domenica 23 settembre 2007

Il petrolio finisce. Non c'è problema.

L’era del petrolio è finita, questo di desume dall’articolo pubblicato da “il Giornale” una settimana fa. La cosa dovrebbe rimbalzare da un notiziario all’altro, invece nessun media ha ripreso la notizia, allora, da buon scettico, ho fatto qualche semplice ricerca.
Ma facciamo un passo indietro e riassumiamo l’articolo di Stefano Lorenzetto: un ingeniere genovese, Luciano Patorno ha progettato un impianto che sfrutta una scoperta di una biologa statunitense, Nancy Ho, la quale ha creato degli enzimi in grado di produrre una quantità di etanolo doppia rispetto a quanto di riusciva a fare fino ad oggi.
In pratica in questo impianto si introducono rifiuti ed esce etanolo. I rifiuti utilizzati sono quelli di origine vegetale, inclusi legno, carta, cartone, il costo di produzione è uguale a quello della benzina verde cioè 30 centesimi di euro. Dai soli rifiuti urbani si può arrivare a ricavare il 30% del fabbisogno nazionale ma secondo i calcoli esposti, piantando pioppi nei terreni incolti presenti in Italia, si parla di un milione di ettari, si arriva tranquillamente all’autosufficienza. Così tanto per cominciare mi sono preso un articolo uscito sul Corriere della Sera il giorno 1 maggio, articolo in cui il premio nobel Carlo Rubbia esponeva le prospettive proprio del bio-etanolo. Rubbia citava il pioppo ed il miscanthus come le due piante più adatte allo scopo. La resa indicata da Rubbia per il pioppo è 6.500 litri all’anno per ettaro. Patorno indica 16.000 litri, evidentemente gli enzimi speciali messi a punto dalla dottoressa Ho riescono ad ottenere effettivamente una resa più che doppia. Per il miscanthus Rubbia indica 14.000 litri, ma si potrà arrivare a 35.000 litri. Detto questo e considerando che un impianto costa 65 milioni di euro e che con cento impianti l’Italia è autosufficiente viene da chiedersi perché non parte questa nuova corsa all’oro. Patorno cita una impianto già funzionante in Canada. Questo impianto è gestito da una società che si chiama Iogen. Facendo una rapida ricerca ho trovato questa società nel rapporto ambientale 2006 della Shell, che sostiene di aver investito convintamene nel progetto. Come è naturale sono infatti le società petrolifere ad avere il maggior interesse a sviluppare tecnologie di questo tipo.
A questo punto l’unico freno che posso immaginare è la redditività dell’impianto descritto. In effetti questo dato viene taciuto. Patorno parla di un ritorno annuale di 44 milioni ma, considerando la produzione di 160 milioni di litri, credo che faccia riferimento al fatturato. Quando uno investe però calcola una stima del profitto atteso, cioè spendo 65 milioni per costruire l’impianto? Bene diciamo che voglio un profitto di 13 milioni all’anno tale che in 5 anni mi sono ripagato l’investimento e poi è tutto guadagno. Possiamo cambiare i dati, ma in linea di principio il ragionamento è questo. Quindi dire che fatturo 44 milioni non chiarisce nulla in questo senso. Perché se su 44 milioni me ne rimane 1, allora meglio comprarsi 65 milioni di bot, se invece me ne rimangono 20, allora (viste le dimensioni del mercato) sto per diventare più ricco di Bill Gates.
Tutto questo calcolo dipende da una variabile imprevedibile: il prezzo finale, a sua volta correlato a quello del petrolio. Quindi probabilmente 80 dollari al barile non sono ancora sufficienti a scatenare la corsa all’etanolo da cellulosa, ma se la Shell ci crede forse il prezzo per avere un profitto ragionevole è vicino.
Del resto quanto automobili circoleranno in Cina tra 10 anni?

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