lunedì 1 dicembre 2008

Tremonti, predica male ma razzola bene

Il ministro dell’economia Giulio Tremonti è rappresentato dai professionisti dell’informazione (ed anche dai dilettanti) come il campione dello statalismo, del protezionismo, del socialismo, di Keynes e così via. Chiaramente Tremonti ci ha messo abilmente del suo, diventando protagonista della campagna elettorale delle politiche 2008, martellando infaticabile sul “mercatismo” e la globalizzazione, sui banchieri, sui finanzieri e pure sui cinesi. Non faccio il processo alle intenzioni, anche perché non ha nessuna importanza quanto ci sia di convinzione e quanto di furbizia in questi messaggi. Un ministro si giudica dagli atti di governo e qui si può misurare la distanza tra come Tremonti è rappresentato dai media e la sostanza del suo operato. Prima di analizzare i fatti, restiamo un attimo alle parole: con le sue dichiarazioni Tremonti si è messo abilmente sulla lunghezza d’onda del paese, in Italia l’espressione “libero mercato” è impopolare, per anni la parola liberismo è stata associata alla parola selvaggio, quasi a diventare un tutt’uno.
Impostando in questo modo la comunicazione Tremonti ha potuto inoltre sfruttare a suo favore la crisi che arrivava e che ora si sta manifestando e, dulcis in fundo, ha venduto anche parecchi libri. Tutto questo lo pone in una posizione di forza all’interno del centrodestra, occupando il ministero più importante e con un buon riscontro presso l’opinione pubblica, è oggi in pole position per la futura lotta alla successione. In fondo non ha fatto altro che applicare una delle regole d’oro della strategia militare: combattere usando le armi degli avversari; i concetti di solidarietà, di aiuto ai deboli sono stati usati ed abusati dalla sinistra, Tremonti li ha fatti propri spiazzando tutti.
I tempi della politica e della comunicazione non sono quelli dello studio e dell’educazione: tuonare contro il mercatismo selvaggio garantisce un ritorno in termini di consenso, garantito e veloce; mettersi a spiegare le politiche economiche garantisce solo che il 99% degli spettatori cambierà canale.
Da un punto di vista liberista la manipolazione dei tassi di interesse adottata dalla FED, le politiche inflazionistiche, la moltiplicazioni dei debiti sono tutte pratiche criticate aspramente, eppure sui mass media è passata l’equazione per cui speculazione (magari sui derivati) uguale a liberismo. Quando si parla di mercato si intende beni o servizi, o manodopera, o capitali, cose molto concrete, molto etiche direbbe Tremonti.
Per Keynes le crisi erano innescate da consumi insufficienti e questa idea è rimasta talmente radicata che a decenni di distanza ancora oggi si parla di stimolare i consumi, eppure gli americani in questi anni hanno addirittura consumato più di quanto guadagnavano (e producevano) quindi non ci dovrebbe essere nessuna crisi, però quando Tremonti stigmatizza l’espansione dei consumi a debito, cioè adotta una posizione anti keynesiana, i mezzi di comunicazione fanno il suo gioco (probabilmente inconsapevolmente) facendola passare come una posizione statalista!
Insomma Tremonti mi fa un po’ arrabbiare quando fa il paladino delle partecipazioni statali e del protezionismo, però nelle sue azioni concrete da Ministro dell’Economia finora si è mosso bene: intanto sta giustamente cercando di evitare il peggio, salvaguardando i due pilastri che ancora reggono: la fiducia di tutti noi (nel fatto che depositi e risparmi sono garantiti) e la solvibilità dello Stato (ciò del garante ultimo), motivo per cui esclude che le nazionalizzazioni vengano fatte a debito ed ha riconfermato l’obiettivo del pareggio di bilancio. Ecco, se riesce a portare a casa questo risultato, (tagliando le spese e non aumentando le tasse, cosa che peraltro renderebbe probabilmente impossibile conseguire il pareggio), questo avrà un valore assolutamente maggiore rispetto alle dichiarazioni per la stampa e a tutti i rilievi che si possono muovere al governo.
La sua posizione è tanto più apprezzabile in quanto potrebbe comodamente accodarsi alla fila di coloro che chiedono di superare il 3% di deficit, in fondo se lo fanno Sarkozy e Merkel perché noi no? L’opinione pubblica italiana e mondiale ha una fiducia incrollabile nel deficit come soluzione ad ogni crisi, eppure in questi anni Francia, Germania e gli stessi Stati Uniti vi hanno fatto ampio ricorso, senza che questo abbia impedito la recessione odierna. In Italia è da 40 anni che non abbiamo in bilancio pubblico in pareggio, se il deficit servisse a qualcosa dovremmo essere il paese più ricco del mondo!!
L’origine bancaria della crisi in atto fornisce una straordinaria occasione a Tremonti per prendersi delle rivincite nei confronti del sistema bancario con il quale si è duramente confrontato negli anni del precedente Governo Berlusconi. In Italia le banche sono il potere forte probabilmente più influente, ricordiamo che Tremonti cercò di sanzionare il comportamento che le banche tennero nei confronti dei risparmiatori, ai quali rifilarono obbligazioni argentine e di Parmalat. La Banca d’Italia si schierò a difesa del sistema, risultato: Fazio restò al suo posto e Tremonti invece perse il suo. Per la cronaca, l’intoccabile Fazio, quando si mise in rotta di collisione con le grandi banche (favorendo le scalate di Unipol e Popolare di Lodi) fu invece fatto saltare via come un tappo di spumante.
Oggi i potenti di allora sono in difficoltà e Tremonti ha il coltello dalla parte del manico, è normale quindi che ne approfitti per lanciare strali ai manager. A parte questa divagazione, aggiungo solo due cose apprezzabili taciute dalla stampa: quando ha riferito in Parlamento circa l’Alitalia, ha mostrato notevole onestà intellettuale, affermando che l’Alitalia così com’era, cioè non ripulita dai debiti, non la voleva nessuno al mondo e che tutta l’operazione era fatta nella logica dello stop-loss, cioè dopo anni e anni di perdite ininterrotte, noi poveri contribuenti saremo derubati un’ultima volta per consentire alla compagnia di bandiera di volare, dopodiché una volta subentrati i privati sono affari loro (speriamo che sia così…). L’altra dichiarazione è sui finanziamenti europei, che in Italia si disperdono in migliaia di microprogetti di dubbia utilità e che comunque nessuno è in grado di controllare, invece andrebbero concentrati in poche grandi opere infrastrutturali.
In definitiva, il rigetto delle politiche inflazionistiche e di deficit, a mio parere, è molto più significativo rispetto ad ogni etichetta di socialista o keynesiano che gli viene appiccicata addosso, certo si fa fatica a vedere i rivolgimenti che potrebbero salvare il nostro paese dal suo inesorabile declino, ma rispetto alle prediche, vere o presunte, il razzolare è decisamente migliore.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Post come questo, mi convincono sempre più delle ragioni del gitante Tremonti.