domenica 30 dicembre 2007

Pillole di Storia

Il poco tempo a disposizione mi impedisce di sviscerare molti argomenti interessanti, propongo quindi 3 temi di storia, per stimolare la curiosità dei lettori, che magari decideranno di approfondire quello che ritengono più meritevole.

Il primo argomento riguarda il Pakistan e le origini della presenza islamica nel subcontinente indiano. La prima spedizione è datata 644 d.C., si deve essere trattato di una missione di carattere esplorativo ed i territori visitati non devono aver impressionato gli Arabi che, per alcuni decenni, non vi faranno ritorno; questo è il resoconto che riportano le fonti: “l’acqua è poca, la frutta scadente, i predoni audaci; se si mandano truppe scarse verranno trucidate, se ingenti moriranno di fame”. Si tratta di una descrizione fedele dei territori desertici del Sind, dove anche Alessandro Magno, di ritorno dall’India, perse quasi tutto il suo esercito.
Ma l’espansione degli Arabi era troppo forte e le rotte verso l’India troppo preziose per essere disturbate dai pirati alle foci dell’Indo. Nel 711 il governatore Ommayade dell’Iraq armò una spedizione guidata da Muhammad bin Qasim che conquistò il Sind e pose la propria residenza a Brahmanabad.
La porta per il cuore dell’India è però molto più a nord al confine con l’attuale Afghanistan e da lì che nei secoli sono passati numerosissimi conquistatori. Già nel 724 la Valle dell’Indo fino a Multan venne sottoposta ad un governatore arabo. Furono però i Turchi, che dall’Asia Centrale avevano preso possesso di numerosi territori islamici, a penetrare profondamente nei territori indiani, dapprima con incursioni che avevano lo scopo di razziare, successivamente occupando stabilmente i territori. Il primo di questi conquistatori fu Mahmud di Ghazni che nel 997 devastò il Punjab. Vi ritornerà per altre sedici volte seminando distruzione e morte. Fu poi la volta dei Turchi Ghuridi che nel 1186 conquistarono Lahore e nel 1193 Delhi, dove il sultano Muhamad di Ghur lasciò il proprio luogotenente Qutb-ad-Din Aibak a consolidarne il possesso, fu quest’ultimo nel 1206 a proclamarsi sultano di Dehli, dando inizio ad una presenza definiva del potere islamico in India.


Facendo un salto spaziale e temporale passiamo alla grande varietà di entità “statali” che incontriamo in Medio Oriente intorno al XXV e XXVI secolo a.C.
L’epoca, che ricolleghiamo alla IV dinastia egiziana, quella di Cheope e delle grandi piramidi di Giza, vede molte realtà avanzate anche nel polo mesopotamico ed in quello siriano.
Le principale sono: Kish con il sovrano Mesalima; Ur con Mesanepada, Meskiagnuna, Balulu; Lagash con Enkhengal, Urnanse, Akurgal, Eannatum, Eannatum II, Lugalanda, Urukagina; Umma con Us, Enakale, Urlumma, Lugalzagesi ed altri centri ancora come Accad, Hamazi e soprattutto Ebla con la sua particolare istituzione delle regine madri (su cui esistono pareri discordi e che curiosamente non viene mai citato come esempio di antico matriarcato, soppiantato dall’egemonia maschile) e del conteggio dei regni.


Ultima pillola l’episodio di guerra asimmetrica (diremmo oggi) che coinvolse i persiani contro gli Sciti. L’imperatore persiano Dario voleva impossessarsi dei territori abitati dagli Sciti. Questo popolo, che tra l’altro parlava una lingua imparentata con l’iranico, viveva ancora in modo seminomade, reagì di fronte all’invasione persiana rifiutando lo scontro diretto, ma piuttosto con rapidi attacchi ed altrettanto rapide ritirate, sfruttando la propria abilità di cavalieri e di arcieri. Esasperato dal prolungarsi della campagna Dario inviava ambasciate in cui chiedeva o la sottomissione o la battaglia, ma invano. Fino a quando il re scita Idantirso mandò un messaggero che portava dei doni: un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. Dario interpretò i doni come una volontà di sottomissione, ma il suo consigliere Gobria capì il vero senso, gli Sciti volevano dire: “Se voi, Persiani, non diventate uccelli e volate in cielo, o non diventate topi e andate sotto terra, o rane e saltate nelle paludi, sarete colpiti da queste frecce e non tornerete mai in patria.”
I Persiani si ritirarono e continuarono a regnare sui popoli sedentari, gli Sciti continuarono a vivere nei loro territori, prima di essere sommersi da migrazioni di altri popoli della steppa euroasiatica.

sabato 29 dicembre 2007

Sempre libri

Man mano che faccio ordine e metto via i miei libri, ve li propongo con relative stellette di giudizio. Ecco i consigli di lettura di oggi:

Mario Liverani - Le Civiltà Mesopotamiche
****
Domenico Musti - La Grecia Classica
***
Indro Montanelli - Storia di Roma
***
Vittorio Di Cesare - Gli Aborigeni australiani
**
Mario Polia - Gli Indios dell'Amazzonia
***
Guido Luigi Buffo - L'Aikido
***
Marilia Albanese - Lo Yoga
***
Francesco Cossiga - Abecedario
***
Murray Newton Rothbard - Diritto, natura e ragione
***
Albert Speer - Memorie del Terzo Reich
***
Lao Petrilli - Embedded
****
Romano Canosa, Isabella Colonnello - Spionaggio a Palermo
**
Desmond Morris - L'occhio nudo
***
Giovanni Tabacco, Grado Merlo - Il Medioevo
**
Heinrich Fichtenau - L'Età di Carlo Magno
***
Mario Attilio Levi - Adriano
**
Leonardo Maugeri - L'era del petrolio
****
Michael Prawdin - Gengis Khan
*****
Eric John Hobsbawm - L'Età della Rivoluzione
***
Denis Mack Smith - Il Risorgimento italiano
***
Denis Mack Smith - Garibaldi
****
Tucidide - La Guerra del Peloponneso
*****
Senofonte - Anabasi
*****
Osho - Yoga: la scienza dell'anima
***
Massimo Campanini - Il Corano e la sua interpretazione
**
Franz Herre - Metternich
**
Guglielmo Ferrero - Il Congresso di Vienna
***
Tim Severin - Il Vichingo
**
Brad Meltzer - I milionari
***
Cavalli Sforza, Menozzi, Piazza - Storia e Geografia dei geni umani
*****
Giordano Bruno Guerri - Antistoria degli italiani
*****
Niccolò Machiavelli - Il Principe
*****
Conrad - Tifone
***
Erasmo da Rotterdam - Elogio della follia
***
Edward Luttwak - La grande strategia dell'Impero Romano
*****
Bruno Vespa - L'Italia spezzata
****
Alida Alabiso - I Samurai
**
Robert Ogilvie, Michael Crawford - Roma dalle origini all'età repubblicana
***
Nicolas Grimal - L'antico Egitto
****
Paul Jordan - Neandertal, l'origine dell'uomo
****
Herbert Wilhelmy - La civiltà dei Maya
***
Matteo Sanfilippo - Historic Park. La Storia e il cinema
****

domenica 23 dicembre 2007

I film peggiori che abbia mai visto

Quando giudico un libro assegnandogli le stellette evito di mettere quelli che considero illeggibili o da stroncare senza pietà, perché considero un libro un’opera personale. Preferisco citare solo quelli che meritano di essere letti. Il fatto che io non lo apprezzi può dipendere da molti fattori, magari non mi interessa l’argomento, oppure lo stile di scrittura mi è ostico, semplicemente non ho la preparazione adeguata per poter seguire alcuni ragionamenti o valutare alcune nozioni, insomma tendo ad essere indulgente e poi prima di acquistare un libro ti puoi documentare, ti leggi l’indice e se lo compri in libreria puoi sfogliarlo, leggere qualche riga.
Invece sui film sono più drastico: intanto un film è un’opera cui concorrono molte persone e quindi mi urta maggiormente il fatto che in tanti non si rendono conto della boiata pazzesca che stanno producendo. Poi i film vengono pubblicizzati con brevi trailer che ti possono trarre abilmente in inganno.
Ci tengo quindi a fare questa classifica dei film peggiori che io abbia mai visto:

1 – The Avengers. Il peggiore in assoluto. La povera Uma Thurman e Ralph Fiennes in un’opera che non si capisce se è una parodia o no, comunque se lo è non fa ridere. E’ talmente brutto che mi viene il dubbio di non averlo mai visto ma di aver fatto un incubo in cui sognavo di vederlo.

2 – Tom Raider. Angelina Jolie viene sempre bene ed anche nei panni di Lara Croft fa la sua figura. Detto questo, aggiungo però: peccato che il mio cane non sappia parlare, altrimenti poteva suggerire almeno qualche idea prima di iniziare a girare. Un fermo immagine di Angelina di un’ora e mezza sarebbe stato meglio.

3 – Signs. Dopo la mezza boiata di Unbreakable dovevo presagire il peggio, ma non so come mai ci sono cascato. Come è possibile che sia lo stesso regista de “Il sesto senso”? O si è bruciato il cervello, oppure si voleva divertire a prenderci per il culo. Fatto sta che Signs parte anche discretamente bene, ma come molti film, dopo un buon inizio non sa dove andare a parare e, non avendo il coraggio di mandare a casa il pubblico dopo il primo tempo, rovina tutto. Per onestà devo dire che al cinema c’erano molti che si sbellicavano letteralmente dalle risate, soprattutto alla scena della carta stagnola in testa, non so se si aspettavano un film comico, ma un po’ di divertimento l’hanno avuto.

4 – Il quinto elemento. Anche in questo caso come potevo evitare la trappola? Non pretendo che Luc Besson faccia tutti film belli come Leon, ma insomma questo polpettone, non me l’aspettavo.
Milla Jovovich è l’unica del cast che sembra crederci e si impegna, si vede che era proprio innamorata…. Dopo aver visto l’esito decide di divorziare.

5 - Alien 4 - Qui ho proprio il dente avvelenato. Dovete capirmi, per me Alien è uno dei migliori film di sempre e questo già sarebbe sufficiente, ma c’è di peggio: normalmente i sequel non sono mai all’altezza del primo episodio, capita invece che il seguito (Alien 2) sia un ottimo film, del resto Cameron non è l’ultimo arrivato. Lo stesso Alien³ senza pretendere di inventare nulla, mantiene il canovaccio e si lascia guardare piacevolmente. Invece questo Jean Pierre Jeunet si permette di stravolgere l’atmosfera della serie, mettendo in piedi una storia tra il surreale ed il grottesco, tirando fuori un prodotto né carne né pesce, personaggi senza un minimo di spessore e scene francamente fuori luogo. Essendo per natura capace solo di perdonare gli amici, agli altri riservo rancori eterni, per cui mi ero ripromesso di boicottare per sempre qualunque altra produzione di questo regista. Sotto minaccia e ricatto da parte della fidanzata dovetti recarmi a vedere la storia di Amelie, del quale devo ammettere che sia un buon film, quindi caro Jean Pierre mantieniti su quel tipo di storielle e non deturpare le serie di altri generi.

Doverosa precisazione: questa piccola carrellata degli orrori comprende tutti film di fantascienza, ma questo non deve trarre in inganno. Proprio perché è uno dei miei generi preferiti, che me la prendo a male quando vedo una produzione inguardabile.
Infatti alcuni film di fantascienza sono tra i miei preferiti in assoluto: L’esercito delle 12 scimmie; Blade runner; Minority Report; Matrix (questo è un buon esempio di sequel che era meglio si risparmiassero); Gattaca; Terminator; Starship Troopers, Strange days.

sabato 22 dicembre 2007

Commento all'esilarante articolo di Barbara Spinelli

L’articolo “La festa è finita” di Barbara Spinelli, pubblicato il 16 dicembre su “La Stampa” è talmente ricco di spunti divertenti che non posso non citarne qualcuno.
La Spinelli chiarisce subito il tono esordendo così: “L’internazionalizzazione dei mercati ci sta accanto come uno spettro (e fin qui niente da dire, ognuno ha i suoi incubi) cui non sappiamo ancora dare un nome perché il suo volto è ambiguo…””la globalizzazione promette ai poveri l’uscita dalla miseria, e ai ricchi promette ottimi affari di alcuni industriali ma un impoverimento generale della società”. Ora, che la globalizzazione sia un fantasma non saprei dire, di sicuro io non l’ho mai sentita parlare ai poveri, comunque se anche fosse, diciamo che negli ultimi 10 anni a qualche centinaio di milioni di asiatici la promessa l’ha mantenuta; non sarà il massimo, ma come mantenimento delle promesse è già molto di più dei nostri politici. Quanto all’impoverimento della società si riferisce alla nostra, perché se vai in Germania, o in Spagna, o in Gran Bretagna, per non parlare dell’Irlanda o della Danimarca di questo impoverimento non è che se ne vede molto.

“Se continua lo scioglimento dei ghiacci antartici e della Groenlandia scompaiono Londra, New York, Miami, Olanda, Bangladesh, Venezia” come spot per il Mose non è male, peccato che non risulta che i ghiacci antartici si stiano sciogliendo, casomai si stanno sciogliendo quelli artici, che però essendo già dentro l’acqua oceanica non ne provocano l’innalzamento. Comunque a New York non ci sono mai stato e se il ghiaccio della Groenlandia sciolto la sommerge la cosa mi preoccupa, bisogna fare qualcosa; vediamo cosa suggerisce Barbara Spinelli: “urge tagliare l’% del PIL mondiale, per decenni”: una ricetta geniale, ma dico io perché diluire nei decenni, tagliamolo subito di un 50% e non se ne parla più. In effetti questo tipo di soluzione ha solo una piccola controindicazione, con un livello inferiore di prodotto globale il pianeta non potrebbe mantenere gli attuali 7 miliardi di abitanti, qualche miliardo di persone alla fame mi sembra, così ad occhio e croce un prezzo un po’ elevato, forse prima di rassegnarsi a cotanto è meglio provare a costruire qualche grattacielo sui monti Appalachi e cominciare trasferirvi gli uffici di Manhattan (almeno quelli dei piani bassi).
A onor del vero, non è che la Spinelli ignori il problema: “ma quell’1% del PIL nel mondo resta pur sempre gravoso…. Significa più tasse e posti di lavoro perduti…Avremo case meno scaldate…smetteremo la costruzione frenetica degli aeroporti, visto che gli aerei emettono quantità gigantesche di anidride carbonica….si rinuncerà ai Suv, queste auto assassine del clima”, personalmente non è che questo quadro sia poi così drammatico, se il clima sarà più caldo non ci sarà bisogno di scaldare le case, l’aereo purtroppo l’ho preso poche volte e non sarà una grande rinuncia, quanto ai Suv non avrò mai i soldi per comprarne uno e se anche li avessi non ho la passione per i motori e quindi non li spenderei in un’automobile. Però c’è una cosa che mi preoccupa, secondo una ricerca condotta da un’associazione ambientalista inglese i vituperati Suv inquinano quanto un server aziendale, non vorrei mi togliessero internet, ormai mi ci sono abituato.

Gira che ti rigira alla fine la Spinelli individua il vero obiettivo, sentite un po’: “anche la festa liberista è finita…il mercato lasciato a se stesso a generato catastrofi”; un vero peccato, qui da noi in Italia la festa liberista non è nemmeno mai cominciata! Ecco come il concetto viene meglio specificato: “per questo c’è di nuovo bisogno dello Stato…tassare la gente in nome del pianeta, spendere meno, consumare diversamente” ok e chi lo decide? Se facciamo che decido io, siamo d’accordo mi sta bene.
Il concetto viene ribadito: “sparirà anche la retorica sulla libertà (dell’individuo) contrapposta allo Stato: i margini di libertà si restringono, non è vero che possiamo produrre, consumare come vogliamo” questa è la più convinta apologia del totalitarismo che ho mai letto, cioè se una cosa del genere l’avesse detta Storace, sarebbero già fioccate le denunce, gli avvisi di garanzia e le scomuniche, ma si sa che a certi intellettuali è permesso tutto, in fondo lo fanno per il nostro bene, vogliono salvare il pianeta. La cosa buffa è che siccome lo statalismo ha fallito nell’obiettivo di creare benessere e uguaglianza, allora ecco che viene scelta un’altra giusta causa per somministrarcelo. Solo che viene riproposto in forma ancora più pesante: cioè non solo lo Stato si prende i miei soldi con le tasse e ci fa i suoi comodi, ma mi obbliga anche a spendere quelli che mi rimangono secondo delle direttive stabilite dall’alto.
L’argomento tasse le sta veramente a cuore, come un’ossessione ripete: “Sparirà la certezza di poter ridurre le tasse facilmente”, cara la mia scrittrice quella certezza l’abbiamo persa da un pezzo, se c’è una cosa difficile è tagliare le tasse, infatti tutti lo promettono, nessuno lo mantiene (almeno nel Belpaese).
Tenetevi forte perché questa fa veramente ridere: “in fondo lo Stato dovrà organizzare un impoverimento costruttivo, mirato. Solo lo Stato può accingersi a sì ciclopica impresa”; ma quale ciclopica impresa? Ci riesce benissimo anche ora, anzi mi sa tanto che qualcuno di sua stretta conoscenza la sta prendendo fin troppo alla lettera! Quanto all’impoverimento mirato, per piacere toglietemi dal mirino, perché sono un po’ di anni che faccio la mia parte, ora tocca a qualcun altro, cominciamo ad esempio dai ministri dell’economia….
Cara Barbara Spinelli se vuoi vietare le emissioni, vietale pure, ma le tasse ed i carrozzoni statali non servono a salvare il clima, ma solo a salvare chi si intasca i nostri soldi.

Attenzione perché la buona Barbara non vuole che traiamo le conclusioni sbagliate dal suo ragionamento: “il ritorno della politica (che evidentemente per lei è sinonimo di Stato) è colmo di pericoli autoritari”, innanzitutto faccio notare che la politica non deve tornare, perché non se n’è mai andata, anzi è fin troppo presente ovunque; quanto ai pericoli autoritari, mi sembra un ammonimento patetico: lei pensa che di fronte ad un disastro imminente si può annullare completamente le più elementare libertà, si può razionare gli alimenti e l’energia, limitare i movimenti, cioè tutto questo senza che la situazione non comporti una militarizzazione della società??? No, forse pensa che si può fare tutto questo semplicemente dando il controllo in mano agli intellettuali come lei, che dai giornali ci dicono come comportarci e come pensare. Ma mi facci il piacere, avrebbe detto qualcuno.

Come in un tutti gli articoli di questo genere, non manca l’attacco di routine agli USA, definiti in questo caso la più inerte e retrograda delle potenze. Non sono in realtà tanto inerti, infatti successivamente scrive: “c’è poi negli Stati Uniti la spregiudicata corsa all’etanolo, unita al solipsistico sogno dell’indipendenza energetica”. Ergo: non vogliono continuare a dipendere dalle importazioni petrolifere, saluto con sollievo questa presa di posizione dopo aver letto per anni scritti di ambientalisti che descrivono le guerre per il petrolio. Quanto all’etanolo, tenetevi forte, concordo con la Spinelli: usare il mais non ha grande futuro, peccato che lei si scordi di dire che infatti il futuro sarà dell’etanolo derivato da prodotti non agricoli, che non sottrae terreni adatti alle colture.

Il finale è grandioso, perché dopo averci terrorizzato con queste agghiaccianti visioni (oddio un mondo senza Suv), ecco che ci rassicura con una calda fiammella di speranza: “La tentazione è grande di parlare di apocalisse. Ma nell’Apocalisse le vie sono due. Una è quella del tutto è permesso: festeggiamo visto che non avremo discendenti. L’altra prepara il futuro, trattiene il disastro con l’azione”. La Spinelli pensa che le sue proposte si ascrivano alla seconda ipotesi, a me sembrano invece appartenere ad una terza via: siccome in futuro moriremo, allora suicidiamoci subito.
Preparare il futuro è l’alternativa che scelgo io, questa alternativa significa, ricerca, innovazione, significa investimenti e gli investimenti discendono dai profitti e dal risparmio, che a sua volta deriva dal reddito, a sua volta generato dal lavoro.
Lavoro, opere, studio, questo è un modo di affrontare i problemi; non lo è invece dire: paghiamo più tasse e prendiamo le briciole che qualcuno farà cadere dal tavolo.
Se poi sarà apocalisse ugualmente, così sia, la affronteremo, indosseremo la corazza, ci metteremo l’elmo e cercheremo di essere all’altezza dei nostri progenitori che nei millenni se la sono vista brutta tante volte.

Comunque i consigli di Barbara Spinelli non vanno fatti cadere nel vuoto, quindi comincino pure gli Al Gore, gli Agnolotti, i Casarecci, le star di Hollywood, i cantanti, insomma tutti quelli che ci fanno la predica, comincino a dare il buon esempio: niente aerei, niente riscaldamento, niente barche, niente cocaina (per esportarla dalla Colombia ci vuole un sacco di petrolio), niente sigarette (al posto del tabacco piantiamo il mais che scarseggia a causa di Bush). Dimenticavo: ci vorrebbero anche un po’ di spettacoli e musica gratis, così tanto per abbassare un po’ il pil.

PS: anche su cocaina e sigarette, io faccio già la mia parte. Tanto per ribadire, come dicono a Genova: emmu za daetu!

lunedì 17 dicembre 2007

Un pò di autocelebrazione

Ogni tanto devo fare la parte dell’antipatico saccente, sia perché mi riesce bene, sia perché alcune occasioni sono troppo ghiotte per essere sprecate, allora piccola segnalazione autocelebrativa: oggi un articolo su Repubblica riprende l’interessante tema dell’etanolo da cellulosa da me affrontato nel post del 23 settembre; sempre oggi, un articolo del Corriere della Sera descrive il primo viaggio di un cargo mercantile (il “Beluga”) equipaggiato con un “aquilone” prodotto dalla Skysails, da me citata nel post del 21 agosto, nella versione online l’illustrazione è la stessa che avevo messo io nel mio post, peccato, perché adesso sul sito della Skysails ci sono foto molto più belle.
Comunque un plauso ai due importanti quotidiani che, con un po’ di ritardo, propongono interessanti novità ecologiche del futuro.

domenica 16 dicembre 2007

Uomo e lavoro

“…mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai…”

da Adamo in poi il rapporto tra l’uomo ed il lavoro è stato sempre ambivalente. C’è il lavoro che fornisce ricchezza, soddisfazione e c’è il lavoro forzato, che viene vissuto come un peso ineludibile.

Esistono tre fattori per giudicare il lavoro: il guadagno che procura, la piacevolezza nel farlo ed il tempo libero che permette di avere.

Se un lavoro ha almeno una di queste caratteristiche è un lavoro accettabile.

Se ne ha due è un lavoro ottimo. Averne tre è superfluo perché nel momento in cui un lavoro viene svolto volentieri, viene meno la necessità assoluta che sia un lavoro che lascia del tempo per altre cose.

Però se ti fai un mazzo così tutto il giorno, il lavoro fa schifo e non guadagni un cazzo (ci stava anche la rima) allora è propria una vitaccia.

Ed allora chiudo con un passo della novella intitolata “Il treno ha fischiato” del sempre grandissimo Pirandello:

“….Signori, Belluca, s'era dimenticato da tanti e tanti anni - ma proprio dimenticato - che il mondo esisteva.
Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia bendata, aggiogata alla stanga d'una nòria o d'un molino, sissignori, s'era dimenticato da anni e anni - ma proprio dimenticato - che il mondo esisteva.
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l'eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi subito. E, d'improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno.
Gli era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si fossero sturati.
Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt'intorno.
S'era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso col pensiero dietro a quel treno che s'allontanava nella notte.
C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava... Firenze, Bologna, Torino, Venezia... tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui!.
E seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr'egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino.
Non ci aveva pensato più! Il mondo s'era chiuso per lui, nel tormento della sua casa, nell'arida, ispida angustia della sua computisteria... Ma ora, ecco, gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L'attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l'immaginazione d'improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari... Questo stesso brivido, questo stesso palpito del tempo. C'erano, mentr'egli qua viveva questa vita «impossibile», tanti e tanti milioni d'uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch'egli qua
soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti... Sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva così... c'erano gli oceani... le foreste...”

lunedì 3 dicembre 2007

La precarietà è un problema

Un mese fa il corteo, poi la mobilitazione dell’estrema sinistra è finita, il Governo non ha fatto nulla ed il lavoro precario continua ad esserci. Intendiamoci: da un lato meglio così, visto che le ricette proposte dai partiti comunisti renderebbero peggiore il problema; però le normative che riguardano i rapporti di lavoro sono uno dei fattori decisivi per il benessere di un paese e sarebbe più che giusto assistere ad una discussione pubblica su come rendere migliore il nostro sistema.
Il riordino contenuto nella Legge Biagi ha consentito l’emersione di una fetta consistente di lavoro sommerso, ma il mercato del lavoro ha ancora bisogno di essere migliorato. Innanzitutto ci vuole un po’ di verità: promettere un sistema in cui vengono applicate a tutti le attuali norme del contratto a tempo indeterminato significa illudersi ed illudere, o più semplicemente mentire. Siccome non si è voluto o potuto modificare tale normativa, l’unico modo per consentire agli esclusi di avere un lavoro in regola è stato quello di inventare altre forme contrattuali estremamente flessibili.
Ciò che rende deboli oggi noi lavoratori è la mancanza di un mercato dinamico: oggi il lavoratore non ha alternative al proprio posto, questa mancanza, oltre a complicare il progredire della propria professionalità, rende drammatiche le scadenze dei contratti a termine. Non solo, ma anche l’indissolubilità del contratto a tempo indeterminato diventa illusoria quando un’azienda entra in crisi e deve chiudere. In quest’ultimo caso assistiamo alle proteste disperate dei lavoratori, ai colloqui quasi sempre inutili dei sindacati ed ai giornalisti che cercano il colpevole. Ma le crisi si combattono prima, si prevengono, costruendo un sistema in cui le aziende sane possano crescere e quindi anche assumere. Abbiamo un fisco punitivo, una giustizia lentissima, energia cara, scuola e università inadeguate e pretendiamo che le imprese, in un impeto di ottimismo assumano le persone a vita! Il contratto a tempo indeterminato, almeno per i nuovi assunti va rivisto, così come il sistema di protezione sociale per chi perde il lavoro, perché è chiaro che in un sistema flessibile l’indennità di disoccupazione diventa lo strumento centrale di intervento.
L’obiezione che esce fuori a questo punto è sempre la stessa: ma così torniamo indietro, inseguiamo il modello cinese… ma, dico io, forse Londra sta in Cina o nel Terzo Mondo. Il problema di questi che agitano lo spettro cinese è che hanno la coda di paglia, perché loro la Cina l’hanno inseguita e propagandata fino ad ieri, quando il modello era quello maoista.
E’ il loro modello mentale che è incorreggibile, pensano sempre che basti fare una legge più restrittiva, più coercitiva per risolvere i problemi, come se una volta che la formula magica è iscritta nella Gazzetta Ufficiale per incanto la realtà si ridisegna automaticamente. Un po’ come è avvenuto per la sicurezza sul lavoro: chi rispetta le regole ha più costi, tempi più lunghi e tonnellate di carta da compilare; per chi lavora in nero non cambia nulla: stessa emarginazione, stessi rischi sul lavoro, stessa precarietà.

lunedì 26 novembre 2007

Sarkozy vende due reattori ai Cinesi

Niente di meglio di un esempio per chiarire un ragionamento ed allora colgo una notizia di oggi per ricollegarmi al mio post del 14 novembre su Tremonti ed il mercatismo. La notizia è che il presidente francese Sarkozy ha firmato accordi commerciali in Cina che prevedono, tra l'altro, la vendita di 160 Airbus, nonchè di due reattori nucleari di terza generazione. Solo quest'ultima operazione vale 8 miliardi di euro. Era proprio questo che intendevo quando scrivevo che la crescita economica cinese non è solo una minaccia, ma può portare con sè anche delle opportunità e dipende solo da noi essere in grado di coglierle. Pensiamoci, prima di invocare dazi protezionistici, perchè in un futuro molto prossimo potremmo essere noi italiani ad aver bisogno del loro mercato più di quanto i cinesi non avranno bisogno del nostro.

martedì 20 novembre 2007

Le due facce di Berlusconi

Quella dell’entusiasmo in piazza San Babila, quella scura nella conferenza stampa del giorno dopo.
Forse bastano le espressioni del volto per comprendere una mossa a sorpresa (ma sicuramente preparata a lungo) che cambia lo scenario e mette fine (per il momento?) alla Casa delle Libertà così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.
Berlusconi spiega ai giornalisti il nuovo partito ed accenna ai motivi positivi che spingono all’unità, ricorda le vittorie elettorali, la manifestazione del 2 dicembre 2006, ma in modo serio ed un po’ amaro spiega che le ragioni che l’hanno spinto a questo passo sono più che altro negative: la fatica di trattare con gli alleati, un sistema politico che non è maturo per il bipolarismo. Il partito unitario lui l’ha sempre promosso, ma dalla faccia che aveva si capisce che non avrebbe voluto farlo nascere con uno strappo così traumatico.
L’apertura a sorpresa al proporzionale puro assomiglia molto ad una fine del sogno, ad un ritorno a quell’Italia che dal ’48 a Tangentopoli ha convissuto con un sistema di partiti che facevano il bello e cattivo tempo a prescindere dagli elettori. Certo la transizione verso un sistema più democratico non è riuscita anche perché, senza cambiare la Costituzione, si possono provare tutte le leggi elettorali del mondo ma non avremo mai Governi veramente stabili e responsabili; però dal ’94 ad oggi gli italiani hanno provato la sensazione di scegliere il proprio capo del Governo e non voglio credere che si possa semplicemente tornare indietro al tempo in cui si votava e poi si aspettavano gli esiti degli incontri riservati dentro e fuori il Quirinale. Da inguaribile appassionato di storia devo trovare un parallelo ed allora mi viene in mente il Congresso di Vienna dove si pensò di risistemare tutto com’era un quarto di secolo prima, ma la storia non si cancella con una firma su un trattato. Spero che, allo stesso modo, chi ha creduto nella possibilità di un centrodestra che si candida unitariamente alla guida del paese continui a lavorare in questo senso, anche se milita nei partiti che stanno rifiutando la proposta di Berlusconi.
Il passaggio più interessante è quello in cui sottolinea che nel futuro partito ci sarà un forte collegamento tra la base ed il vertice e che gli incarichi dovranno essere elettivi. Non ci vuole molta malizia per notare che implicitamente è un riconoscimento che Forza Italia fino ad oggi non ha funzionato in questo modo, si tratta comunque di una lodevole intenzione in un panorama italiano dove la prima preoccupazione dei dirigenti di partito è quella di bloccare sul nascere l’emergere di qualche intruso.
Berlusconi ha fatto molti errori, ma ha anche subito molte scorrettezze dai suoi alleati per cui, oggi, trovare i colpevoli ed attribuire le colpe di questa rottura della CDL è un’impresa difficile e tutto sommato poco utile e comunque ci vorrebbe un libro intero.
L’unica cosa certa adesso è che la situazione è nuova, fluida, nessuno sa quando voteremo, con che sistema elettorale e quali partiti si presenteranno, vorrei che però fossimo tutti consapevoli di una cosa: prima si inizia a discutere (e magari litigare) di quali scelte concrete ha bisogno il paese, meglio è. (ma inizieranno mai???).

mercoledì 14 novembre 2007

Tremonti, il mercatismo e la globalizzazione

Giulio Tremonti nelle sue apparizioni televisive concentra i propri interventi su alcuni argomenti economici di portata generale: la globalizzazione, le nuove potenze economiche asiatiche, il libero commercio. Le sue considerazioni e le sue ricette appaiono abbastanza eretiche rispetto all’ortodossia liberista.
Semplificando il discorso, Tremonti imputa alla crescita economica asiatica, le difficoltà e l’impoverimento della nostra economia e propone di ripensare il libero commercio internazionale stabilendo delle norme che rendano più difficile per le economie emergenti fare concorrenza grazie al basso costo della manodopera ed all’assenza di regolamenti in tema di ambiente, tutela dei lavoratori, sicurezza ecc….
Esporrò per prime le mie perplessità su questo schema, per finire invece con gli aspetti che reputo meritevoli di essere sostenuti.
La prima obiezione è che i problemi denunciati sono piuttosto peculiari della situazione italiana, le difficoltà della nostra economia sono molto più accentuate rispetto alla realtà dei nostri partner europei, che soffrono molto meno di noi le conseguenze della globalizzazione. Non è necessario inventare nulla di trascendentale, è sufficiente guardare ai punti di forza dei paesi simili al nostro e possiamo trovare dei modelli in grado di invertire la decadenza del nostro paese: Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna sono stati in grado di aumentare il proprio benessere anche in questa epoca di concorrenza globale.
Il “mercatismo”, inteso da Tremonti come il dogma che impone il libero commercio, è visto come il meccanismo che ci fa “importare povertà”. In realtà la delocalizzazione delle strutture produttive e l’acquisto all’estero di merci a buon mercato di per sé non significa automaticamente una diminuzione del livello di vita nei paesi economicamente maturi. Il problema è di avere una struttura dinamica in grado di adattarsi, mutando il genere di lavoro svolto ed il genere di impresa. Sappiamo che l’euro ha introdotto una rigidità importante: abbiamo un tasso di cambio prefissato verso l’Europa e non possiamo svalutare verso il resto del mondo quindi è necessario flessibilizzare gli altri fattori.
Il governo dell’Euro segue logiche più o meno discutibili, ma certamente non tarate sulle nostre necessità; questo aspetto non deve però essere enfatizzato: l’Italia è un paese economicamente disomogeneo ed anche governando la lira si doveva tenere insieme esigenze inconciliabili, basti pensare allo squilibrio nord-sud.
Tutto il nostro sistema è debole e deve essere rafforzato sotto tutti i punti di vista: formazione dei lavoratori, evasione fiscale, ammortizzatori sociali…. Tutto deve essere tarato per rendere il sistema competitivo ed in grado di generare benessere diffuso.
Si parla tanto di globalizzazione, ma non bisogna dimenticare che il commercio mondiale è molto lontano dall’essere un sistema di libero scambio e che il liberismo o il neoliberismo va per la maggiore in teoria, ma è poco applicato nella pratica, soprattutto nel nostro paese.
Le economie più libere sono quelle più sviluppate, questo è il dato da cui non si può prescindere. Prima di parlare di dazi o di guerre doganali riflettiamo attentamente: noi dipendiamo disperatamente dalle esportazioni, soprattutto negli ultimi anni la nostra economia ha saputo crescere solo grazie alle esportazioni, rischiamo di scatenare guerre commerciali che ci vedrebbero come i più danneggiati. Altro aspetto da tenere presente in questa ottica: siamo terribilmente piccoli, non illudiamoci di poter imporre la nostra visione o i nostri modelli; negli anni '60 eravamo ancora uno dei paesi più popolati, ma oggi moltissimi paesi ci hanno superato, rappresentiamo meno dell’1% della popolazione mondiale e con un’economia ferma.
La Cina, paese-simbolo degli emergenti percepiti come una minaccia, inonda il mondo con merci a basso costo e spesso scarso valore, ma sta diventando una potenza e lo sviluppo di settori avanzati è dietro l’angolo.
Detto questo è giusto aggiungere che gli squilibri denunciati da Tremonti sono reali, in particolare il deficit commerciale e l’indebitamento privato degli USA sono gravi e possono generare crisi profonde.
Quindi ha ragione su questo: studiare bene la struttura dell’interscambio, il vantaggio che deriva dal commercio internazionale c’è se si importa la stessa merce ad un prezzo inferiore, non se si importa roba di scarsa qualità. In altre parole che vantaggio abbiamo ad importare giocattoli da 1 euro, che si rompono dopo una settimana o bianchetti precotti surgelati che vengono rivenduti da ristoranti alla moda come fossero pesce fresco.
Inoltre il sistema finanziario e monetario appare inadeguato, un mercato funziona bene se c’è un accesso paritario e regole comuni, soprattutto per quello che riguarda i movimenti di capitali, la convertibilità delle valute, le emissioni e l’accessibilità ai titoli. Qui c’è molto da fare e non bastano certi i dazi a metterci al riparo dalle bolle speculative innescate dalla marea di liquidità che circola.

mercoledì 7 novembre 2007

U.R.S.S. e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Uno degli aspetti più oscuri della Seconda Guerra Mondiale è il rapporto tra Giappone e URSS. Formalmente appartenenti ai due blocchi contrapposti, nonostante fossero confinanti si sono praticamente ignorati per quasi tutta la durata della guerra.
In realtà, il primo episodio bellico di vasta portata tra le potenze della II Guerra Mondiale coinvolse proprio questi due paesi. Nell’agosto del 1939 infatti, nella regione di Nomonhan, sul confine tra Mongolia e Cina, i sovietici guidati dal generale Zukov si scontrarono con i giapponesi, sconfiggendoli duramente. Questa battaglia, ricordata come la battaglia del fiume Khalkha, ha posto fine agli scontri sporadici che perduravano nella zona dall’anno precedente. Da allora il Giappone, che già aveva invaso la Cina nel 1937, rivolgerà la propria attenzione verso sud e verso il Pacifico.

La prima osservazione che viene in mente è l’assoluta mancanza di coordinamento delle forze dell’Asse, che durerà per tutta la guerra e che sarà uno dei motivi che le porterà alla rovina: mentre il Giappone si scontra con l’URSS in Estremo Oriente, la Germania firma il patto di non aggressione Ribbentrop- Molotov, con cui si spartisce la Polonia; nel 1941 invece di concentrare le forze contro gli inglesi in Nord Africa per espellerli dal Mediterraneo, i tedeschi invadono l’Unione Sovietica, nello stresso anno giapponesi firmano un trattato di pace con i sovietici ed attaccano gli USA; questi sono gli esempi più eclatanti, per tacere dell’assurda invasione della Grecia da parte dell’Italia….
In realtà nei primi anni di guerra gli assetti delle alleanze non erano così rigidi come sembrò successivamente, vi furono ad esempio le forti tensioni tra Regno Unito e Francia, ci fu anche l’invasione della Finlandia da parte dell’Armata Rossa che sembrò scatenare la reazione degli inglesi, poi però Churchill scelse la priorità: abbattere Hitler e la perseguì ad ogni costo, mettendo tutto il resto in subordine.

L’attacco agli USA da parte della marina nipponica è l’evento che determinerà la sorte finale del conflitto; al momento dell’entrata in guerra gli Stati Uniti sono, in confronto alle altre potenze, un paese praticamente smilitarizzato, ma il loro potenziale industriale li mette in brevissimo tempo in condizione di produrre più armamenti di tutto il resto del mondo messo assieme.

Nel periodo tra il ’39 e il ’45, mentre la guerra infuria su tutti i fronti, l’URSS ed il Giappone rispettano la propria tregua, le ostilità riprendono solo nell’agosto del 1945, Stalin ha il tempo di trasferire le sue forze in oriente e dichiarare guerra: il Giappone ormai stremato e sotto lo choc dei bombardamenti atomici , non opporrà praticamente resistenza, cedendo tutti i territori sul continente.
Così il destino di questi due strani contraenti non belligeranti è opposto: uno perde non solo l’effimero impero conquistato, ma diventa praticamente un paese a sovranità limitata, l’altro si prende ben oltre quanto fosse immaginabile.
Grazie all’arrendevolezza di Roosvevelt i sovietici fagocitano mezza Europa, grazie all’intransigenza di Truman nel Pacifico si prendono anche la Manciuria.

giovedì 1 novembre 2007

Libri

John Keegan - La grande storia della guerra *****
Kenneth O.Morgan (a cura di) - Storia dell'Inghilterra ***
Ludovico Gatto - Il Feudalesimo ***
Ludovico Gatto - Le invasioni barbariche **
Plutarco - Vita di Coriolano e Alcibiade ***
Romolo Staccioli - Gli Etruschi **
Aurelio Lepre - Mussolini l'Italiano ***
Hans Georg Behr - I Moghul imperatori dell'India ***
Steven Pressfield - Le porte di fuoco *****
Tom Clancy - Ogni uomo è una tigre ***
Viviana Zabro - Storia del Far West **
Richard Fletcher - El Cid storia del nobile cavaliere Rodrigo Diaz ***
Le Goff - Il Medioevo. Alle origini dell'identità europea **
Bjorn Kurten - Il primo uomo **
Sabatino Moscati - Italia punica **
Aldo Schiavone - La storia spezzata. Roma antica e Occidente moderno ***
Gianni Granzotto - Annibale ****
Henry Troyat - Alessandro I. Lo zar della Santa Alleanza **
Peter Brown - La formazione dell'Europa cristiana **
Colin Wells - L'Impero Romano **

sabato 27 ottobre 2007

I nostri cugini Neanderthal

Da qualche anno l’analisi del DNA viene compiuta, quando possibile, anche su reperti fossili e questo ha aiutato molto le ricerche sul complicato cammino che ha portato alla comparsa della nostra specie.
L’ultima notizia riguarda la scoperta di un gene, proveniente dal DNA di un uomo di Neanderthal, che indica come il colorito dei capelli di quell’individuo fosse rossiccio. Lo scarso irraggiamento solare delle latitudini europee avrebbe reso questo tipo di mutazione un vantaggio evolutivo, esattamente come per i nostri antenatii. Il tipo particolare di mutazione riscontrato nei Neanderthal è però di tipo diverso e non riscontrato negli uomini moderni. Questo fatto si aggiunge quindi a tutta una serie di indizi che, negli ultimi anni, hanno portato ad escludere una discendenza diretta di uomini moderni dai Neanderthal.
Sostanzialmente appare confermata l’ipotesi che l’Homo Erectus uscì dall’Africa in epoca remota, probabilmente più di un milione anni fa, i suoi discendenti sparsi per il mondo (ma non in America, dove non ci sono reperti così antichi) hanno dato origine a varie “culture”, ma tutte sembrano essersi estinte. Gli Erectus giunti in Europa hanno dato appunto origine ai Neanderthal che sono sopravvissuti fino a circa 25.000 anni fa. Questo significa che hanno avuto il tempo di incontrare i nostri progenitori (Homo Sapiens Sapiens) giunti in Europa 50.000 anni fa. L’Homo Sapiens Sapiens, che appare in tutto simile a noi, discende da alcuni Erectus rimasti in Africa ed esciti dal continente africano meno di 100.000 anni fa. Non sappiamo se questo incontro tra lontani cugini sia stato pacifico o meno, sappiamo che il Sapiens Sapiens produce manufatti che sembrano più avanzati, in ogni caso i Neanderthal sono comunque assai simili ai nostri antenati: usano il fuoco, costruiscono attrezzi, seppelliscono i morti, non sono “umani” dal punto di vista genetico, ma lo sono dal punto di vista del comportamento.
Anche se gli indizi sono contrari non possiamo escludere con certezza che le due specie, anche se differenti, non potessero dare vita ad “incroci”. A complicare il quadro c’è infatti lo scheletro rinvenuto nel 1999 nella zona di Leiria, in Portogallo. Questo scheletro, di un bambino dell’apparente età di 4 anni, mostra caratteristiche ibride. E’ anche possibile del resto, come avviene in altri casi, che le due specie fossero in grado di procreare, ma dando alla luce individui sterili.

giovedì 25 ottobre 2007

Le bugie sulle pensioni

L’informazione è caratterizzata da tormentoni che ciclicamente ci assillano.
Sulle pensioni ci sono due affermazioni che vanno attualmente per la maggiore e che mirano a tranquillizzare i giovani circa il loro futuro. La prima è che con il nuovo accordo sul welfare ai giovani è garantita una pensione pari almeno al 60% del loro stipendio, l’altra è che le pensioni future saranno calcolate sulla base dei contributi versati e quindi un aumento dei contributi è una misura che favorisce i giovani.
Purtroppo si tratta di una presa in giro: stabilire il metodo di calcolo della pensione non garantisce nulla!
Puoi calcolare la pensione come vuoi, ma se non ci saranno i fondi per erogarla, le regole del calcolo verranno inevitabilmente cambiate, come è già successo in passato.
Un tempo l’importo veniva calcolato sulla base della retribuzione ricevuta negli ultimi anni lavorativi, poi il sistema non lo consentiva più e la regola è stata cambiata. Il sistema oggi funziona ancora in questo modo: i contributi versati da coloro che lavorano vengono usati per pagare coloro che sono in pensione. Quindi quando si dice che in Italia è stato introdotto il metodo contributivo si sta parlando solo del metodo di calcolo della pensione. Il sistema contributivo propriamente detto dovrebbe infatti funzionare così: chi lavora mette da parte anno per anno i propri contributi e poi li usa per pagarsi la pensione.
Oggi chi è in pensione si sente dire che è mantenuto dai giovani e giustamente si arrabbia e ribatte: ma io i miei contributi li ho versati! E magari per 40 anni. Però quei soldi sono già stati spesi, usati, dati a qualcun altro. La cosa grave è che, tra l’altro, sono serviti a pagare pensioni di invalidità a falsi invalidi, pensioni agricole a chi non ha mai visto un campo e così via.
C’è poi il capitolo delle pensioni baby: tutti a buttare la croce addosso a questi pensionati quarantenni, ma i pensionati baby non hanno truffato nessuno, la legge gli consentiva di andare in pensione e loro ci sono andati. Lo scandalo è la legge, scandaloso è chi l’ha fatta, scandaloso è che i sindacati non si siano opposti con tutte le loro forze. Sempre pronti alla protesta, quando si è trattato di tutelare e difendere i contributi dei lavoratori hanno preferito sorvolare comodamente sulla questione, tanto qualcuno ci avrebbe pensato in futuro, ecco ci stiamo pensando noi, oggi.

domenica 21 ottobre 2007

Post-italiani

“Post-italiani” di Edmondo Berselli vuole essere un’analisi a tutto campo sul mondo politico e sulla società italiana contemporanea.
Ironia e sarcasmo alleggeriscono ovunque l’amarezza dell’analisi ed il tono complessivo è leggero, il libro risulta di piacevole lettura, con alcuni passaggi, quello sul cinema italiano su tutti, davvero divertenti.
L’autore cerca di non fare sconti a nessuno e picchia duro sia a destra che a sinistra.
I problemi del paese ed i difetti dei suoi abitanti sono elencati impietosamente, però l’impressione generale alla fine della lettura è quella di aver affrontato solo il mezzo vuoto del bicchiere. L’Italia descritta da Berselli è quella che leggi sui quotidiani, è quella che vedi in televisione, un’Italia che assomiglia molto ad un circo di freak; nella realtà, per ora, esiste anche il paese delle persone comuni, delle persone positive, certamente mille motivi, o alibi, tengono queste persone lontane dalla vita pubblica, magari la pensano tutti allo stesso modo ma non credono possibile mettersi assieme per ottenere qualcosa. Mi viene in mente quello che mi diceva tempo fa un caro amico che ha lavorato e vissuto molto tempo all’estero, ultimamente in Germania: “qui, presi singolarmente, non trovi persone più capaci di quelle che trovi nelle aziende italiane, anzi spesso in Italia trovi persone più preparate, che lavorano di più, in grado di svolgere molti compiti… ma qui in Germania fanno sistema, fanno gruppo… e le cose funzionano, tornando in Italia il paragone è sconfortante…”
Tornando al libro anche Berselli, come tutti i commentatori colti, descrivendo il popolo di centrodestra non riesce a sfuggire alla tentazione di fare lo snob ed appiccicare tutte le etichette trite e ritrite già sentite in questi anni: evasori, ignoranti, teleipnotizzati, egoisti, poi il solito sondaggio per cui l’elettore più scolarizzato vota a sinistra (che cosa vuol dimostrare? Fatemi fare il cinico: lo dico da anni che scuola e università italiane sono le peggiori d’Europa, qui anch’io dovrei abbinare il solito sondaggio che dimostra come gli studenti italiani sono asini in matematica…).
Il centrodestra com’è oggi non è il massimo, no sicuramente, e Berlusconi sarà anche un nano, ma i voti li prende, ha vinto due elezioni e ne ha perse altrettante, quindi gli elettori scelgono, giudicano e votano. Ovvio, votano tra le scelte che hanno a disposizione.

giovedì 11 ottobre 2007

Adriano di Mario Attilio Levi

Questo libro di Mario Attilio Levi più che essere una biografia è un’analisi degli aspetti della politica e del contesto in cui l’imperatore Adriano ha operato.
L’autore rifiuta l’immagine classica dell’imperatore che guarda con un occhio di riguardo al mondo ellenico, anzi ne sottolinea la volontà di recuperare alcune peculiarità del mondo romano e, più in generale, occidentale. L’epoca di Adriano sancisce definitivamente però la riduzione dell’Italia a rango di provincia ormai uguale alle altre, anche se è ancora sede del Senato e dell’imperatore.
L’impero ha già la sua fisionomia compiuta da un punto di vista territoriale, da un punto di vista linguistico si è determinata quella divisione a metà tra sfera latina e greca che, alla fine del secolo successivo, segnerà il confine tra parte occidentale e parte orientale.

All’inizio del libro c’è un breve riassunto delle vicende sociali dei secoli precedenti, in questa parte è interessante la tesi secondo cui la divisione tra patrizi e plebei deriverebbe dal fatto che i plebei vivevano nel nucleo cittadino di Roma, mentre i patrizi vivano nelle campagne circostanti. In origine quindi sarebbe stata una distinzione tra mercanti di varia provenienza e possidenti terrieri autoctoni. Questa distinzione è così tenace e profonda da resistere per tutta l’epoca repubblicana, anche quando si è persa memoria di come è nata e ha dato quindi materiale agli studiosi per formulare le ipotesi più varie.
Un altro passaggio da segnalare è quello relativo al malcontento degli italici per le alte imposte pagate che andavano a favore dei residenti dell’Urbe, scontato ma inevitabile il riferimento ai ricorsi storici….

mercoledì 10 ottobre 2007

Underworld

Piccola divagazione cinematografica.
Film: Underworld.
La storia, pur utilizzando le figure strausate dei vampiri e dei licantropi, riesce ad essere originale. Anche il ritmo è buono, su tutti giganteggia la vampira Selene, interpretata da Kate Beckinsale sensuale come non mai. L’unica cosa che non si riesce a comprendere è come mai gli autori abbiano bistrattato così tanto il protagonista, un ignaro ibrido delle due razze, discendente del progenitore di entrambe.
Mentre i vampiri sono tutti affascinanti, con un look curatissimo ed i licantropi quando si trasformano diventano delle specie di muscolosissimi pastori del Caucaso, il protagonista quando si trasforma sembra un ramarro, diciamo che non ci si sono applicati molto.
Come personalità poi è del tutto apatico, cioè scopre di avere dei superpoteri incredibili, subisce trasformazioni terrorizzanti e ha un flirt con una bellissima vampira, nonostante tutto ha sempre un’aria da ebete vagamente annoiato.
In pratica è l’unico film che potrebbe stare tranquillamente in piedi anche senza il protagonista.

domenica 7 ottobre 2007

Ancora libri

un altro piccolo elenco con la mia personale valutazione:

Jack Lindasay - I Normanni **
Robert Graves - I miti greci ***
Paul Faure - Alessandro Magno ***
Fritz Shachermeyer - Pericle **
David Fraser - Rommel ****
Albert Soboul - Storia della Rivoluzione Francese ***
Giuseppe Antonelli - Scipione l'Africano ***
Andrew Robert Burn - Storia dell'antica Grecia ***
John Julius Norwich - Bisanzio ****
Arrigo Petacco - La nostra guerra 1940-1945 ***
Gianpiero Carocci - Storia della Guerra Civile Americana **
Ludovico Gatto - Il Federalismo **
Massimo Teodori - Il sistema politico americano **
Napoleone Colajanni - La Cina contemporanea **
Alfonso di Nola - Maometto ***
Henri Favre - Gli Inca **
Jacques Soustelle - Gli Aztechi **
Sergio Romano - Storia dell'Italia dal Risorgimento ai nostri giorni ***

lunedì 1 ottobre 2007

Guerra e pace

In politica estera dovrebbero valere i principi o le convenienze?
E’ una questione vecchia come il mondo ma che le democrazie non solo non riescono a risolvere ma preferiscono non affrontare del tutto.
Le Costituzioni di tutti i paesi democratici sono ricche di enunciazioni sui valori che stanno alla base dello Stato, valori che si rifanno alla libertà individuale, all’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed alle varie forme di governo, che traggono legittimazione dal fatto di essere espressione di un voto popolare.
Questi principi valgono solo per noi o valgono per tutti?
A parole sono universali, nei fatti però non sembra proprio.
Oggi è la Birmania ad inscenare la tragedia di un popolo condannato al silenzio, ed alla miseria, da una dittatura spietata; ma si può continuare a lungo, con molti esempi, fino ad arrivare a veri e propri genocidi come quello del Darfur in Sudan.
Non si può fare la guerra al mondo, l’Italia in ogni caso non ne avrebbe le risorse, ma l’impressione è che rispetto ad un basso profilo, che sa tanto di ambiguo, qualcosa di più si potrebbe fare.

Nel nostro paese il problema di porsi di fronte a queste tragedie si intreccia con il problema di porsi di fronte all’uso della forza. Perché nel momento in cui si decide che qualcosa bisogna fare, spesso quel qualcosa è la guerra. Ma la parola guerra è diventata un tabù, e quindi le frasi di comodo di sprecano: i nostri soldati fanno solo missioni di pace, non esistono guerre giuste, c’è l’articolo della Costituzione e via dicendo.
La guerra è qualcosa che deve fare orrore, ma se si decide che in Afghanistan non ci devono essere campi di addestramento per terroristi, la guerra bisogna farla. Ci sono tanti modi per farla, si possono valutare i modi per avere il consenso, o almeno la neutralità della popolazione, ma pur sempre guerra rimane.

Mentre in Italia, ma possiamo dire in Europa, in generale c’è una rimozione collettiva della guerra, negli USA l’uso della forza è contemplato tra le opzioni possibili.
Forse perché la guerra più sanguinosa combattuta dagli americani, cioè la Guerra di Secessione, è ormai lontana nel tempo, forse perché c’è un diverso rapporto con le armi, o per altre ragioni culturali, ma nell’iconografia americana la funzione militare resta legata a quella di patriottismo e di dovere, pur con tutte le autocritiche tipiche di una società abituata a mettersi in discussione senza censure.

Oggi l’interventismo è legato al Partito Repubblicano ma è una posizione recente, tradizionalmente l’interventismo americano è di sinistra: i due presidenti delle guerre mondiali Woodrow Wilson e Franklin Roosvelt erano democratici e tipicamente legata al Partito Democratico era l’idea che gli Stati Uniti dovessero intervenire per difendere e promuovere la democrazia. Idea questa riproposta in tempi recenti da Clinton e dai suoi epigoni dell’”Ulivo mondiale”.
La posizione della destra americana era invece legata al cosiddetto isolazionismo: gli USA non dovevano immischiarsi nei conflitti altrui, tra l’altro anche per non importare in casa scontri tra immigrati di provenienze diverse, l’idea è che dovevano al più tutelare i propri interessi commerciali, soprattutto nel continente americano.
C’è quindi alla base una sostanziale divisione tra idealismo e realismo.
L’inversione di tendenza avviene durante il conflitto in Vietnam, nascono i movimenti pacifisti ed il Partito Democratico ne viene influenzato o certa comunque di cavalcarli; all’opposto l’intransigente anticomunismo dei Repubblicani sfocia in un abbandono definitivo del vecchio isolazionismo.

Oggi si usa il termine neoconservatore come sinonimo di ultraconservatore ma in realtà i neocon propriamente detti hanno una posizione analoga al vecchio interventismo del Partito Democratico, da cui infatti alcuni provengono. L’idea di esportare la democrazia è qualcosa che somiglia molto all’arsenale delle democrazie di roosveltiana memoria.
L’11 settembre ha reso terribilmente attuale e urgente una sistemazione che renda il Medioriente meno minaccioso, di conseguenza l’idea di creare democrazie dove c’erano dittature è sembrata una soluzione definitiva praticabile.
Credo sia necessaria una nuova sintesi tra idealismo e realismo nelle politiche estere occidentali.
L’iper pragmatismo della Guerra Fredda, quando si sosteneva qualunque regime impresentabile purchè alleato, è un modello che non deve tornare in auge. Nello stesso tempo però, prima di voler imporre il metodo parlamentare a caro prezzo anche a chi non lo desidera, è giusto valutare se ci sono scorciatoie possibili.

In ogni caso la nostra sicurezza va difesa senza indulgenze; dove è presente una minaccia, dove si preparano azioni ostili nei nostri confronti, dove si proteggono o foraggiano i terroristi, abbiamo il diritto di intervenire con le armi. Non si tratta di usare il processo alle intenzioni come alibi per qualunque azione bellica, ma semplicemente con i nemici di oggi non si può aspettare che sparino per primi per reagire, né si può contare sulla loro benevolenza.
La carota funziona solo quando il bastone è credibile.

venerdì 28 settembre 2007

La miglior autopresentazione mai sentita

A fly in the ointment,the monkey in the wrench, the pain in the ass.
Non male la traduzione italiana, a parte che l'espressione "zeppa nel culo" non l'avevo mai sentita, forse è tipica di qualche altra regione italiana, avrebbe reso meglio l'idea una "zecca nel culo".
Qualche volta anch'io mi sono sentito così, o comunque sono stato percepito così dagli altri, mio malgrado, quello fuori dagli schemi; altre volte avrei voluto esserlo ma mi sono dovuto imporre il contrario.
Comunque quello che mi piace del personaggio di John McClane è il suo essere libero: può tagliare la corda, ma non lo fa, anche se ha tutto da perdere a restare, però lo ritiene giusto e si comporta di conseguenza; è spiantato ma non lo puoi comprare, è solo ma non lo puoi impaurire.

martedì 25 settembre 2007

Etanolo. Mi sono sbagliato: Patorno ha i numeri.

L’ingegnere Luciano Patorno mi ha risposto fornendomi, a grandi linee, i numeri relativi al conto economico dell’impianto da lui progettato, in grado di produrre, con 500.000 tonnellate di biomasse, 160 milioni di litri all’anno di etanolo.

Dai costi stimati emerge dunque la possibilità concreta di arrivare ad un utile annuo di 44 milioni di euro.

Credo quindi che in tempi brevi, compatibilmente con le incrostazioni del sistema burocratico italiano, si possa assistere al primo timido passo verso quella che sarebbe una rivoluzione: carburante dai rifiuti.

Questa vicenda costituisce comunque un ottimo paradigma di come l’innovazione tecnologica, e le leggi del mercato, possono essere la risposta a coloro che vedono solo scenari apocalittici nel nostro futuro. Un enzima geneticamente modificato da una biologa e un impianto in grado di sfruttarlo, progettato da un ingegnere creativo (in questo caso non è un ossimoro :-)) danno una possibilità economicamente praticabile rispetto a quella benzina che fino ad oggi non aveva sostituti.

I catastrofisti di oggi hanno illustri predecessori ed avranno molti epigoni; quando il picco del petrolio o il crollo del dollaro saranno passati senza aver provocato la rivoluzione mondiale, ci sarà qualche altro fantasma da agitare. Però, prima di rassegnarsi all’idea di tornare all’età della pietra, per fortuna qualcuno che studia qualche alternativa c’è.

domenica 23 settembre 2007

Il petrolio finisce. Non c'è problema.

L’era del petrolio è finita, questo di desume dall’articolo pubblicato da “il Giornale” una settimana fa. La cosa dovrebbe rimbalzare da un notiziario all’altro, invece nessun media ha ripreso la notizia, allora, da buon scettico, ho fatto qualche semplice ricerca.
Ma facciamo un passo indietro e riassumiamo l’articolo di Stefano Lorenzetto: un ingeniere genovese, Luciano Patorno ha progettato un impianto che sfrutta una scoperta di una biologa statunitense, Nancy Ho, la quale ha creato degli enzimi in grado di produrre una quantità di etanolo doppia rispetto a quanto di riusciva a fare fino ad oggi.
In pratica in questo impianto si introducono rifiuti ed esce etanolo. I rifiuti utilizzati sono quelli di origine vegetale, inclusi legno, carta, cartone, il costo di produzione è uguale a quello della benzina verde cioè 30 centesimi di euro. Dai soli rifiuti urbani si può arrivare a ricavare il 30% del fabbisogno nazionale ma secondo i calcoli esposti, piantando pioppi nei terreni incolti presenti in Italia, si parla di un milione di ettari, si arriva tranquillamente all’autosufficienza. Così tanto per cominciare mi sono preso un articolo uscito sul Corriere della Sera il giorno 1 maggio, articolo in cui il premio nobel Carlo Rubbia esponeva le prospettive proprio del bio-etanolo. Rubbia citava il pioppo ed il miscanthus come le due piante più adatte allo scopo. La resa indicata da Rubbia per il pioppo è 6.500 litri all’anno per ettaro. Patorno indica 16.000 litri, evidentemente gli enzimi speciali messi a punto dalla dottoressa Ho riescono ad ottenere effettivamente una resa più che doppia. Per il miscanthus Rubbia indica 14.000 litri, ma si potrà arrivare a 35.000 litri. Detto questo e considerando che un impianto costa 65 milioni di euro e che con cento impianti l’Italia è autosufficiente viene da chiedersi perché non parte questa nuova corsa all’oro. Patorno cita una impianto già funzionante in Canada. Questo impianto è gestito da una società che si chiama Iogen. Facendo una rapida ricerca ho trovato questa società nel rapporto ambientale 2006 della Shell, che sostiene di aver investito convintamene nel progetto. Come è naturale sono infatti le società petrolifere ad avere il maggior interesse a sviluppare tecnologie di questo tipo.
A questo punto l’unico freno che posso immaginare è la redditività dell’impianto descritto. In effetti questo dato viene taciuto. Patorno parla di un ritorno annuale di 44 milioni ma, considerando la produzione di 160 milioni di litri, credo che faccia riferimento al fatturato. Quando uno investe però calcola una stima del profitto atteso, cioè spendo 65 milioni per costruire l’impianto? Bene diciamo che voglio un profitto di 13 milioni all’anno tale che in 5 anni mi sono ripagato l’investimento e poi è tutto guadagno. Possiamo cambiare i dati, ma in linea di principio il ragionamento è questo. Quindi dire che fatturo 44 milioni non chiarisce nulla in questo senso. Perché se su 44 milioni me ne rimane 1, allora meglio comprarsi 65 milioni di bot, se invece me ne rimangono 20, allora (viste le dimensioni del mercato) sto per diventare più ricco di Bill Gates.
Tutto questo calcolo dipende da una variabile imprevedibile: il prezzo finale, a sua volta correlato a quello del petrolio. Quindi probabilmente 80 dollari al barile non sono ancora sufficienti a scatenare la corsa all’etanolo da cellulosa, ma se la Shell ci crede forse il prezzo per avere un profitto ragionevole è vicino.
Del resto quanto automobili circoleranno in Cina tra 10 anni?

giovedì 20 settembre 2007

Dati ISTAT, il paese è fermo

Oggi l’Istat ha diffuso il dato sull’occupazione, dietro il dato apparentemente positivo del calo del tasso di disoccupazione si celano numeri preoccupanti.

Il tasso di disoccupazione è sceso perché un numero rilevante di persone che non ha occupazione, soprattutto al sud, ha rinunciato a cercarla.
Il tasso di occupazione, che invece misura quante persone lavorano sul totale della popolazione (indipendentemente dal fatto che uno voglia o no) è diminuito. Ricordiamo che è già uno dei più bassi d’Europa e che nel Mezzogiorno ha valori minimi: lavorano 46,7 persone su cento tra i 15 e i 64 anni. Al nord sono il 66,7 %.

Come fanno notare in molti di fronte a questi numeri, i dati sui consumi procapite non rispecchiano questa differenza e ciò significa una sola cosa, gran parte del differenziale è causato dal “lavoro nero”. La crociata contro l’evasione fiscale capeggiata da Visco e ripresa sui giornali, con roboanti dichiarazioni, sta fallendo, come era facile prevedere e come avevo scritto giusto 3 mesi fa.

Senza una semplificazione fiscale, senza un abbattimento delle aliquote non si può restringere l’area di evasione e non si può di conseguenza combatterla.
I soliti cattivi maestri della dietrologia e del complottismo diranno che questo governo viene messo in difficoltà perché vuole toccare l’evasione fiscale che nel nostro paese è sacra, ma i numeri dicono che ciò è falso. E’ facile sbattere Valentino Rossi in prima pagina per gettare fumo negli occhi dei lettori, è facile anche fare i manifesti con superyacht e stimolando gli istinti peggiori promettere lacrime per gli affamatori del popolo; più difficile dire la verità: i ricconi con residenza e conti bancari all’estero, nella migliore delle ipotesi se ne fregano di me, di voi, di Visco, di Berlusconi, del PD, della CDL, del PDL, della lotta all’evasione, della manovra finanziaria e via dicendo, non gli interessano queste cose perché è sufficiente evitare le stupidate che ha fatto il Valentino Rossi per dormire sonni tranquilli. Nella peggiore delle ipotesi si fanno delle risate pensando a noi poveri cristi, che viviamo con poco e parte di quel poco lo dobbiamo dare pure in tasse.

Io non li invidio, non mi interessa farli piangere, non mi interessa cosa fanno, come vivono e cosa pensano, mi interessa invece il futuro del mio paese e so che, se non cambia il rapporto tra quelli che prendono e quelli che danno, sarà un futuro grigio.

lunedì 17 settembre 2007

Libri Libri Libri

Vi propongo alcuni libri, con annessa valutazione:

5 stelle: imperdibile
4 stelle: molto bello
3 stelle: interessante
2 stelle: c'è qualche spunto di interesse

quelli a una stella e sottozero preefrisco non metterli.

Per i voti, che riflettono unicamente i miei gusti e come tali sono e restano del tutto opinabili, mi sono basato principalmente sulla scorrevolezza della lettura, perchè se è uno è bravo rende avvincente qualunque argomento e poi ho considerato l'originalità delle tesi sostenute e l'interesse dei temi trattati.

Luigi Luca Cavalli Sforza - Geni, popoli e lingue *****
Jacques Soustelle - Olmechi ***
Giovanni Pettinato - Babilonia ****
Andrè Piganiol - Le conquiste dei Romani ***
Johannes Lehman - Gli Ittiti ***
Raymond Cartier - La Seconda Guerra Mondiale ***
Arrigo Petacco - L'armata nel deserto ****
Franco Cardini - Giovanna d'Arco **
Gianni Granzotto - Carlo Magno ****
Gerhard Schweizer - I Persiani da Zarathustra a Khomeini ***
Dennis Mack Smith - Mazzini, l'uomo, il pensatore, il rivoluzionario ***
Martin Gilbert - La grande storia della Prima Guerra Mondiale ***
Max Gallo - La notte dei lunghi coltelli **
Antonio Spinosa - Augusto **
Claudio Azzara - Le invasioni barbariche **
Steve Runcimen - La prima crociata ****
Franco Cimmino - Akhenaton e Nefertiti **
Jean Flori - Riccardo Cuor di Leone ***
Thomas George Eyre Powell - I Celti **
Luciano Canfora - Giulio Cesare, il dittatore democratico ***
Edgarda Ferri - Maria Teresa d'Asburgo **
Carlo Maria Cipolla - Conquistadores, pirati, mercanti ****
Eric John Hobsbawm - Il trionfo della borghesia ***
Furio Sampoli - Costantino il Grande ***
Nicholas Clapp - Ubar ***
Jean-Michel Sallman - Carlo V ***

venerdì 7 settembre 2007

Fini, AN e la destra italiana

Dalla sua nascita nel 1995, Alleanza Nazionale è il principale rappresentante della destra politica italiana. Spesso nella politica italiana le scissioni, le fusioni o le trasformazioni dei partiti sono la reazione ad una perdita di consenso alla quale non si riesce a far fronte, di solito è una reazione che forse rallenta il trend negativo ma non riesce ad invertirlo. La nascita di AN è stato invece un successo perché la trasformazione dell’MSI, con la contestuale scissione di una parte che è voluta rimanere missina tout court, ha raccolto un consenso elettorale molto più ampio della base di partenza.

Facendo la cosa giusta al momento giusto Fini ha vinto, questo è stato senz’altro merito suo, è uscito dalla logica dello sguardo rivolto al passato ed ha costruito un partito di massa, un partito che può governare; ha inoltre sempre puntato alla costruzione di un’aggregazione di centrodestra stabile, che fosse un punto di riferimento costante per una parte dell’elettorato italiano.

Bisogna dire che in 12 anni però il partito non ha saputo accrescere il suo consenso elettorale e questo merita una riflessione, perché se è vero che in Italia non ci sono mai grandi spostamenti elettorali, è anche vero che sia l’agenda politica, sia la società italiana si sono spostate a destra, l’impressione è quindi che ci siano una fetta di elettori potenziali che non vengono convinti.

Io penso che a logorare ed appannare l’immagine di AN sia stato il fatto di aver avuto una certa timidezza ad assumere posizioni decise su alcuni temi come immigrazione, sicurezza, identità nazionale, derivante dal fatto di sentirsi sempre sotto esame da parte dell’opinione pubblica, soprattutto internazionale e dover quindi dimostrare ogni volta di non essere degli squadristi mascherati da democratici.

Si può essere garbati nei modi ma assolutamente intransigenti nei contenuti, si deve fare politica senza complessi altrimenti l’elettore non sa più con chi ha a che fare.

Al di là di questa considerazione generale ci sono state alcune prese di posizione intempestive o inopportune che si sono rivelate controproducenti.

Tra queste ricordo l’iniziativa della “cabina di regia”, quando ci fu la sostituzione di Tremonti. Fini percepì, giustamente, che nel paese c’era uno scontento diffuso verso il Governo e che la linea ufficiale del “va tutto bene” non era la migliore da seguire. Però i problemi maggiori derivavano dall’”effetto euro “, cosa della quale il Governo non aveva responsabilità, mentre la posizione di AN sembrò una sconfessione dell’operato dell’Esecutivo; oltretutto avvenne nel momento in cui Tremonti cercava di far emergere le responsabilità delle banche a danno dei risparmiatori nelle vicende Cirio, Parmalat, titoli argentini (per la cronaca in quel caso Fazio difese le banche e vinse la disputa, qualche anno dopo pestò i piedi alle stesse banche e fu cacciato, quando si dice poteri forti…).

Anche la dichiarazione sulla cittadinanza agli immigrati è criticabile. In astratto il concetto che è meglio integrare che ghettizzare si può condividere, ma la realtà italiana è quella di un paese in crisi demografica assediato da milioni di migranti, è quella di un paese dove intere zone urbane sono già fuori controllo, è quella di un paese in cui né l’economia, né i servizi pubblici sono in grado di assorbire altri ingressi.

Ho qualche perplessità anche su altre questioni come l’ingresso nel PPE, la Costituzione Europea, la scarsa convinzione mostrata nel difendere le riforme costituzionali; invece non considero rilevante la presa di posizione sul referendum relativo alla fecondazione assistita, sia perché ha espresso un’opinione personale, sia perché anch’io non condivido molti punti della legge 40.

In generale Fini resta un leader apprezzato ed apprezzabile, sia per il partito che per la coalizione, sicuramente ha una flemma che lo rende molto efficace negli scontri televisivi, non è mai avventato nelle dichiarazioni alla stampa; sostanzialmente è razionale, affidabile e preparato, certamente sono qualità che lo fanno apparire un po’ freddo, è capace di raccogliere consensi ampi, ma per vincere le elezioni bisogna innanzitutto motivare i propri elettori ad andare alle urne ed in questo Berlusconi ha molto da insegnare, magari è detestato dagli avversari ma è capace di galvanizzare i propri come nessuno, ad esempio quando dice: la prossima volta che torno a Palazzo Chigi faccio una rivoluzione!

martedì 21 agosto 2007

L'era del petrolio



“L’era del petrolio” di Leonardo Maugeri ripercorre la storia del petrolio, le caratteristiche del suo mercato, i rapporti tra società petrolifere, governi e opinione pubblica. Il libro è molto scorrevole, le tesi espresse sono supportate da cifre ed esempi ricavati da casi concreti.

La foto che apre il post non fa parte del libro in questione ma simboleggia bene uno dei concetti base espressi: quando il costo di una risorsa cresce si cercano soluzioni alternative. La foto proviene dal sito della SkySails una società che produce e commercializza dei giganteschi aquiloni che, funzionando come un kite, dovrebbero aiutare lo spostamento delle navi consentendo un risparmio di carburante di almeno 10%. Non so se l’idea avrà successo ma indica proprio come gli attuali prezzi del petrolio stanno mettendo in moto un processo già avvenuto in passato.
Il meccanismo è più o meno questo: quando il prezzo è basso si abbandonano i pozzi da cui è troppo costoso estrarre il greggio, inoltre non ci sono né le risorse né lo stimolo a cercare nuovi giacimenti; in questo modo, lentamente, l’offerta diventa inadeguata e nel momento in cui si manifesta un surriscaldamento della domanda i prezzi cominciano a salire.
Viceversa un periodo di prezzi alti innesca due reazioni: la prima è data da nuove ricerche di giacimenti e la possibilità di avere profitto anche là dove l’estrazione è molto onerosa. L’altra reazione è la sostituzione del petrolio con altre fonti o la ricerca di motori più efficienti. Entrambe le reazioni hanno tempi lunghi ma quando giungono a maturazione provocano un eccesso di offerta ed il crollo dei prezzi. Il libro è ricco di esempi storici di questo andamento schizofrenico e imprevedibile (perché legato a innumerevoli fattori complementari).

Ogni volta che i prezzi salgono, come la fase attuale che stiamo vivendo, sembra che sia un aumento definitivo e che il progressivo esaurimento delle riserve sia imminente. I dati snocciolati dall’autore suggeriscono però che la parola fine sull’era del petrolio è ancora lontana.
Il dato che mi ha impressionato di più riguarda i pozzi: negli Stati Uniti, dove l’industria petrolifera è nata e dove numerose imprese private hanno lottato per la ricerca di risorse sono stati perforati oltre un milione di pozzi esplorativi, in tutto il Golfo Persico ne sono stati perforati 2000!!! Considerando solo il decennio tra il 1995 ed il 2004 il dato è questo: 15.700 pozzi negli USA, meno di 100 nel Golfo Persico. Nel 2005 oltre metà della produzione giornaliera dell’Arabia Saudita, quindi circa 5,5 milioni di barili, provengono da un unico giacimento, Al-Ghawar, entrato in produzione nel 1951. Quindi ad oggi è ragionevole prevedere che, se il petrolio verrà sostituito a breve, non sarà a causa del suo esaurimento.

Piuttosto la criticità sollevata da Maugeri a questo proposito è un’altra: nei paesi più ricchi di greggio l’attività è affidata a società statali altamente inefficienti che sfruttano male i giacimenti, cosa che può portare a rendere i giacimenti stessi non più fruibili ben prima che il greggio ivi contenuto sia finito. Dall’altro lato le società occidentali con la loro tecnologia sono in grado di sfruttare al meglio le risorse, ma hanno spazi in cui operare sempre più ristretti.

I dati più consistenti che suggeriscono l’esaurirsi del petrolio sono quelli relativi alla capacità inutilizzata, che è molto bassa, quindi i paesi produttori stanno estraendo praticamente tutto il greggio che attualmente sono in grado di mettere sul mercato, inoltre le scoperte di nuovi giacimenti sono minori dei consumi annuali. Queste situazioni sono inevitabili alla luce dei due decenni passati di bassi investimenti, ovviamente chi non cerca non trova.

Ecco alcuni effetti delle precedenti fasi di prezzi alti: nel 1980 gli USA consumavano 1,8 barili di petrolio ogni 1000 dollari di PIL prodotto, nel 2004 siamo a 0,6 barili. Nel 1978 consumavano 32 barili a testa all’anno, oggi siamo a 26. Le leggi dell’economia funzionano a prescindere dalle pianificazioni: ciò che è caro viene risparmiato. Oggi tutti gli Stati più avanzati, eccetto l’Italia, non usano petrolio per produrre energia elettrica. Per il momento è insostituibile per i trasporti (e la chimica) ma anche in questi settori, la regola è la stessa.

Questi meccanismi spiegano anche perché il petrolio come arma di ricatto dei paesi produttori nei confronti dei consumatori ha senso solo nel breve periodo, anche di recente il presidente iraniano ha ventilato l’embargo ma a conti fatti ha più bisogno lui dei nostri soldi che noi del suo petrolio.

domenica 19 agosto 2007

Destra Sociale ieri e oggi

Il nuovo movimento di Francesco Storace, denominato La Destra, nasce per raccogliere tutti coloro che, a disagio con la linea politica dettata da Fini ad Alleanza Nazionale, vogliono raccogliersi su posizioni più tradizionali della destra italiana.

Non è solo un problema di contenuti che ha provocato lo strappo ma, a detta dello stesso Storace, anche e soprattutto di metodo: dentro AN non ci sono spazi per esprimere opinioni diverse dal leader e non ci sono regole in grado di garantire alla base di informare ed influenzare i vertici del partito. Su quest’ultimo punto mi è difficile fare una valutazione, non sono mai stato iscritto ad alcun partito e dal di fuori è difficile giudicare se queste accuse sono fondate. Di sicuro dall’esterno si nota uno scarso rinnovamento dei quadri dirigenti, certo la mancanza di figure nuove ed un po’ più giovani è un tratto comune a tutti i partiti.

Sui temi politici ci sono delle cose apprezzabili ed altre a mio avviso più discutibili.

Apprezzabile il fatto di volersi muovere all’interno di una logica di coalizione e di proposta per governare, il nuovo movimento non cerca uno splendido isolamento ma resta all’interno della Casa della Libertà.
Condivisibile la critica di aver lasciato ad altri partiti alcuni temi sentiti nell’opinione pubblica: la sicurezza alla Lega, il cambiamento a Forza Italia, la moralità in politica all’Italia dei Valori.
Ho trovato positivo anche il richiamo a Fiuggi e la volontà di non tornare ad una posizione di politica estera aprioristicamente antiatlantica.

Discutibile l’avversione preventiva per il Liberismo. Discutibile non perché non sia legittimo che una forza politica si proponga altre politiche economiche, ma perché porsi a priori contro il liberismo in Italia è un po’ come essere contro i pinguini in Egitto. Voglio dire che l’Italia non brilla a livello mondiale per il suo libero mercato ma piuttosto per una presenza invasiva dello Stato nella vita economica. C’è da aspettarsi dunque che questa Destra, che vuole essere sociale, espliciti la propria socialità con forme e proposte nuove, perché altrimenti finisce per dare l’immagine di chi difende un vecchio statalismo che lungi dal rappresentare uno Stato forte, rappresenta invece uno Stato che, volendo fare tutto, non riesce a raggiungere nessuno scopo che si prefigge.
Tra l’altro, come ha fatto notare Giordano Bruno Guerri, una delle critiche mosse a Fini è quella di trasformare AN in una specie di DC, ma il sistema economico che sembra proporre Storace assomiglia proprio al modello delle partecipazioni statali democristiano.

Ovvio che la realtà è molto variegata, non tutto ciò che è Stato è come la RAI o l’Alitalia, è importante però ammettere che tante imprese in concorrenza tra di loro possono essere più sociali di un monopolio statale.
A differenza del Movimento Sociale Italiano, che respingeva per principio qualunque classe sociale di riferimento, così come ne respingeva il concetto stesso, Alleanza Nazionale alla sua nascita cercava di esplicitare alcune categorie economiche come interlocutori privilegiati. Queste categorie erano quelle escluse dal binomio Confindustria- Triplice sindacale, che erano preposti a trattare le decisioni politiche ed organizzare il consenso nella Prima Repubblica. AN voleva parlare quindi alla media e piccola impresa, ai professionisti, ai commercianti, agli artigiani, ai disoccupati, ai precari.
A mio avviso tutto l’insieme dei principi e dei programmi di un partito va al di là delle sole questioni economiche e quindi per sua natura si rivolge a tutti, tendenzialmente gli ideali sono universali, i programmi coinvolgono alcune categorie di cittadini, in ogni caso, con o senza blocco sociale di riferimento, le risposte e le proposte alle varie categorie bisogna darle. Sugli ideali la Destra di Storace si è già espressa, sui programmi vedremo nei prossimi mesi.

giovedì 9 agosto 2007

La notizia più importante di oggi

Non so se i giornali ne parleranno o come al solito si dilungheranno a commentare le ultime dichiarazioni inutili del politico di turno, ma oggi la BCE ha immesso qualcosa come 100 miliardi di euro di liquidità sul mercato.
Un intervento di queste dimensioni non si vedeva dai giorni dell'attentato alle Torri Gemelle, evidentemente a Francoforte si sono resi conto che la situazione dei bad loans americani sui mutui potrebbe essere più grave del previsto.
Il fatto clamoroso è che solo martedì, senza che fosse obbligata a farlo, la Banca Centrale ha praticamente preannunciato, per settembre, l'ennesimo rialzo dei tassi di interesse. Nell'arco di due giorni quindi abbiamo assistito ad una inversione ad U, per carità tutti possiamo sbagliare, certo noi comuni mortali quando prendiamo queste cantonate sul lavoro veniamo cazziati, mentre i banchieri centrali non so.
Sarebbe bello che la prossima volta ci andassero più piano con dichiarazioni tipo: prevediamo che le materie prime costeranno di più (bravi dateci anche le quote come fanno i bookmakers)quindi alzeremo i tassi (non è che poi i prezzi delle materie prime aumetano lo stesso e noi ci troviamo cornuti e mazziati e con l'Euro-forte troppo forte?).

mercoledì 1 agosto 2007

Lancio con il paracadute. Lucca, 28 marzo 2004

L'armata nel deserto




“L’armata nel deserto” di Arrigo Petacco è la storia della guerra in Nordafrica durante il secondo conflitto mondiale.

La guerra che ci descrive Petacco è una guerra (forse l’ultima) combattuta tra nemici irriducibili ma rispettosi di quelle regole che, anche in un contesto terribile, cercano di non far perdere un barlume di umanità. A differenza degli altri scenari dove si combatte la Seconda Guerra Mondiale, in Norafrica gli Inglesi, gli Italiani ed i Tedeschi si combattono senza cedere alla crudeltà ed alla spietatezza gratuite.
La figura che domina soprattutto la prima parte del libro è quella di Rommel.
In una guerra fatta di macchine riesce ad imporsi come un condottiero all’antica, che grazie alle sue capacità riesce a dettare la trama agli avvenimenti. Usa la sorpresa, il morale, il movimento come elementi decisivi.

Come si intuisce dal sottotitolo del libro: “Il segreto di El Alamein”, la narrazione è spezzata tra un prima e un dopo la battaglia decisiva.
Il segreto di cui parla Petacco è quello legato al fatto che gli inglesi erano in grado di decriptare le comunicazioni tedesche, con effetti devastanti soprattutto a danno della nostra marina, i cui movimenti conosciuti in anticipo, consentivano alla marina inglese di colare a picco gran parte dei rifornimenti spediti verso l’Africa.
La battaglia di El Alamein in realtà è decisiva solo in quanto punto di svolta non più reversibile ma, a posteriori, appare chiaro che non ci sono segreti e che le sorti erano già decise. L’attimo fuggente in cui il destino è in bilico e basta poco per far pendere le sorti per una parte o l’altra era già passato. Gli eserciti arrivano all’appuntamento con la Storia di El Alamein in situazioni opposte: gli Italiani ed i Tedeschi, per quanto vincenti sono stremati e lontanissimi dai rifornimenti delle retrovie; gli Alleati, invece, anche se in fuga da mesi, hanno raggruppato forze ingenti. Montgomery dispone di più mezzi, più uomini, più munizioni, più carburante, più acqua: può solo vincere.
Ciononostante la battaglia entra giustamente nel mito, il senso del dovere mostrato dai militari italiani, quel senso del dovere, quello spirito di corpo, che ti fa resistere ad ogni costo e che sconfina nell’eroismo, rimarrà per sempre legato a quei luoghi.
I due paragrafi dedicati alle divisioni Ariete e Folgore sono imperdibili, sono due paginette ma valgono da soli l’acquisto del libro. Questo l’ultimo comunicato radio pervenuto dall’Ariete alle 15:30 del 4 novembre: “Carri nemici penetrati a sud dell’Ariete. Conseguentemente Ariete circondata, ma Ariete continua a combattere”.
Dal paragrafo “La morte della Folgore” il resoconto dell’appello del 6 novembre: “…alle 14, esaurite anche le cartucce, il colonnello Luigi Camosso decise di arrendersi…” “…il maggiore Zanninovich dopo avere dato l’attenti, presentò la forza al colonnello: “Ufficiali trentadue, truppa duecentosettantadue”. Erano partiti in cinquemila dall’Italia.”

Ci dicono che noi italiani siamo buoni solo a solo a fregare il prossimo, che non abbiamo amici e alleati, ma solo protettori da adulare e protetti sacrificabili, che siamo inaffidabili, voltafaccia, incapaci di concepire il bene comune; ma la memoria del passato serve a ricordarci che, se lo vogliamo, possiamo essere migliori di come ci descrivono.

martedì 31 luglio 2007

Risparmio energetico 2


I miei cani adorano passeggiare nei boschi, soprattutto se non fa troppo caldo, come loro anch’io amo stare in mezzo alla natura; odio il modo in cui i gas di scarico anneriscono le nostre città e rendono l’aria puzzolente e nociva, proprio per questo cerco di capire come si potrebbe andare verso un mondo più pulito.

Certamente ci sono oggetti che richiedono meno energia per essere prodotti e meno energia per usufruirne di altri. Considerando l’esempio proposto da Scriccia, 50 euro di benzina inquinano di più di 50 euro di biglietto ferroviario. Teniamo però presente che se mille abitanti di una metropoli seguono il comportamento virtuoso e con i soldi risparmiati in bolletta prendono il treno, le ferrovie dovranno mettere in campo un nuovo convoglio che per essere mosso richiede energia elettrica. Io tengo moltissimo all’ambiente e credo che sia una delle sfide più importanti da affrontare, il ragionamento sul risparmio energetico vuole essere un modo per riflettere sul fatto che siamo di fronte a problemi che non hanno risposte a costo zero.

Produzione dell’energia, rifiuti, ambiente, è tutto concatenato. Sicuramente l’approccio che punta sulla responsabilizzazione dei comportamenti individuali, evitare gli sprechi, riciclare ecc. è una parte importante della risposta a questi problemi, ma deve essere accompagnata a delle risposte di “sistema”, ad esempio su come vogliamo produrre l’energia che usiamo. In Italia, per quanto riguarda l’elettricità, usiamo gas e petrolio, una quota carbone e c’è una parte rilevante di idroelettrica. La scelta di puntare, in questi ultimi anni, sul gas mi sembra che sia stata presa senza che a livello politico e di opinione pubblica ci fosse un dibattito sui pro e sui contro, in generale siamo un paese che quando può sceglie di non decidere e questo ci ha fatto diventare il più grande importatore di energia elettrica. Non decidendo come produrla la compriamo dai vicini che la generano prevalentemente con centrali nucleari. Curiosamente, da un punto di vista strettamente economico, questo fatto non è del tutto negativo, visto che, da quanto ho letto, quella che compriamo dall’estero costa meno di quella che ci produciamo in casa.

Il ragionamento che ho fatto nel post precedente cerca anche di spiegare come mai nei paesi dove si sono fatti passi avanti enormi nella direzione del risparmio energetico, ad esempio la Danimarca, l’ammontare complessivo dell’energia consumata non è diminuito.
In realtà un modo per trasformare il risparmio energetico individuale in risparmio complessivo c’è: grazie ai 50 euro che abbiamo risparmiato in bolletta decidiamo di lavorare un giorno in meno. In questo modo a livello aggregato il reddito totale è invariato ma con un livello di consumo energetico minore. La controindicazione c’è però anche in questo caso e non è di poco conto: senza crescita economica, o con crescita negativa, le condizioni economiche di tutti tendono a peggiorare, di conseguenza chi si trova ai limiti della sussistenza scivolerà nella povertà.
Purtroppo, lo dico senza ironia, mantenere 7 miliardi di persone, far uscire dalla miseria intere popolazioni e non inquinare è un cerchio difficile da far quadrare, quasi sempre se si migliora da un lato si peggiora dall’altro, negli anni Cinquanta e Sessanta in Cina si moriva letteralmente di fame: i consumi energetici erano una frazione di quelli odierni.

Comunque non disperiamo, soprattutto nei paesi avanzati, molti passi avanti sono stati fatti, in termini materiali di minori emissioni ed in termini di coscienza del problema. Come italiani dovremmo semplicemente metterci d’accordo e fare delle scelte… beh forse facciamo prima ad aspettare che il resto del mondo salvi il pianeta.

venerdì 27 luglio 2007

Le 20 scene mitiche del cinema


Prendendo spunto dal blog di Dario Vassallo che cita le dieci scene più memorabili della storia del cinema, metto le mie venti (dieci erano poche!):


Il Corvo: vittime lo siamo tutti!



Highlander: Kurgan mozza la testa a Connery NE RESTERA’ SOLO UNO!!


Lo chiamavano Trinità: i mormoni preparano la tavolata per il pranzo, ma arriva la banda di banditi messicani che li perseguitano, stavolta però tra i commensali ci sono anche Bambino e Trinità, cioè Bud Spencer e Terence Hill.




Il cacciatore: alla fine della festa i due amici ubriachi corrono nudi nella notte, l’amico si fa promettere da De Niro che qualunque cosa succederà non lo lascerà in Vietnam, la promessa verrà mantenuta…



Conan il Barbaro: Conan trova la spada degli avi, spezza le catene e rinasce a nuova vita


LA confidential: la scena del poliziotto buono e del poliziotto cattivo



Mission Impossible II: Ethan Hunt, Tom Cruise, facendo un lavoro noioso qund'è in vacanza si diletta con il free climbing



Revenge: Costner cerca di fare una spremuta di agrumi ma con Madeleine Stowe nei pressi è un’operazione difficilissima



Matrix: appare Morpheus e ti chiede pillola rossa o pillola blu?



Il Gladiatore: le gesta che compiamo in vita riecheggiano nell’eternità



Carlito’s way: alla fine del film il sole del cartellone che tramonta



C’era una volta il West: il duello finale tra Charles Bronson e Henry Fonda con flash back e armonica in sottofondo

Alien: il robot viene “riesumato” per sapere la verità sulla missione, poi il negrone gli stacca la testa con un pugno

Rocky: Balboa si allena e ascende la scalinata di Philadelphia

Terminator: senti suonare il campanello apri la porta è che Scharzenegger che ti chiede “è lei Sara Connors?”

Braveheart: "Agonizzanti in un letto, tra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere l'occasione, solo un altra occasione, di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita ma non ci toglieranno mai la libertà!"

The program: Steve Lattimer scelto tra i titolari è così esaltato che spacca i vetri delle macchine a testate.

The Blues Brothers: la casa salta in aria ma loro impassibili partono, hanno una missione da compiere, per conto di Dio…

Una poltrona per due: Dan Aykroyd si risveglia nel suo letto pensa di aver avuto un incubo e si vede davanti Eddie Murphy

L’esercito delle 12 scimmie: Brad Pitt dà del matto a Bruce Willis che lo sta affrontando alla brutta maniera.

lunedì 23 luglio 2007

Modello economico del Fascismo

La difficoltà principale nell’affrontare i temi inerenti al fascismo è che si è trattato di un fenomeno estremamente sfaccettato, che ha avuto una dimensione quotidiana ed una ideale spesso molto distanti, per cui c’è una grande diversità tra ciò che il fascismo è stato, ciò che avrebbe voluto essere, ciò che avrebbero voluto fosse stato quelli che l’hanno vissuto e quelli che sono venuti dopo. In poco più di venti anni il fascismo si trasforma da piccolo movimento politico a regime, attraversando quindi fasi diverse che gli storici si sono applicati ad etichettare in vario modo: età del consenso, periodo delle guerre e via dicendo. Quindi a seconda dell’aspetto e del periodo che si considera troviamo un fascismo un po’ diverso, anche perché mentre Mussolini era impegnato a rafforzare il regime ed a fascistizzare l’Italia, succedeva che la società italiana in qualche modo italianizzava il fascismo, lo normalizzava, in una qualche misura lo svuotava sia degli elementi di innovazione, di cui era portatore, sia di quelli più esecrabili.
Spesso si citano i regimi totalitari del XX secolo e vi si accosta anche il fascismo. In effetti (scusate la contraddizione in termini), il fascismo è stato totalitario solo in parte; ha cioè organizzato in modo autoritario tutta una serie di aspetti della vita individuale: istruzione, organizzazione politica, informazione ecc, ma a differenza dei regimi totalitari tout court, che non concepiscono al loro interno alcuna espressione indipendente dal regime, il fascismo ha permesso la sopravvivenza, o perlomeno Mussolini non ha avuto il coraggio o la forza di eliminare, di organizzazioni, non fasciste. Tra questi elementi che anno convissuto con il regime, partecipandovi ma senza esserne inglobati, ricordiamo la monarchia, parte delle forze armate, la Chiesa cattolica, le cui espressioni politico – sindacali sono state smantellate dallo squadrismo ma che, soprattutto dopo i Patti Lateranensi, hanno potuto ritagliarsi un po’ di spazi per continuare a vivere. Queste forze non hanno saputo comunque frenare i comportamenti più deleteri del fascismo: l’uso della violenza, la censura, il razzismo e nel momento della caduta di Mussolini non hanno saputo impedire lo sfascio del paese.

Il Fascismo non ha un vero modello economico di riferimento, perlomeno non nasce propugnandone uno precisamente definito. Il Fascismo rivoluzionario delle origini si rifà genericamente alla categoria dei produttori, ma in ogni caso il riscatto economico promesso è presentato più come un riflesso derivante dall’edificazione di uno Stato Nuovo, che non il nucleo centrale della nuova ideologia. I valori ed i caratteri che emergono come parole d’ordine del Fascismo toccano marginalmente gli aspetti economici: c’è il nazionalismo, il reducismo, il cameratismo, il militarismo. C’è l’ordine, il dovere, ci sono gli arditi, i futuristi, i dannunziani… il programma economico è meno variegato: il Fascismo nasce come movimento militante antibolscevico. L’uso della violenza è parte integrante di questo obiettivo minimale. Il Fascismo si presenta come garante della proprietà privata, in anni in cui una rivoluzione sovietica sembra plausibile anche in Europa occidentale. Una volta preso il potere, mentre alcuni temi, come l’instaurazione della repubblica, il federalismo, l’anticlericalismo vengono messi da parte, si procede prioritariamente alla costruzione di un sistema fascista all’interno delle strutture esistenti.

Nel frattempo con la Carta del Lavoro il Fascismo esplicita un proprio modello economico che vuole essere una terza via tra Capitalismo e Comunismo. E’ lo Stato Corporativo, nel quale lo Stato ha l’autorità di dirigere e dirimere tutte le questioni relative al mondo produttivo, si afferma tuttavia che “Lo Stato corporativo considera l'iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell'interesse della Nazione” (art. 7), si chiarisce inoltre all’articolo 9 che:
“L’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l'iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello Stato”.
La gestione dell’economia diventa la parte più urgente da affrontare soprattutto quando, alla fine degli anni Venti la recessione colpisce il mondo intero.
Si innesta quindi il processo che porta alla creazione dell’IRI e a un coinvolgimento maggiore dello Stato nella gestione diretta di attività produttive. Questo spostamento verso una statalizzazione avviene però senza che sia elaborato concettualmente un nuovo modello di riferimento.
Il Corporativismo “taglia” la società in modo verticale, respingendo la divisione in classi (bassa, media, alta), propugna invece delle Corporazioni che racchiudano in sé lavoratori, operatori, dirigenti e imprenditori di uno stesso settore produttivo. Di fatto il Corporativismo più che un modello economico è un modello che attiene ai rapporti di lavoro ed alle relazioni sindacali.
Esso appare come un sistema rigido, ma bisogna dire che nasce in un’economia che si evolveva in modo molto meno rapido di oggi, l’Italia degli anni Venti e Trenta è un paese agricolo, basta guardare qualche foto d’epoca delle nostre città e cittadine, un po’ ovunque (non solo in via Gluck!), dove oggi ci sono quartieri all’epoca c’era l’erba, o meglio orti.