venerdì 18 ottobre 2013

I grandi successi dei keynesiani


L’asso nella manica dei Testimoni di Geova, per convincere l’interlocutore di avere la verità in tasca, è quello di ricercare nella Bibbia le profezie che si sono avverate. Ma allora Dornbusch e Fisher sono giusto un gradino sotto Dio, perché nel loro testo di macroeconomia, studiato per decenni dagli studenti di tutto il mondo, individuarono con precisione sconcertante gli astri nascenti dell’economia mondiale: vediamo citati Bernanke e Yellen, l’attuale capo della FED e colei che è stata designata per sostituirlo; Blanchard già capo economista al FMI e nientepopodimeno del famigerato Summers, che non ha bisogno di presentazioni.

Cos’è che accomuna tutti questi studiosi? Semplice, sono tutti keynesiani, o detto in altre parole dirigisti, statalisti, interventisti; insomma non ritengono il libero mercato efficiente (e fin qui posso dare loro ragione), ma pensano che un superdirettore galattico possa fare meglio (e qui ritiro la mia adesione…).

Quindi se sentite la classica frase da dibattito televisivo: ma lo fa perfino la FED! Volendo con questo sottointendere che la FED sarebbe il tempo del capitalismo, sappiate che il tizio che pronuncia quella frase non sa nulla della politica della FED. Idem con il Fondo Monetario Internazionale. Del resto già per sua natura il Fondo Monetario, essendo un organismo controllato da Stati Sovrani come potrebbe muoversi secondo logiche privatistiche? Se credessero nel Laissez Faire, semplicemente il Fondo lo abolirebbero.

Da notare che lo strumento principale per l’intervento del Fondo è l’indebitamento altrui, in particolare dei paesi del Terzo Mondo e in via di sviluppo. In pratica propongono questo scambio: noi vi facciamo credito e voi fate le politiche che noi vi consigliamo. Ovviamente, siccome i politici sono sempre affamati di soldi, a qualunque latitudine, di solito accettano e fanno indebitare gli Stati che rappresentano; chiaramente tutto “a fin di bene”, pianificando (magari pianificazioni quinquennali…) spese di pubblica utilità (???) e le solite giustificazione che si ripetono in questi casi.

Io penso che gli Stati, invece di prendere a prestito soldi che poi non riescono a restituire, pagando onerosi interessi, farebbero meglio a promuovere il risparmio e il conseguente accumulo di capitale, che consente di produrre ricchezza.

Può darsi benissimo che io abbia torto e loro abbiano ragione, del resto l’economia non dà certezze; se poi pensiamo che io non sono keynesiano e loro sì, leggendo quel vecchio libro di macroeconomia, una conclusione certa la possiamo trarre: la ricetta keynesiana garantisce risultati di successo… perlomeno per la carriera di quelli che la vogliono applicare!

Per tutti gli altri, giudicate voi….

martedì 15 ottobre 2013

Berlusconi tramonta, i problemi restano.


L’Italia sembra un paese immutabile, come qualcuno dei suoi vecchi monumenti resta sempre lì ad osservare impassibile il mondo che cambia, trasmettendo però sospetto che un bel giorno, all’improvviso, il monumento crollerà e in un solo botto si trascinerà con sé tutte le proprie contraddizioni.

Nell’immobile panorama politico c’è però una novità: Berlusconi non controlla il proprio partito.

Una novità che ci dà la misura della pochezza dell’informazione e dei commentatori politici: infatti dei tre schieramenti maggiori usciti dalle elezioni, prima sembrava che si dovesse spaccare il Movimento 5 Stelle, per governare con il PD; poi sembrava che si spaccasse il PD, causa la contromossa di candidare Rodotà al Quirinale e invece si è diviso il PDL, tutti a dire che non è un partito, che c’è un padrone che decide per tutti ecc… e invece proprio nel PDL è emersa la spaccatura.

Il tramonto di Berlusconi si è palesato in questi giorni, ma nasce da lontano: dai milioni di voti persi nelle ultime elezioni, dai guai giudiziari, nell’incapacità di dar vita ad un movimento vitale. L’ultimo episodio è stato solo l’inevitabile conclusione: ha minacciato il Governo, ha fatto dimettere i ministri, ma al momento di votare la fiducia un numero consistente di parlamentari ha detto no.

A quel punto Berlusconi avrebbe fatto meglio a dividere il partito, andare all’opposizione e sperare di raccogliere un po’ di voti al prossimo giro. Del resto, di solito, gli elettori, almeno a livello nazionale puniscono chi governa (mentre a livello locale, soprattutto in alcune regioni, il clientelismo blocca ogni ricambio democratico).

Invece Berlusconi ha ceduto, ha rivestito rapidamente i panni dello statista responsabile  e ha votato la fiducia a Letta. Quest’ultimo da parte sua, ha fatto un bel discorso, elencando diligentemente tutte le riforme di cui l’Italia avrebbe bisogno. Arriveranno questa volta? Diciamo che lo scetticismo è d’obbligo.

Sono anni e anni che si sente parlare di ridurre il cuneo fiscale, ridurre la burocrazia, gli sprechi, che la giustizia è lenta, le tasse sono troppe, l’evasione pure, la corruzione neanche a dirlo, le carceri sono piene, i clandestini sbarcano, legge elettorale non va bene, c’è il precariato, il finanziamento pubblico dei partiti è da abolire; un mantra interminabile, se mandassero in onda qualche replica di Santoro di vent’anni fa nessuno si accorgerebbe della differenza: stesse facce, stessi discorsi, tanta propaganda, parecchia disinformazione.

In realtà sono vent’anni che una volta elencati i problemi noti, si passa all’argomento del giorno, l’evergreen: Berlusconi. Per qualcuno il problema principale dell’Italia, per altri l’unico salvatore. La verità è che i problemi dell’Italia erano gli stessi prima di lui, sono gli stessi oggi e saranno gli stessi quando non ci sarà più. Tolto lui non è risolto un bel nulla.

I nodi sono economici e politici. Tutto il resto è fuffa: le sentenze, il conflitto di interessi, tutte le storie sulle quali si inscena la zuffa quotidiana sono fuffa. La crisi non è congiunturale, è strutturale, dopo cinque anni dovrebbero prenderne atto. Se non si cambia profondamente il sistema economico, finanziario e statale, il paese non ne uscirà vivo. Qui lo scrivo e spero di sbagliarmi, come sempre.