verranno trucidate, se ingenti moriranno di fame”. Si tratta di una descrizione fedele dei territori desertici del Sind, dove anche Alessandro Magno, di ritorno dall’India, perse quasi tutto il suo esercito.
Ma l’espansione degli Arabi era troppo forte e le rotte verso l’India troppo preziose per essere disturbate dai pirati alle foci dell’Indo. Nel 711 il governatore Ommayade dell’Iraq armò una spedizione guidata da Muhammad bin Qasim che conquistò il Sind e pose la propria residenza a Brahmanabad.
La porta per il cuore dell’India è però molto più a nord al confine con l’attuale Afghanistan e da lì che nei secoli sono passati numerosissimi conquistatori. Già nel 724 la Valle dell’Indo fino a Multan venne sottoposta ad un governatore arabo. Furono però i Turchi, che dall’Asia Centrale avevano preso possesso di numerosi territori islamici, a penetrare profondamente nei territori indiani, dapprima con incursioni che avevano lo scopo di razziare, successivamente occupando stabilmente i territori. Il primo di questi conquistatori fu Mahmud di Ghazni che nel 997 devastò il Punjab. Vi ritornerà per altre sedici volte seminando distruzione e morte. Fu poi la volta dei Turchi Ghuridi che nel 1186 conquistarono Lahore e nel 1193 Delhi, dove il sultano Muhamad di Ghur lasciò il proprio luogotenente Qutb-ad-Din Aibak a consolidarne il possesso, fu quest’ultimo nel 1206 a proclamarsi sultano di Dehli, dando inizio ad una presenza definiva del potere islamico in India.


Facendo un salto spaziale e temporale passiamo alla grande varietà di entità “statali” che incontriamo in Medio Oriente intorno al XXV e XXVI secolo a.C.
L’epoca, che ricolleghiamo alla IV dinastia egiziana, quella di Cheope e delle grandi piramidi di Giza, vede molte realtà avanzate anche nel polo mesopotamico ed in quello siriano.
Le principale sono: Kish con il sovrano Mesalima; Ur con Mesanepada, Meskiagnuna, Balulu; Lagash con Enkhengal, Urnanse, Akurgal, Eannatum, Eannatum II, Lugalanda, Urukagina; Umma con Us, Enakale, Urlumma, Lugalzagesi ed altri centri ancora come Accad, Hamazi e soprattutto Ebla con la sua particolare istituzione delle regine madri (su cui esistono pareri discordi e che curiosamente non viene mai citato come esempio di antico matriarcato, soppiantato dall’egemonia maschile) e del conteggio dei regni.


Ultima pillola l’episodio di guerra asimmetrica (diremmo oggi) che coinvolse i persiani contro gli Sciti. L’imperatore persiano Dario voleva impossessarsi dei territori abitati dagli Sciti. Questo popolo, che tra l’altro parlava una lingua imparentata con l’iranico, viveva ancora in modo seminomade, reagì di fronte all’invasione persiana rifiutando lo scontro diretto, ma piuttosto con rapidi attacchi ed altrettanto rapide ritirate, sfruttando la propria abilità di cavalieri e di arcieri. Esasperato dal prolungarsi della campagna Dario inviava ambasciate in cui chiedeva o la sottomissione o la battaglia, ma invano. Fino a quando il re scita Idantirso mandò un messaggero che portava dei doni: un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. Dario interpretò i doni come una volontà di sottomissione, ma il suo consigliere Gobria capì il vero senso, gli Sciti volevano dire: “Se voi, Persiani, non diventate uccelli e volate in cielo, o non diventate topi e andate sotto terra, o rane e saltate nelle paludi, sarete colpiti da queste frecce e non tornerete mai in patria.”
I Persiani si ritirarono e continuarono a regnare sui popoli sedentari, gli Sciti continuarono a vivere nei loro territori, prima di essere sommersi da migrazioni di altri popoli della steppa euroasiatica.

sabato 29 dicembre 2007

Sempre libri

Man mano che faccio ordine e metto via i miei libri, ve li propongo con relative stellette di giudizio. Ecco i consigli di lettura di oggi:

Mario Liverani - Le Civiltà Mesopotamiche
****
Domenico Musti - La Grecia Classica
***
Indro Montanelli - Storia di Roma
***
Vittorio Di Cesare - Gli Aborigeni australiani
**
Mario Polia - Gli Indios dell'Amazzonia
***
Guido Luigi Buffo - L'Aikido
***
Marilia Albanese - Lo Yoga
***
Francesco Cossiga - Abecedario
***
Murray Newton Rothbard - Diritto, natura e ragione
***
Albert Speer - Memorie del Terzo Reich
***
Lao Petrilli - Embedded
****
Romano Canosa, Isabella Colonnello - Spionaggio a Palermo
**
Desmond Morris - L'occhio nudo
***
Giovanni Tabacco, Grado Merlo - Il Medioevo
**
Heinrich Fichtenau - L'Età di Carlo Magno
***
Mario Attilio Levi - Adriano
**
Leonardo Maugeri - L'era del petrolio
****
Michael Prawdin - Gengis Khan
*****
Eric John Hobsbawm - L'Età della Rivoluzione
***
Denis Mack Smith - Il Risorgimento italiano
***
Denis Mack Smith - Garibaldi
****
Tucidide - La Guerra del Peloponneso
*****
Senofonte - Anabasi
*****
Osho - Yoga: la scienza dell'anima
***
Massimo Campanini - Il Corano e la sua interpretazione
**
Franz Herre - Metternich
**
Guglielmo Ferrero - Il Congresso di Vienna
***
Tim Severin - Il Vichingo
**
Brad Meltzer - I milionari
***
Cavalli Sforza, Menozzi, Piazza - Storia e Geografia dei geni umani
*****
Giordano Bruno Guerri - Antistoria degli italiani
*****
Niccolò Machiavelli - Il Principe
*****
Conrad - Tifone
***
Erasmo da Rotterdam - Elogio della follia
***
Edward Luttwak - La grande strategia dell'Impero Romano
*****
Bruno Vespa - L'Italia spezzata
****
Alida Alabiso - I Samurai
**
Robert Ogilvie, Michael Crawford - Roma dalle origini all'età repubblicana
***
Nicolas Grimal - L'antico Egitto
****
Paul Jordan - Neandertal, l'origine dell'uomo
****
Herbert Wilhelmy - La civiltà dei Maya
***
Matteo Sanfilippo - Historic Park. La Storia e il cinema
****

domenica 23 dicembre 2007

I film peggiori che abbia mai visto

Quando giudico un libro assegnandogli le stellette evito di mettere quelli che considero illeggibili o da stroncare senza pietà, perché considero un libro un’opera personale. Preferisco citare solo quelli che meritano di essere letti. Il fatto che io non lo apprezzi può dipendere da molti fattori, magari non mi interessa l’argomento, oppure lo stile di scrittura mi è ostico, semplicemente non ho la preparazione adeguata per poter seguire alcuni ragionamenti o valutare alcune nozioni, insomma tendo ad essere indulgente e poi prima di acquistare un libro ti puoi documentare, ti leggi l’indice e se lo compri in libreria puoi sfogliarlo, leggere qualche riga.
Invece sui film sono più drastico: intanto un film è un’opera cui concorrono molte persone e quindi mi urta maggiormente il fatto che in tanti non si rendono conto della boiata pazzesca che stanno producendo. Poi i film vengono pubblicizzati con brevi trailer che ti possono trarre abilmente in inganno.
Ci tengo quindi a fare questa classifica dei film peggiori che io abbia mai visto:

1 – The Avengers. Il peggiore in assoluto. La povera Uma Thurman e Ralph Fiennes in un’opera che non si capisce se è una parodia o no, comunque se lo è non fa ridere. E’ talmente brutto che mi viene il dubbio di non averlo mai visto ma di aver fatto un incubo in cui sognavo di vederlo.

2 – Tom Raider. Angelina Jolie viene sempre bene ed anche nei panni di Lara Croft fa la sua figura. Detto questo, aggiungo però: peccato che il mio cane non sappia parlare, altrimenti poteva suggerire almeno qualche idea prima di iniziare a girare. Un fermo immagine di Angelina di un’ora e mezza sarebbe stato meglio.

3 – Signs. Dopo la mezza boiata di Unbreakable dovevo presagire il peggio, ma non so come mai ci sono cascato. Come è possibile che sia lo stesso regista de “Il sesto senso”? O si è bruciato il cervello, oppure si voleva divertire a prenderci per il culo. Fatto sta che Signs parte anche discretamente bene, ma come molti film, dopo un buon inizio non sa dove andare a parare e, non avendo il coraggio di mandare a casa il pubblico dopo il primo tempo, rovina tutto. Per onestà devo dire che al cinema c’erano molti che si sbellicavano letteralmente dalle risate, soprattutto alla scena della carta stagnola in testa, non so se si aspettavano un film comico, ma un po’ di divertimento l’hanno avuto.

4 – Il quinto elemento. Anche in questo caso come potevo evitare la trappola? Non pretendo che Luc Besson faccia tutti film belli come Leon, ma insomma questo polpettone, non me l’aspettavo.
Milla Jovovich è l’unica del cast che sembra crederci e si impegna, si vede che era proprio innamorata…. Dopo aver visto l’esito decide di divorziare.

5 - Alien 4 - Qui ho proprio il dente avvelenato. Dovete capirmi, per me Alien è uno dei migliori film di sempre e questo già sarebbe sufficiente, ma c’è di peggio: normalmente i sequel non sono mai all’altezza del primo episodio, capita invece che il seguito (Alien 2) sia un ottimo film, del resto Cameron non è l’ultimo arrivato. Lo stesso Alien³ senza pretendere di inventare nulla, mantiene il canovaccio e si lascia guardare piacevolmente. Invece questo Jean Pierre Jeunet si permette di stravolgere l’atmosfera della serie, mettendo in piedi una storia tra il surreale ed il grottesco, tirando fuori un prodotto né carne né pesce, personaggi senza un minimo di spessore e scene francamente fuori luogo. Essendo per natura capace solo di perdonare gli amici, agli altri riservo rancori eterni, per cui mi ero ripromesso di boicottare per sempre qualunque altra produzione di questo regista. Sotto minaccia e ricatto da parte della fidanzata dovetti recarmi a vedere la storia di Amelie, del quale devo ammettere che sia un buon film, quindi caro Jean Pierre mantieniti su quel tipo di storielle e non deturpare le serie di altri generi.

Doverosa precisazione: questa piccola carrellata degli orrori comprende tutti film di fantascienza, ma questo non deve trarre in inganno. Proprio perché è uno dei miei generi preferiti, che me la prendo a male quando vedo una produzione inguardabile.
Infatti alcuni film di fantascienza sono tra i miei preferiti in assoluto: L’esercito delle 12 scimmie; Blade runner; Minority Report; Matrix (questo è un buon esempio di sequel che era meglio si risparmiassero); Gattaca; Terminator; Starship Troopers, Strange days.

sabato 22 dicembre 2007

Commento all'esilarante articolo di Barbara Spinelli

L’articolo “La festa è finita” di Barbara Spinelli, pubblicato il 16 dicembre su “La Stampa” è talmente ricco di spunti divertenti che non posso non citarne qualcuno.
La Spinelli chiarisce subito il tono esordendo così: “L’internazionalizzazione dei mercati ci sta accanto come uno spettro (e fin qui niente da dire, ognuno ha i suoi incubi) cui non sappiamo ancora dare un nome perché il suo volto è ambiguo…””la globalizzazione promette ai poveri l’uscita dalla miseria, e ai ricchi promette ottimi affari di alcuni industriali ma un impoverimento generale della società”. Ora, che la globalizzazione sia un fantasma non saprei dire, di sicuro io non l’ho mai sentita parlare ai poveri, comunque se anche fosse, diciamo che negli ultimi 10 anni a qualche centinaio di milioni di asiatici la promessa l’ha mantenuta; non sarà il massimo, ma come mantenimento delle promesse è già molto di più dei nostri politici. Quanto all’impoverimento della società si riferisce alla nostra, perché se vai in Germania, o in Spagna, o in Gran Bretagna, per non parlare dell’Irlanda o della Danimarca di questo impoverimento non è che se ne vede molto.

“Se continua lo scioglimento dei ghiacci antartici e della Groenlandia scompaiono Londra, New York, Miami, Olanda, Bangladesh, Venezia” come spot per il Mose non è male, peccato che non risulta che i ghiacci antartici si stiano sciogliendo, casomai si stanno sciogliendo quelli artici, che però essendo già dentro l’acqua oceanica non ne provocano l’innalzamento. Comunque a New York non ci sono mai stato e se il ghiaccio della Groenlandia sciolto la sommerge la cosa mi preoccupa, bisogna fare qualcosa; vediamo cosa suggerisce Barbara Spinelli: “urge tagliare l’% del PIL mondiale, per decenni”: una ricetta geniale, ma dico io perché diluire nei decenni, tagliamolo subito di un 50% e non se ne parla più. In effetti questo tipo di soluzione ha solo una piccola controindicazione, con un livello inferiore di prodotto globale il pianeta non potrebbe mantenere gli attuali 7 miliardi di abitanti, qualche miliardo di persone alla fame mi sembra, così ad occhio e croce un prezzo un po’ elevato, forse prima di rassegnarsi a cotanto è meglio provare a costruire qualche grattacielo sui monti Appalachi e cominciare trasferirvi gli uffici di Manhattan (almeno quelli dei piani bassi).
A onor del vero, non è che la Spinelli ignori il problema: “ma quell’1% del PIL nel mondo resta pur sempre gravoso…. Significa più tasse e posti di lavoro perduti…Avremo case meno scaldate…smetteremo la costruzione frenetica degli aeroporti, visto che gli aerei emettono quantità gigantesche di anidride carbonica….si rinuncerà ai Suv, queste auto assassine del clima”, personalmente non è che questo quadro sia poi così drammatico, se il clima sarà più caldo non ci sarà bisogno di scaldare le case, l’aereo purtroppo l’ho preso poche volte e non sarà una grande rinuncia, quanto ai Suv non avrò mai i soldi per comprarne uno e se anche li avessi non ho la passione per i motori e quindi non li spenderei in un’automobile. Però c’è una cosa che mi preoccupa, secondo una ricerca condotta da un’associazione ambientalista inglese i vituperati Suv inquinano quanto un server aziendale, non vorrei mi togliessero internet, ormai mi ci sono abituato.

Gira che ti rigira alla fine la Spinelli individua il vero obiettivo, sentite un po’: “anche la festa liberista è finita…il mercato lasciato a se stesso a generato catastrofi”; un vero peccato, qui da noi in Italia la festa liberista non è nemmeno mai cominciata! Ecco come il concetto viene meglio specificato: “per questo c’è di nuovo bisogno dello Stato…tassare la gente in nome del pianeta, spendere meno, consumare diversamente” ok e chi lo decide? Se facciamo che decido io, siamo d’accordo mi sta bene.
Il concetto viene ribadito: “sparirà anche la retorica sulla libertà (dell’individuo) contrapposta allo Stato: i margini di libertà si restringono, non è vero che possiamo produrre, consumare come vogliamo” questa è la più convinta apologia del totalitarismo che ho mai letto, cioè se una cosa del genere l’avesse detta Storace, sarebbero già fioccate le denunce, gli avvisi di garanzia e le scomuniche, ma si sa che a certi intellettuali è permesso tutto, in fondo lo fanno per il nostro bene, vogliono salvare il pianeta. La cosa buffa è che siccome lo statalismo ha fallito nell’obiettivo di creare benessere e uguaglianza, allora ecco che viene scelta un’altra giusta causa per somministrarcelo. Solo che viene riproposto in forma ancora più pesante: cioè non solo lo Stato si prende i miei soldi con le tasse e ci fa i suoi comodi, ma mi obbliga anche a spendere quelli che mi rimangono secondo delle direttive stabilite dall’alto.
L’argomento tasse le sta veramente a cuore, come un’ossessione ripete: “Sparirà la certezza di poter ridurre le tasse facilmente”, cara la mia scrittrice quella certezza l’abbiamo persa da un pezzo, se c’è una cosa difficile è tagliare le tasse, infatti tutti lo promettono, nessuno lo mantiene (almeno nel Belpaese).
Tenetevi forte perché questa fa veramente ridere: “in fondo lo Stato dovrà organizzare un impoverimento costruttivo, mirato. Solo lo Stato può accingersi a sì ciclopica impresa”; ma quale ciclopica impresa? Ci riesce benissimo anche ora, anzi mi sa tanto che qualcuno di sua stretta conoscenza la sta prendendo fin troppo alla lettera! Quanto all’impoverimento mirato, per piacere toglietemi dal mirino, perché sono un po’ di anni che faccio la mia parte, ora tocca a qualcun altro, cominciamo ad esempio dai ministri dell’economia….
Cara Barbara Spinelli se vuoi vietare le emissioni, vietale pure, ma le tasse ed i carrozzoni statali non servono a salvare il clima, ma solo a salvare chi si intasca i nostri soldi.

Attenzione perché la buona Barbara non vuole che traiamo le conclusioni sbagliate dal suo ragionamento: “il ritorno della politica (che evidentemente per lei è sinonimo di Stato) è colmo di pericoli autoritari”, innanzitutto faccio notare che la politica non deve tornare, perché non se n’è mai andata, anzi è fin troppo presente ovunque; quanto ai pericoli autoritari, mi sembra un ammonimento patetico: lei pensa che di fronte ad un disastro imminente si può annullare completamente le più elementare libertà, si può razionare gli alimenti e l’energia, limitare i movimenti, cioè tutto questo senza che la situazione non comporti una militarizzazione della società??? No, forse pensa che si può fare tutto questo semplicemente dando il controllo in mano agli intellettuali come lei, che dai giornali ci dicono come comportarci e come pensare. Ma mi facci il piacere, avrebbe detto qualcuno.

Come in un tutti gli articoli di questo genere, non manca l’attacco di routine agli USA, definiti in questo caso la più inerte e retrograda delle potenze. Non sono in realtà tanto inerti, infatti successivamente scrive: “c’è poi negli Stati Uniti la spregiudicata corsa all’etanolo, unita al solipsistico sogno dell’indipendenza energetica”. Ergo: non vogliono continuare a dipendere dalle importazioni petrolifere, saluto con sollievo questa presa di posizione dopo aver letto per anni scritti di ambientalisti che descrivono le guerre per il petrolio. Quanto all’etanolo, tenetevi forte, concordo con la Spinelli: usare il mais non ha grande futuro, peccato che lei si scordi di dire che infatti il futuro sarà dell’etanolo derivato da prodotti non agricoli, che non sottrae terreni adatti alle colture.

Il finale è grandioso, perché dopo averci terrorizzato con queste agghiaccianti visioni (oddio un mondo senza Suv), ecco che ci rassicura con una calda fiammella di speranza: “La tentazione è grande di parlare di apocalisse. Ma nell’Apocalisse le vie sono due. Una è quella del tutto è permesso: festeggiamo visto che non avremo discendenti. L’altra prepara il futuro, trattiene il disastro con l’azione”. La Spinelli pensa che le sue proposte si ascrivano alla seconda ipotesi, a me sembrano invece appartenere ad una terza via: siccome in futuro moriremo, allora suicidiamoci subito.
Preparare il futuro è l’alternativa che scelgo io, questa alternativa significa, ricerca, innovazione, significa investimenti e gli investimenti discendono dai profitti e dal risparmio, che a sua volta deriva dal reddito, a sua volta generato dal lavoro.
Lavoro, opere, studio, questo è un modo di affrontare i problemi; non lo è invece dire: paghiamo più tasse e prendiamo le briciole che qualcuno farà cadere dal tavolo.
Se poi sarà apocalisse ugualmente, così sia, la affronteremo, indosseremo la corazza, ci metteremo l’elmo e cercheremo di essere all’altezza dei nostri progenitori che nei millenni se la sono vista brutta tante volte.

Comunque i consigli di Barbara Spinelli non vanno fatti cadere nel vuoto, quindi comincino pure gli Al Gore, gli Agnolotti, i Casarecci, le star di Hollywood, i cantanti, insomma tutti quelli che ci fanno la predica, comincino a dare il buon esempio: niente aerei, niente riscaldamento, niente barche, niente cocaina (per esportarla dalla Colombia ci vuole un sacco di petrolio), niente sigarette (al posto del tabacco piantiamo il mais che scarseggia a causa di Bush). Dimenticavo: ci vorrebbero anche un po’ di spettacoli e musica gratis, così tanto per abbassare un po’ il pil.

PS: anche su cocaina e sigarette, io faccio già la mia parte. Tanto per ribadire, come dicono a Genova: emmu za daetu!

lunedì 17 dicembre 2007

Un pò di autocelebrazione

Ogni tanto devo fare la parte dell’antipatico saccente, sia perché mi riesce bene, sia perché alcune occasioni sono troppo ghiotte per essere sprecate, allora piccola segnalazione autocelebrativa: oggi un articolo su Repubblica riprende l’interessante tema dell’etanolo da cellulosa da me affrontato nel post del 23 settembre; sempre oggi, un articolo del Corriere della Sera descrive il primo viaggio di un cargo mercantile (il “Beluga”) equipaggiato con un “aquilone” prodotto dalla Skysails, da me citata nel post del 21 agosto, nella versione online l’illustrazione è la stessa che avevo messo io nel mio post, peccato, perché adesso sul sito della Skysails ci sono foto molto più belle.
Comunque un plauso ai due importanti quotidiani che, con un po’ di ritardo, propongono interessanti novità ecologiche del futuro.

domenica 16 dicembre 2007

Uomo e lavoro

“…mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai…”

da Adamo in poi il rapporto tra l’uomo ed il lavoro è stato sempre ambivalente. C’è il lavoro che fornisce ricchezza, soddisfazione e c’è il lavoro forzato, che viene vissuto come un peso ineludibile.

Esistono tre fattori per giudicare il lavoro: il guadagno che procura, la piacevolezza nel farlo ed il tempo libero che permette di avere.

Se un lavoro ha almeno una di queste caratteristiche è un lavoro accettabile.

Se ne ha due è un lavoro ottimo. Averne tre è superfluo perché nel momento in cui un lavoro viene svolto volentieri, viene meno la necessità assoluta che sia un lavoro che lascia del tempo per altre cose.

Però se ti fai un mazzo così tutto il giorno, il lavoro fa schifo e non guadagni un cazzo (ci stava anche la rima) allora è propria una vitaccia.

Ed allora chiudo con un passo della novella intitolata “Il treno ha fischiato” del sempre grandissimo Pirandello:

“….Signori, Belluca, s'era dimenticato da tanti e tanti anni - ma proprio dimenticato - che il mondo esisteva.
Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia bendata, aggiogata alla stanga d'una nòria o d'un molino, sissignori, s'era dimenticato da anni e anni - ma proprio dimenticato - che il mondo esisteva.
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l'eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi subito. E, d'improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno.
Gli era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si fossero sturati.
Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt'intorno.
S'era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso col pensiero dietro a quel treno che s'allontanava nella notte.
C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava... Firenze, Bologna, Torino, Venezia... tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui!.
E seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr'egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino.
Non ci aveva pensato più! Il mondo s'era chiuso per lui, nel tormento della sua casa, nell'arida, ispida angustia della sua computisteria... Ma ora, ecco, gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L'attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l'immaginazione d'improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari... Questo stesso brivido, questo stesso palpito del tempo. C'erano, mentr'egli qua viveva questa vita «impossibile», tanti e tanti milioni d'uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch'egli qua
soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti... Sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva così... c'erano gli oceani... le foreste...”

lunedì 3 dicembre 2007

La precarietà è un problema

Un mese fa il corteo, poi la mobilitazione dell’estrema sinistra è finita, il Governo non ha fatto nulla ed il lavoro precario continua ad esserci. Intendiamoci: da un lato meglio così, visto che le ricette proposte dai partiti comunisti renderebbero peggiore il problema; però le normative che riguardano i rapporti di lavoro sono uno dei fattori decisivi per il benessere di un paese e sarebbe più che giusto assistere ad una discussione pubblica su come rendere migliore il nostro sistema.
Il riordino contenuto nella Legge Biagi ha consentito l’emersione di una fetta consistente di lavoro sommerso, ma il mercato del lavoro ha ancora bisogno di essere migliorato. Innanzitutto ci vuole un po’ di verità: promettere un sistema in cui vengono applicate a tutti le attuali norme del contratto a tempo indeterminato significa illudersi ed illudere, o più semplicemente mentire. Siccome non si è voluto o potuto modificare tale normativa, l’unico modo per consentire agli esclusi di avere un lavoro in regola è stato quello di inventare altre forme contrattuali estremamente flessibili.
Ciò che rende deboli oggi noi lavoratori è la mancanza di un mercato dinamico: oggi il lavoratore non ha alternative al proprio posto, questa mancanza, oltre a complicare il progredire della propria professionalità, rende drammatiche le scadenze dei contratti a termine. Non solo, ma anche l’indissolubilità del contratto a tempo indeterminato diventa illusoria quando un’azienda entra in crisi e deve chiudere. In quest’ultimo caso assistiamo alle proteste disperate dei lavoratori, ai colloqui quasi sempre inutili dei sindacati ed ai giornalisti che cercano il colpevole. Ma le crisi si combattono prima, si prevengono, costruendo un sistema in cui le aziende sane possano crescere e quindi anche assumere. Abbiamo un fisco punitivo, una giustizia lentissima, energia cara, scuola e università inadeguate e pretendiamo che le imprese, in un impeto di ottimismo assumano le persone a vita! Il contratto a tempo indeterminato, almeno per i nuovi assunti va rivisto, così come il sistema di protezione sociale per chi perde il lavoro, perché è chiaro che in un sistema flessibile l’indennità di disoccupazione diventa lo strumento centrale di intervento.
L’obiezione che esce fuori a questo punto è sempre la stessa: ma così torniamo indietro, inseguiamo il modello cinese… ma, dico io, forse Londra sta in Cina o nel Terzo Mondo. Il problema di questi che agitano lo spettro cinese è che hanno la coda di paglia, perché loro la Cina l’hanno inseguita e propagandata fino ad ieri, quando il modello era quello maoista.
E’ il loro modello mentale che è incorreggibile, pensano sempre che basti fare una legge più restrittiva, più coercitiva per risolvere i problemi, come se una volta che la formula magica è iscritta nella Gazzetta Ufficiale per incanto la realtà si ridisegna automaticamente. Un po’ come è avvenuto per la sicurezza sul lavoro: chi rispetta le regole ha più costi, tempi più lunghi e tonnellate di carta da compilare; per chi lavora in nero non cambia nulla: stessa emarginazione, stessi rischi sul lavoro, stessa precarietà.