mercoledì 28 marzo 2012

Gesù era comunista?

Il marketing politico della sinistra, soprattutto quella italiana, è insuperato e insuperabile. Ti martellano con dei concetti seducenti, cui è bello e rassicurante credere.

Gesù è stato il primo comunista! E’ una di quelle frasi che viene buttata lì per spiazzare l’uditorio e che fa facilmente breccia. A quel punto, soprattutto se chi ascolta è un credente, c’è poco da replicare: se era comunista il figlio di Dio, chi sono io per non esserlo?

Pensandoci un attimo qualche obiezione mi sorge spontanea:

Parlare di socialismo e comunismo prima della rivoluzione industriale, ha lo stesso senso di dire che Gesù è stato il primo Juventino. Le regole del calcio non erano state ancora codificate credo, quindi fate voi. Peraltro è probabile che avrebbe seguito maggiormente il basket, che mi sembra più popolare da quelle parti.

L’atteggiamento di Gesù verso la ricchezza è di distacco. Non mette mai l’avanzamento materiale dei poveri come l’obiettivo della sua azione, la frase ambigua al ricco è uno dei pochissimi accenni sul tema. Del resto già i filosofi greci vedevano nell’eccessivo attaccamento agli oggetti terreni un ostacolo per la crescita spirituale.

Il suo messaggio non ha una dimensione politica, Gesù parla alle persone. E’ ovvio che se sommiamo i singoli comportamenti si hanno grandi cambiamenti a livello sociale e politico ed anche il politico che prende decisioni è una persona. Ma Gesù non prende mai in considerazione il modello sociale o politico; il cristiano può e deve muoversi all’interno di un impero, come di una repubblica, in uno stato libero o totalitario, del resto è significativo che Gesù non aspirasse al trono. Sicuramente nella società ebraica dell’epoca il suo messaggio era rivoluzionario. Nel momento in cui mette in discussione l’autorità del clero e degli scribi, e la loro interpretazione della legge biblica, ad esempio opponendosi alla lapidazione dell’adultera, o al riposo del sabato, pone in essere un atto rivoluzionario, che non a caso suscita una reazione che lo porterà sulla croce. Però mi sembra decisamente un atteggiamento più libertario che statalista, infatti quando la Chiesa diventerà potente tenderà ad accantonare quella parte del messaggio evangelico.

L’uguaglianza di cui parla Gesù non è materiale, proprio perché non è quello che ha importanza nella vita. E’ ovvio che se ami il prossimo lo aiuti, anche economicamente, ma questo non significa certo organizzare la società attraverso l’esproprio, anzi una cosa esclude l’altra. Se è altruismo si agisce in prima persona, nel caso del comunismo o del socialismo si vuole che sia un altro ad agire al nostro posto. Cioè è una solidarietà fatta con i soldi degli altri.

Le prime comunità cristiane mettevano in comune i propri beni: questa è una facoltà pienamente riconosciuta all’interno di una economia libera. Gli uomini spontaneamente si associano, creano strutture sociali, cooperano. Più lo Stato invade, imponendo la sua azione coercitiva, prelevando, tassando, espropriando, meno le comunità possono cercare la propria strada, né hanno lo stimolo o le risorse per farlo.

venerdì 16 marzo 2012

Lavoro, lavoro... o disoccupazione

Il progresso economico avviene con il cambiamento. I capitali investiti lasciano settori non più profittevoli o superati e si dirigono verso nuovi settori o vecchi settori tornati interessanti. Gli investimenti sbagliati producono perdite e contrazione nel volume di prodotti e servizi erogati, i capitali investiti con profitto producono espansione della produzione. Un sistema dove i lavoratori passano dalle vecchie produzioni alle nuove è un sistema in evoluzione. Le politiche per l’occupazione più efficaci sono quelle che agevolano questa transizione, quelle che aiutano i lavoratori a cambiare, a riqualificarsi, a superare senza traumi il periodo di riallocazione. Che effetti avrebbe avuto una politica economica statale anticiclica volta a mantenere in vita le fabbriche di carrozze trainate dai cavalli, quando nel mondo si cominciava a vendere automobili?

La chiusura delle imprese inefficienti, non significa la sparizione dei relativi fattori di produzione, ragion per cui l’analogia con la selezione naturale non è corretta: un animale morto è fuori dal gioco. Invece le persone e i macchinari coinvolti nella precedente esperienza potranno essere reimpiegati in nuove attività economiche. Sicuramente questo processo di riconversione ha dei costi, talvolta elevati, talvolta in grado di bloccare il sistema economico per lungo tempo.

Spesso questa ovvia constatazione viene fraintesa, deducendo che la disoccupazione sia un elemento necessario al capitalismo o all’economia di mercato. Tale fraintendimento nasce anche dal concetto marxista di “esercito di riserva”. Ma si tratta in entrambi i casi di un’inversione tra causa ed effetto. Lo sviluppo economico non necessita di disoccupati da cui attingere, ma lo sviluppo economico produce disoccupati che sono temporanei a meno che politiche sbagliate non li facciano diventare di lungo corso.

La remunerazione del lavoro dipende dalla saggio di profitto del capitale, detto in parole povere, se un’attività, ad esempio una pizzeria, consegue molti utili, potrà pagare buoni stipendi a tanti dipendenti, in caso contrario bassi stipendi a pochi o nessuno. E’ vero che tutto ciò dipende anche dal numero di pizzaioli e camerieri disponibili. Ma se tutti smettono di mangiare pizza e mangiano sushi, così come se tutti comprano automobili invece di calesse, la presenza di un esercito di riserva di pizzaioli ed ebanisti non è di alcun giovamento al sistema economico, sia che questo sia capitalista o meno, e indipendentemente dal fatto che il capitale sia privato o pubblico. E’ ovvio anche che se lo Stato interviene prendendo soldi dal settore automobilistico per tenere aperte le fabbriche di calesse, sta riducendo la profittabilità del primo settore a vantaggio del secondo e… a svantaggio di tutti. Il lavoro non si può inventare, se per abbassare la disoccupazione una Regione assume cento persone per contare i gabbiani che volano, si capisce che in realtà sta distruggendo occupazione e che le risorse di quel posto di lavoro ne avrebbero potuto creare un numero maggiore se inserite in un’attività di mercato. Del resto si può confrontare il dato sull’occupazione di alcune regioni del sud Italia con quelle del nord per averne la riprova (anche se questa non è ovviamente l’unica causa della disoccupazione al sud).

La disoccupazione in Italia non nasce purtroppo da un eccesso di innovazione o dalla robotizzazione delle fabbriche. E’ piuttosto dovuta al peso fiscale, alle leggi sul lavoro, alla formazione inadeguata e chi ne fa le spese sono le categorie più deboli, quelle che a parole tutti difendono, ma poi nella sostanza non si fa nulla per migliorarne la condizione.

venerdì 2 marzo 2012

2 marzo 1969 guerra tra URSS e Cina


Cina e URSS formalmente alleate in nome del comunismo, avevano profonde differenze culturali e ideologiche. L’URSS aveva impostato la propria politica estera imponendo una sorta di vassallaggio a tutti i paesi comunisti. La Cina però era semplicemente troppo grande, ambiziosa e nazionalista per poter restare in quella posizione a lungo. Dopo la morte di Stalin, le critiche di Mao all’imperialismo sovietico e al revisionismo di Krusciov furono il segnale che tra i due giganti era cominciata una rivalità e la posta in palio era la supremazia sui movimenti comunisti in tutto il mondo. In questo clima sorsero dispute territoriali e incidenti di frontiera.

Per i cinesi i trattati che fissarono i confini tra Russia zarista e Cina durante il XIX secolo furono delle annessioni subite con la forza.

A partire dagli anni ’60 quindi quei “quegli iniqui trattati” furono la causa, o il pretesto, per alimentare tensioni crescenti con i sovietici.

Già nel 1964 un vasto territorio nel Pamir sovietivo fu reclamato dalla Cina, che in negli anni precedenti era stata impegnata a riscrivere, con la forza delle armi, il confine verso l’India.

L’URSS aveva uno strapotere bellico indiscutibile nei confronti del vicino, ma la Guerra Fredda era la sua priorità, inoltre anche la Cina era diventata una potenza nucleare, rendendo impraticabile l’opzione militare come soluzione della disputa.

Lo scenario dove si svolse lo scontro più grave fu l’isola di Zenbao (o Damansky) in mezzo al fiume Ussuri che fa da confine tra i due paesi.

Il 2 marzo 1969 truppe cinesi attaccarono, o meglio tesero una trappola, alle guardie di confine sovietiche sull’isola di Zhenbao, provocando decine di morti e molti feriti. La reazione sovietica respinse l’incursione e nei giorni successivi i sovietici bombardarono la sponda opposta dell’Amur fino ad espellere le truppe nemiche e riprendere il possesso dell’isola.

Nessuno dei contendenti mostrò la volontà di estendere il conflitto, l’anno precedente l’URSS era intervenuta in Cecoslovacchia stroncando con la forza la Primavera di Praga ed era impegnata a sostenere il Vietnam del Nord contro gli Stati Uniti. La Cina, dove imperversava la Rivoluzione Culturale che la porterà allo sfascio, sembrava appagata dall’azione dimostrativa.

Secondo l’interpretazione più comune questi scontri furono la causa dello storico e clamoroso riavvicinamento tra Cina e USA che sfocerà nel viaggio di Nixon del 1972.

Secondo altri fu invece proprio il desiderio cinese di cambiare la politica estera ed appoggiarsi agli USA, la causa che li spinse a cercare questi incidenti di confine con l’URSS.

La questione dei confini settentrionali cinesi è stata chiusa solo nel 2004 con un accordo con la Russia che ha stabilito la linea di confine.

Restano sul tappeto molte altre rivendicazioni e questioni aperte con India, Giappone, Vietnam, Filippine, Malaysia, Taiwan… che Pechino non sembra né voler dimenticare, né tantomeno mostrarsi accomodante, soprattutto oggi che sta diventando sempre più potente.