lunedì 1 ottobre 2007

Guerra e pace

In politica estera dovrebbero valere i principi o le convenienze?
E’ una questione vecchia come il mondo ma che le democrazie non solo non riescono a risolvere ma preferiscono non affrontare del tutto.
Le Costituzioni di tutti i paesi democratici sono ricche di enunciazioni sui valori che stanno alla base dello Stato, valori che si rifanno alla libertà individuale, all’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed alle varie forme di governo, che traggono legittimazione dal fatto di essere espressione di un voto popolare.
Questi principi valgono solo per noi o valgono per tutti?
A parole sono universali, nei fatti però non sembra proprio.
Oggi è la Birmania ad inscenare la tragedia di un popolo condannato al silenzio, ed alla miseria, da una dittatura spietata; ma si può continuare a lungo, con molti esempi, fino ad arrivare a veri e propri genocidi come quello del Darfur in Sudan.
Non si può fare la guerra al mondo, l’Italia in ogni caso non ne avrebbe le risorse, ma l’impressione è che rispetto ad un basso profilo, che sa tanto di ambiguo, qualcosa di più si potrebbe fare.

Nel nostro paese il problema di porsi di fronte a queste tragedie si intreccia con il problema di porsi di fronte all’uso della forza. Perché nel momento in cui si decide che qualcosa bisogna fare, spesso quel qualcosa è la guerra. Ma la parola guerra è diventata un tabù, e quindi le frasi di comodo di sprecano: i nostri soldati fanno solo missioni di pace, non esistono guerre giuste, c’è l’articolo della Costituzione e via dicendo.
La guerra è qualcosa che deve fare orrore, ma se si decide che in Afghanistan non ci devono essere campi di addestramento per terroristi, la guerra bisogna farla. Ci sono tanti modi per farla, si possono valutare i modi per avere il consenso, o almeno la neutralità della popolazione, ma pur sempre guerra rimane.

Mentre in Italia, ma possiamo dire in Europa, in generale c’è una rimozione collettiva della guerra, negli USA l’uso della forza è contemplato tra le opzioni possibili.
Forse perché la guerra più sanguinosa combattuta dagli americani, cioè la Guerra di Secessione, è ormai lontana nel tempo, forse perché c’è un diverso rapporto con le armi, o per altre ragioni culturali, ma nell’iconografia americana la funzione militare resta legata a quella di patriottismo e di dovere, pur con tutte le autocritiche tipiche di una società abituata a mettersi in discussione senza censure.

Oggi l’interventismo è legato al Partito Repubblicano ma è una posizione recente, tradizionalmente l’interventismo americano è di sinistra: i due presidenti delle guerre mondiali Woodrow Wilson e Franklin Roosvelt erano democratici e tipicamente legata al Partito Democratico era l’idea che gli Stati Uniti dovessero intervenire per difendere e promuovere la democrazia. Idea questa riproposta in tempi recenti da Clinton e dai suoi epigoni dell’”Ulivo mondiale”.
La posizione della destra americana era invece legata al cosiddetto isolazionismo: gli USA non dovevano immischiarsi nei conflitti altrui, tra l’altro anche per non importare in casa scontri tra immigrati di provenienze diverse, l’idea è che dovevano al più tutelare i propri interessi commerciali, soprattutto nel continente americano.
C’è quindi alla base una sostanziale divisione tra idealismo e realismo.
L’inversione di tendenza avviene durante il conflitto in Vietnam, nascono i movimenti pacifisti ed il Partito Democratico ne viene influenzato o certa comunque di cavalcarli; all’opposto l’intransigente anticomunismo dei Repubblicani sfocia in un abbandono definitivo del vecchio isolazionismo.

Oggi si usa il termine neoconservatore come sinonimo di ultraconservatore ma in realtà i neocon propriamente detti hanno una posizione analoga al vecchio interventismo del Partito Democratico, da cui infatti alcuni provengono. L’idea di esportare la democrazia è qualcosa che somiglia molto all’arsenale delle democrazie di roosveltiana memoria.
L’11 settembre ha reso terribilmente attuale e urgente una sistemazione che renda il Medioriente meno minaccioso, di conseguenza l’idea di creare democrazie dove c’erano dittature è sembrata una soluzione definitiva praticabile.
Credo sia necessaria una nuova sintesi tra idealismo e realismo nelle politiche estere occidentali.
L’iper pragmatismo della Guerra Fredda, quando si sosteneva qualunque regime impresentabile purchè alleato, è un modello che non deve tornare in auge. Nello stesso tempo però, prima di voler imporre il metodo parlamentare a caro prezzo anche a chi non lo desidera, è giusto valutare se ci sono scorciatoie possibili.

In ogni caso la nostra sicurezza va difesa senza indulgenze; dove è presente una minaccia, dove si preparano azioni ostili nei nostri confronti, dove si proteggono o foraggiano i terroristi, abbiamo il diritto di intervenire con le armi. Non si tratta di usare il processo alle intenzioni come alibi per qualunque azione bellica, ma semplicemente con i nemici di oggi non si può aspettare che sparino per primi per reagire, né si può contare sulla loro benevolenza.
La carota funziona solo quando il bastone è credibile.

Nessun commento: