martedì 31 luglio 2007

Risparmio energetico 2


I miei cani adorano passeggiare nei boschi, soprattutto se non fa troppo caldo, come loro anch’io amo stare in mezzo alla natura; odio il modo in cui i gas di scarico anneriscono le nostre città e rendono l’aria puzzolente e nociva, proprio per questo cerco di capire come si potrebbe andare verso un mondo più pulito.

Certamente ci sono oggetti che richiedono meno energia per essere prodotti e meno energia per usufruirne di altri. Considerando l’esempio proposto da Scriccia, 50 euro di benzina inquinano di più di 50 euro di biglietto ferroviario. Teniamo però presente che se mille abitanti di una metropoli seguono il comportamento virtuoso e con i soldi risparmiati in bolletta prendono il treno, le ferrovie dovranno mettere in campo un nuovo convoglio che per essere mosso richiede energia elettrica. Io tengo moltissimo all’ambiente e credo che sia una delle sfide più importanti da affrontare, il ragionamento sul risparmio energetico vuole essere un modo per riflettere sul fatto che siamo di fronte a problemi che non hanno risposte a costo zero.

Produzione dell’energia, rifiuti, ambiente, è tutto concatenato. Sicuramente l’approccio che punta sulla responsabilizzazione dei comportamenti individuali, evitare gli sprechi, riciclare ecc. è una parte importante della risposta a questi problemi, ma deve essere accompagnata a delle risposte di “sistema”, ad esempio su come vogliamo produrre l’energia che usiamo. In Italia, per quanto riguarda l’elettricità, usiamo gas e petrolio, una quota carbone e c’è una parte rilevante di idroelettrica. La scelta di puntare, in questi ultimi anni, sul gas mi sembra che sia stata presa senza che a livello politico e di opinione pubblica ci fosse un dibattito sui pro e sui contro, in generale siamo un paese che quando può sceglie di non decidere e questo ci ha fatto diventare il più grande importatore di energia elettrica. Non decidendo come produrla la compriamo dai vicini che la generano prevalentemente con centrali nucleari. Curiosamente, da un punto di vista strettamente economico, questo fatto non è del tutto negativo, visto che, da quanto ho letto, quella che compriamo dall’estero costa meno di quella che ci produciamo in casa.

Il ragionamento che ho fatto nel post precedente cerca anche di spiegare come mai nei paesi dove si sono fatti passi avanti enormi nella direzione del risparmio energetico, ad esempio la Danimarca, l’ammontare complessivo dell’energia consumata non è diminuito.
In realtà un modo per trasformare il risparmio energetico individuale in risparmio complessivo c’è: grazie ai 50 euro che abbiamo risparmiato in bolletta decidiamo di lavorare un giorno in meno. In questo modo a livello aggregato il reddito totale è invariato ma con un livello di consumo energetico minore. La controindicazione c’è però anche in questo caso e non è di poco conto: senza crescita economica, o con crescita negativa, le condizioni economiche di tutti tendono a peggiorare, di conseguenza chi si trova ai limiti della sussistenza scivolerà nella povertà.
Purtroppo, lo dico senza ironia, mantenere 7 miliardi di persone, far uscire dalla miseria intere popolazioni e non inquinare è un cerchio difficile da far quadrare, quasi sempre se si migliora da un lato si peggiora dall’altro, negli anni Cinquanta e Sessanta in Cina si moriva letteralmente di fame: i consumi energetici erano una frazione di quelli odierni.

Comunque non disperiamo, soprattutto nei paesi avanzati, molti passi avanti sono stati fatti, in termini materiali di minori emissioni ed in termini di coscienza del problema. Come italiani dovremmo semplicemente metterci d’accordo e fare delle scelte… beh forse facciamo prima ad aspettare che il resto del mondo salvi il pianeta.

venerdì 27 luglio 2007

Le 20 scene mitiche del cinema


Prendendo spunto dal blog di Dario Vassallo che cita le dieci scene più memorabili della storia del cinema, metto le mie venti (dieci erano poche!):


Il Corvo: vittime lo siamo tutti!



Highlander: Kurgan mozza la testa a Connery NE RESTERA’ SOLO UNO!!


Lo chiamavano Trinità: i mormoni preparano la tavolata per il pranzo, ma arriva la banda di banditi messicani che li perseguitano, stavolta però tra i commensali ci sono anche Bambino e Trinità, cioè Bud Spencer e Terence Hill.




Il cacciatore: alla fine della festa i due amici ubriachi corrono nudi nella notte, l’amico si fa promettere da De Niro che qualunque cosa succederà non lo lascerà in Vietnam, la promessa verrà mantenuta…



Conan il Barbaro: Conan trova la spada degli avi, spezza le catene e rinasce a nuova vita


LA confidential: la scena del poliziotto buono e del poliziotto cattivo



Mission Impossible II: Ethan Hunt, Tom Cruise, facendo un lavoro noioso qund'è in vacanza si diletta con il free climbing



Revenge: Costner cerca di fare una spremuta di agrumi ma con Madeleine Stowe nei pressi è un’operazione difficilissima



Matrix: appare Morpheus e ti chiede pillola rossa o pillola blu?



Il Gladiatore: le gesta che compiamo in vita riecheggiano nell’eternità



Carlito’s way: alla fine del film il sole del cartellone che tramonta



C’era una volta il West: il duello finale tra Charles Bronson e Henry Fonda con flash back e armonica in sottofondo

Alien: il robot viene “riesumato” per sapere la verità sulla missione, poi il negrone gli stacca la testa con un pugno

Rocky: Balboa si allena e ascende la scalinata di Philadelphia

Terminator: senti suonare il campanello apri la porta è che Scharzenegger che ti chiede “è lei Sara Connors?”

Braveheart: "Agonizzanti in un letto, tra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere l'occasione, solo un altra occasione, di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita ma non ci toglieranno mai la libertà!"

The program: Steve Lattimer scelto tra i titolari è così esaltato che spacca i vetri delle macchine a testate.

The Blues Brothers: la casa salta in aria ma loro impassibili partono, hanno una missione da compiere, per conto di Dio…

Una poltrona per due: Dan Aykroyd si risveglia nel suo letto pensa di aver avuto un incubo e si vede davanti Eddie Murphy

L’esercito delle 12 scimmie: Brad Pitt dà del matto a Bruce Willis che lo sta affrontando alla brutta maniera.

lunedì 23 luglio 2007

Modello economico del Fascismo

La difficoltà principale nell’affrontare i temi inerenti al fascismo è che si è trattato di un fenomeno estremamente sfaccettato, che ha avuto una dimensione quotidiana ed una ideale spesso molto distanti, per cui c’è una grande diversità tra ciò che il fascismo è stato, ciò che avrebbe voluto essere, ciò che avrebbero voluto fosse stato quelli che l’hanno vissuto e quelli che sono venuti dopo. In poco più di venti anni il fascismo si trasforma da piccolo movimento politico a regime, attraversando quindi fasi diverse che gli storici si sono applicati ad etichettare in vario modo: età del consenso, periodo delle guerre e via dicendo. Quindi a seconda dell’aspetto e del periodo che si considera troviamo un fascismo un po’ diverso, anche perché mentre Mussolini era impegnato a rafforzare il regime ed a fascistizzare l’Italia, succedeva che la società italiana in qualche modo italianizzava il fascismo, lo normalizzava, in una qualche misura lo svuotava sia degli elementi di innovazione, di cui era portatore, sia di quelli più esecrabili.
Spesso si citano i regimi totalitari del XX secolo e vi si accosta anche il fascismo. In effetti (scusate la contraddizione in termini), il fascismo è stato totalitario solo in parte; ha cioè organizzato in modo autoritario tutta una serie di aspetti della vita individuale: istruzione, organizzazione politica, informazione ecc, ma a differenza dei regimi totalitari tout court, che non concepiscono al loro interno alcuna espressione indipendente dal regime, il fascismo ha permesso la sopravvivenza, o perlomeno Mussolini non ha avuto il coraggio o la forza di eliminare, di organizzazioni, non fasciste. Tra questi elementi che anno convissuto con il regime, partecipandovi ma senza esserne inglobati, ricordiamo la monarchia, parte delle forze armate, la Chiesa cattolica, le cui espressioni politico – sindacali sono state smantellate dallo squadrismo ma che, soprattutto dopo i Patti Lateranensi, hanno potuto ritagliarsi un po’ di spazi per continuare a vivere. Queste forze non hanno saputo comunque frenare i comportamenti più deleteri del fascismo: l’uso della violenza, la censura, il razzismo e nel momento della caduta di Mussolini non hanno saputo impedire lo sfascio del paese.

Il Fascismo non ha un vero modello economico di riferimento, perlomeno non nasce propugnandone uno precisamente definito. Il Fascismo rivoluzionario delle origini si rifà genericamente alla categoria dei produttori, ma in ogni caso il riscatto economico promesso è presentato più come un riflesso derivante dall’edificazione di uno Stato Nuovo, che non il nucleo centrale della nuova ideologia. I valori ed i caratteri che emergono come parole d’ordine del Fascismo toccano marginalmente gli aspetti economici: c’è il nazionalismo, il reducismo, il cameratismo, il militarismo. C’è l’ordine, il dovere, ci sono gli arditi, i futuristi, i dannunziani… il programma economico è meno variegato: il Fascismo nasce come movimento militante antibolscevico. L’uso della violenza è parte integrante di questo obiettivo minimale. Il Fascismo si presenta come garante della proprietà privata, in anni in cui una rivoluzione sovietica sembra plausibile anche in Europa occidentale. Una volta preso il potere, mentre alcuni temi, come l’instaurazione della repubblica, il federalismo, l’anticlericalismo vengono messi da parte, si procede prioritariamente alla costruzione di un sistema fascista all’interno delle strutture esistenti.

Nel frattempo con la Carta del Lavoro il Fascismo esplicita un proprio modello economico che vuole essere una terza via tra Capitalismo e Comunismo. E’ lo Stato Corporativo, nel quale lo Stato ha l’autorità di dirigere e dirimere tutte le questioni relative al mondo produttivo, si afferma tuttavia che “Lo Stato corporativo considera l'iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell'interesse della Nazione” (art. 7), si chiarisce inoltre all’articolo 9 che:
“L’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l'iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello Stato”.
La gestione dell’economia diventa la parte più urgente da affrontare soprattutto quando, alla fine degli anni Venti la recessione colpisce il mondo intero.
Si innesta quindi il processo che porta alla creazione dell’IRI e a un coinvolgimento maggiore dello Stato nella gestione diretta di attività produttive. Questo spostamento verso una statalizzazione avviene però senza che sia elaborato concettualmente un nuovo modello di riferimento.
Il Corporativismo “taglia” la società in modo verticale, respingendo la divisione in classi (bassa, media, alta), propugna invece delle Corporazioni che racchiudano in sé lavoratori, operatori, dirigenti e imprenditori di uno stesso settore produttivo. Di fatto il Corporativismo più che un modello economico è un modello che attiene ai rapporti di lavoro ed alle relazioni sindacali.
Esso appare come un sistema rigido, ma bisogna dire che nasce in un’economia che si evolveva in modo molto meno rapido di oggi, l’Italia degli anni Venti e Trenta è un paese agricolo, basta guardare qualche foto d’epoca delle nostre città e cittadine, un po’ ovunque (non solo in via Gluck!), dove oggi ci sono quartieri all’epoca c’era l’erba, o meglio orti.

martedì 17 luglio 2007

Gran bella cosa il risparmio energetico, ma...

C’è in corso una vasta campagna per sensibilizzarci ad un uso responsabile delle risorse energetiche. Devo dire che qui in zona, in Liguria, il risparmio non è certo una novità, anzi è sempre andato di moda. Mi ricordo, ad esempio, che già parecchi anni fa, quando ero piccolo, i miei genitori mi dicevano di non lasciare la luce accesa nella stanze da cui uscivo. Sono quindi cresciuto con una convinta avversione verso ogni forma di spreco. Lo spreco è antieconomico: un’impresa che spende 1.000 euro di bolletta, quando potrebbe spenderne 500, si priva di risorse impiegabili in altro modo. Il punto debole della campagna è proprio questo: i cosiddetti ecologisti fanno passare il messaggio che il risparmio possa essere la soluzione del problema energetico, cioè usiamo meno la lavastoviglie e così chiudiamo una centrale termoelettrica.
Questa è un’idea priva di senso: il risparmio che realizzo in bolletta o andando in bicicletta invece che in macchina si traduce in maggior reddito disponibile. Ciò significa che avrò più soldi a disposizione con cui posso, ad esempio, comprarmi un condizionatore d’aria, o farmi un week end in vacanza (consumando carburante), o comprarmi qualsiasi oggetto che ha richiesto energia per essere prodotto. Quindi il mio comportamento virtuoso accresce la mia ricchezza ma non riduce il fabbisogno energetico nazionale. Volete la controprova? Negli ultimi decenni l’efficienza energetica degli elettrodomestici, delle centrali, dei motori è andata aumentando eppure la quantità di energia consumata è aumentata ugualmente. L’unica via per ridurre i consumi globali è lavorare meno, guadagnare meno, consumare meno, cioè la recessione, l’impoverimento. Quindi abbasso gli sprechi, viva il risparmio, che ci fa più ricchi, MA non risolve il problema di produrre energia e di decidere come farlo.

domenica 15 luglio 2007

Milton Friedman di Antonio Martino


La biografia di Milton Friedman scritta da Antonio Martino è un vero concentrato di spunti interessanti. Il libro è scritto in modo volutamente semplice e richiede solo una “infarinatura” generale di nozioni economiche per poter essere seguito ed apprezzato, è un testo imperdibile per chiunque voglia mettere alla prova le proprie convinzioni in materia di libero mercato, statalismo, inflazione e benessere economico.

Martino descrive l’ambiente accademico degli anni ’60, in cui i precetti keynesiani erano dogmi indiscussi, sottolineando come l’opera di Friedman abbia riaperto i giochi mettendo in discussione ed in definitiva smentendo quel tipo di approccio. Avendo fatto l’Università negli anni ’90 devo peraltro dire che qui da noi Keynes vandava ancora piuttosto forte.
Non posso non citare dal libro questi passaggi su Keynes che descrivono così bene un atteggiamento mentale molto diffuso ancor oggi nel nostro paese:

“il suo statalismo (di Keynes of course) è paternalistico ed aristocratico, basato sulla concezione che sia diritto e dovere della borghesia colta dirigere gli affari del Paese”

… infatti:

“intento di Keynes è, scopertamente, quello di persuadere le elites, siano esse politiche o accademiche o culturali; ciò in perfetta coerenza con le sue origini ed il suo temperamento aristocratico. Nei suoi scritti politici Friedman invece si rivolge all’opinione pubblica, all’uomo della strada, e questo sia per la sua radicata , profonda sfiducia nei confronti di politici, uomini d’affari, intellettuali, gente che conta, sia per quella sua inclinazione democratica, frutto delle sue umili origini.”

E mentre le politiche suggerite da Friedman mettono a repentaglio le rendite di posizione dei ceti privilegiati, in primis i politici, all’opposto:

“Keynes sosteneva tesi molto gradite all’establishment e ai politici, di cui l’applicazione delle sue ricette di politica economica allargava enormemente il potere”

Il libro affronta il ruolo della moneta, dei cambi, dei tassi di interesse e dei sindacati. Dimostrando che questi ultimi non possono creare inflazione, ma possono invece creare disoccupazione. Per inciso si dimostra anche l’inesistenza del legame inverso tra inflazione e disoccupazione.

Un’obiezione comune alle politiche liberiste è che i mercati non sono in equilibrio lasciati a loro stessi, si tratta però di un’obiezione ad un’argomentazione inesistente, infatti Martino chiarisce che i mercati non raggiungono l’equilibrio automaticamente da soli, dimostra però che le politiche interventiste nel migliore dei casi non servono, ma spesso peggiorano gli squilibri.

Un’ultima citazione: “è sbagliato credere che l’efficienza sia il prodotto di manager qualificati; è esattamente vero il contrario: i manager qualificati sono il risultato di mercati efficienti, che eliminano gradualmente quanti non riescono a rispettare le regole della concorrenza”.

Ambiente competitivo, adattamento, selezione: tutte premesse per lo sviluppo economico.
Ma in Italia, mentre celebriamo la nascita di grandi gruppi bancari, le imprese italiane sono quasi assenti dai settori più innovativi.

sabato 14 luglio 2007

LUPO SOLITARIO

Le sere che mi sento particolarmente stanco, lascio stare il computer e guardo qualcosa in televisione. Spesso la cosa migliore da vedere è qualche vecchio film e quindi mi è capitato di recente di rivedere per l’ennesima volta “Il Santo” con Val Kilmer. Il film è leggero, non si preoccupa certo della verosimiglianza, ma ha tutti gli ingredienti che mi fanno piacere una trama: c’è un po’ di azione, c’è il buono che è anche un po’ cattivo, c’è una fanciulla da conquistare e da salvare. Capita talvolta, quando si rivede un film, di fare caso a particolari o frasi che le altre volte non si erano notate e così aprendo il mio blog mi è venuta in mente la scena in cui il protagonista, per conquistare una bella scienziata, cerca di delinearne la personalità, i sogni, le debolezze e le qualità. Azzecca il profilo facendo colpo, anche perché aveva letto il diario della stessa, introducendosi furtivamente in casa sua e quindi ha avuto gioco facile nel toccare le corde giuste. Lei però prende la palla al balzo e senza trucchi fa una radiografia dell’anima del Santo, cosa che lo colpisce profondamente, facendone vacillare le sicurezze ed il distacco professionale con cui affronta la missione di carpire una formula segreta elaborata dalla scienziata stessa, interpretata da Elisabeth Shue.

Aprendo quindi il mio blog mi sono fatto un po’ di auto-psicoanalisi, soffermandomi in particolare sull’immagine che fa da sfondo alla testata.
Non ricordo esattamente come avevo trovato l’immagine del lupo nel bosco, ma mi era piaciuta subito e quindi l’ho adottata come sfondo. Quel lupo solitario mi rappresenta bene, un lupo solo.

Solo contro tutti, solo contro il mondo. Un lupo che cerca nella penombra del bosco un po’ di pace.
Ti guardo e ti vedo lupo solitario, sei stanco ma non puoi fermarti. Hai un fuoco dentro, sei un lupo che ama la lotta, ma è un fuoco che ti può consumare e se troppo represso non si controlla. Nel branco diventa invece un’energia positiva che si trasmette agli altri.
Il branco però non c’è più, ululi al cielo per la rabbia e perché non ti rassegni ma il branco non c’è più.
Il branco è disperso per il mondo, è troppo indaffarato, come te, ad allevare i propri cuccioli, a svolgere mille compiti, spesso poco eccitanti per valere la pena di essere raccontati. Ma i membri del branco non si dimenticano, tu ti ricordi di loro e loro si ricordano di te; possono essere lontani, possono essere isolati da qualche parte, ma uno del branco è come un fratello. Per questo basta incrociarne anche uno solo per riscoprire lo spirito positivo, che ti fa apprezzare tutto il resto, che ti fa apparire il mondo diverso e migliore.

martedì 3 luglio 2007

Marxismo 3, la lotta di classe

Tra i luoghi comuni(sti) più propagandati c’è sicuramente quello della lotta di classe; affermazione che esce continuamente nei proclami dell’estrema sinistra, quasi che a furia di essere ripetuta possa materializzarsi prima o poi. E’ stata richiamata durante le primarie per l’elezione a sindaco di Genova, dal poeta Edoardo Sanguineti, che ne ha fatto il suo slogan, invitando addirittura a rispolverare l’odio di classe. E’ chiaro che essendo poeta, per lui i sentimenti sono strumenti di lavoro, è quindi naturale che abbia scelto un sentimento per giustificare le proprie idee, peccato che abbia scelto l’odio, ma ha avuto almeno il pregio di essere sincero e di chiamare le cose con il proprio nome, contrariamente a molti dei suoi giovani adepti che mascherano l’odio dietro altri termini come ad esempio pace, Palestina, poveri del mondo e via dicendo.
Io, che poeta non sono, più modestamente affronterò l’argomento da un punto di vista più ragionato.

Il concetto di classe è naturalmente molto antico e nei secoli si evolve incessantemente. Nell’antichità era spesso collegato a differenziazioni funzionali; il concetto adoperato dalla sinistra comunista risale invece agli inizi della Rivoluzione Industriale e sostanzialmente si rifà al pensiero di Karl Marx.
Questo studioso, osservando la realtà del tempo, aveva elaborato la seguente divisione: ci sono i lavoratori da una parte ed i capitalisti dall’altra. I lavoratori producono la ricchezza, una parte viene riconosciuta loro con la corresponsione del salario, il resto chiamato profitto viene intascato, per Marx in pratica rubato, dal capitalista.
Se questa analisi fosse corretta o meno all’epoca della formulazione è una questione sulla quale ora voglio sorvolare per giungere nel nostro terzo millennio e vedere come stanno le cose.

Intanto è bene chiarire che la figura del Capitalista racchiude in sé due funzioni diverse, che spesso sono svolte da due persone diverse: una è quella di direzione/organizzazione dell’azienda; l’altra è quella di avere la proprietà dell’azienda.
Può darsi che il proprietario si occupi della sua azienda o che se ne disinteressi del tutto; in quest’ultimo caso di fatto l’attività imprenditoriale è svolta da colui che comanda, ma non rischia.
Ora il profitto in realtà va a remunerare queste due funzioni, cioè paga il lavoro del direttore/organizzatore/imprenditore e paga il proprietario per il rischio che corre.
Con questo non voglio dire che per definizione gli stipendi degli amministratori delegati sono sempre giustificati, anzi abbiamo molti esempi in cui non lo sono; lo stesso dicasi per la remunerazione del capitale, ad esempio un capitale impiegato in regime di monopolio non è che corre molti rischi, eppure spesso viene remunerato in maniera ingente.
In ogni caso chi possiede un capitale può detenerlo in forma di banconote sotto il cuscino; oppure comprarsi dei titoli di Stato, oppure assumere delle persone comprare dei macchinari esercitare insomma una attività, è ovvio che si tratta di tre opzioni con diverso grado di rischio e di conseguenza dalle quali ci si aspetta un diverso grado di remunerazione.
E’ vero che se uno eredita un ingente capitale si ritrova ricco senza alcun merito e che tutti, io compreso, vorremmo fare cambio con lui assumendoci pure il rischio di impresa, ma ciò non toglie che sono le imprese investendo a creare la ricchezza che poi circola.

La cosa più interessante è analizzare la condizione dei lavoratori e vedere se veramente la classe esiste e se la lotta che devono intraprendere è quella che dicono i marxisti.
Ecco che se Marx si risveglia oggi ha una sorpresa! A decurtare pesantemente il salario non c’è solo il profitto ma il prelievo fiscale, inoltre tale prelievo decurta pesantemente il profitto stesso, che nella logica marxista è dei lavoratori. Lo Stato intasca una quantità ingente del salario, sia in via diretta che indiretta, quindi è del tutto incoerente richiamarsi al marxismo e tradirne il principale fondamento, cioè la difesa del salario; ma la cosa più grave non è il comportamento dei partiti che hanno tale ispirazione, perché in quanto partiti dovrebbero comunque avere un bilanciamento di interessi di natura diversa, ma è più grave l’atteggiamento dei sindacati che non solo non difendono il salario dalle tasse, ma sono ferocemente ostili a quelle forme contrattuali che riportano parte del profitto in busta paga, ad esempio nei modi indicati dal professor Ichino quando descrive forme di contrattazione aziendale in deroga al Contratto Collettivo Nazionale.

Il limite concettuale più grosso della lotta di classe è che non si riesce a definirla, come già faceva notare, tra gli altri Paul Ginsborg nella sua analisi sulla società italiana. L’altro limite è che nella realtà i lavoratori si trovano ad avere interessi economici legittimi contrastanti. Ciò può avvenire tra settori diversi, ad esempio la destinazione di un’area può favorire i lavoratori di certe imprese rispetto ad altre; chi lavora in imprese che lavorano per il mercato nazionale possono essere avvantaggiati da certe politiche che invece danneggiano quelle dedite all’export. Il conflitto fondamentale è poi tra lavoratori del privato e quelli del pubblico, il sindacato pretende di rappresentare entrambi ma è come se un avvocato divorzista rappresentasse in una causa entrambi i coniugi. Un altro esempio è quello di cui si discute in questi giorni circa l’età pensionabile: chi vuole abolire lo scalone sta rappresentando gli interessi economici dei lavoratori che senza scalone andrebbero in pensione a 57 anni, ma non può pretendere di rappresentare anche gli interessi dei lavoratori giovani, perché i soldi se li dai ai pensionati cinquantasettenni, allora li prendi da chi resta al lavoro. Il resto è propaganda o inganno.
Come abbiamo visto il passo dalla lotta di classe all’odio di classe è breve, ma vista la difficoltà ad individuare le classi e di dare delle risposte realistiche per difenderne gli interessi, tutto si converte più banalmente in odio politico.
Il nemico diventa semplicemente chi la pensa diversamente, chi vota diversamente, a questo si riducono le grandi lotte per l’emancipazione delle masse.