domenica 25 luglio 2010

"La guerra dopo la guerra" di Fabio Mini

Il sottotitolo “Soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale” dice molto sull’oggetto del libro e ne costituisce il motivo di interesse. Che cosa è oggi la guerra, come si sviluppa e dove porta? Mi sembra un argomento cruciale soprattutto in Italia dove la discussione si ferma al fatto se quella in Afghanistan è una guerra oppure no. Come se mettere un’etichetta, una definizione potesse per magia cambiare ciò che avviene sul campo. Secondo i criteri classici del XX secolo non è una guerra, considerando che uno scontro frontale con la NATO è impossibile direi che quella è certamente una guerra. Dove i nostri soldati stanno facendo egregiamente il proprio dovere e sarebbe bello che venisse riconosciuto loro, se poi la nostra Costituzione vieta il genere di missione che stanno compiendo, non saprei giudicare, certo sarebbe una ragione in più per aggiornare la nostra Legge Fondamentale.
La partenza del libro è stata abbastanza choc perché praticamente la penso in modo diametralmente opposto su ogni concetto espresso nell’introduzione. Si parla in modo discutibile di imperialismo, quando credo che semplicemente e concretamente avviene che in ogni epoca qualche paese o gruppo esprime una superiorità militare, tecnologica, economica, scientifica o anche di pensiero, questa superiorità finisce per tracimare i confini nazionali e va inevitabilmente ad influenzare i paesi vicini e lontani. Questo prescindere dalla volontà di potenza del popolo o delle classi dirigenti che esprimono queste superiorità. In ogni caso serve a poco stigmatizzare un imperialismo (in questo caso americano) se la valutazione prescinde dalle alternative espresse in un dato momento a livello mondiale, insomma possiamo forse davvero compiacerci del fatto che la Birmania viene lasciata nella sfera di influenza cinese?
Anche dal punto di vista economico gli argomenti addotti mi sembrano più dichiarazioni di principio che vere e proprie analisi. Abbastanza curioso il passaggio in cui, dopo aver tinteggiato a tinte fosche i liberi mercati, afferma che “la legge del libero mercato e della libera competizione non ha senso se sul mercato esiste uno più forte di tutti o uno più competitivo perché appoggiato da un sistema di privilegi”, ma, dico io, è certo che è proprio così, quando uno ha dei privilegi rispetto agli altri il mercato non è libero, quindi l’esempio portato smentisce proprio la tesi che voleva dimostrare! Forse l’autore voleva stigmatizzare l’ipocrisia dei politici che a parole fanno i paladini del mercato e poi vanno in direzione opposta, ma dalle pagine precedenti non sembrerebbe.
Molto discutibile anche mescolare colonialismo e terrorismo, d’altra parte nel XIX secolo praticamente tutto il mondo era un dominio coloniale europeo, quindi qualunque fenomeno descriviamo può essere sovrapposto geograficamente a quei domini; peraltro uno dei concetti più interessanti del libro è quello della motivazione al combattimento, per cui in certe circostanze l’obiettivo della guerra è semplicemente la guerra stessa. Mi sembra che questa definizione calzi bene su molti militanti islamici, per i quali fare la guerra è già una finalità in sé che non richiede il raggiungimento di obiettivi politici. Basti ricordare gli adolescenti iraniani che correvano verso le trincee dell’Iraq per raggiungere il martirio; i responsabili della Repubblica Islamica dovettero moderare il loro indottrinamento convincendo i ragazzi del fatto che prima di raggiungere le vergini in paradiso sarebbe stato opportuno far fuori qualche nemico. Quindi presentare il terrorismo come risposta all’imperialismo mi sembra discutibile, più ragionevole vederla come risposta asimmetrica dovuta alla sproporzione di forze in una guerra convenzionale.
Quando poi dai discorsi molto astratti e di sistema si passa ad analisi più operative e militari mi trovo più vicino a quanto espresso dal generale Mini. Interessante e derivata dalla sua esperienza sul campo la parte relativa al fatto che oggi non ci sono più occupazioni militari, appena cacciato il nemico subentrano l’ONU, personaggi locali, civili di varia estrazione, creando i presupposti per instabilità e crisi a tempo indeterminato.
Molto bello il capitolo intitolato “Elogio del guerriero” in cui si afferma tra l’altro che “per essere guerrieri bisogna occorre una particolare cultura che porti il combattente a essere consapevole di poter uccidere e di rischiare di morire; inoltre i guerrieri non si limitato a uccidere e morire: devono decidere se uccidere o non uccidere e badare alla propria sopravvivenza… la decisione di uccidere o non uccidere sono responsabilità di ciascun guerriero. La guerra alla quale sono chiamati i militari può cambiare di nome, ma non di sostanza. Le stesse operazioni di pace o quelle definite diverse dalla guerra, se richiedono l’uso delle armi e della forza presentano tutti i rischi della guerra. Eliminare i guerrieri nella presunzione che la guerra in senso tradizionale sia finita, significa ignorare la realtà, fingere e non disporre più di un elemento culturale prima che operativo, che ha un rapporto etico e tecnico ben definito e prevedibile con la guerra, con la pace, con la morte e con il potenziale avversario o alleato, qualsiasi snaturazione dell’identità del guerrieri porta alla snaturazione del rapporto tra uomo e guerra e quest’ultima viene poi fatta lo stesso, ma con altre regole e da persone con motivazioni e riferimenti etici diversi o imprevedibili e, per questo, pericolose ”…”Tra gli uomini i Guerrieri sono persone normali. Non necessariamente appartengono agli eserciti. Ci sono guerrieri tra i civili e le forze dell’ordine. Sono uomini normali che hanno una missione da compiere che condividono un compito da portare a termine, che ritengono accettabile. Sono uomini normali che sono coscienti dei rischi e dei mezzi a disposizione. I guerrieri sono fatti per la guerra. Qualunque guerra. A differenza dei non-guerrieri, dei tecnocrati e dei burocrati che comunque possono essere coinvolti nelle guerre, essi sanno benissimo che prendendo parte alla guerra, essi hanno assunto il rischio di uccidere e di morire”.

Nessun commento: