venerdì 16 marzo 2012

Lavoro, lavoro... o disoccupazione

Il progresso economico avviene con il cambiamento. I capitali investiti lasciano settori non più profittevoli o superati e si dirigono verso nuovi settori o vecchi settori tornati interessanti. Gli investimenti sbagliati producono perdite e contrazione nel volume di prodotti e servizi erogati, i capitali investiti con profitto producono espansione della produzione. Un sistema dove i lavoratori passano dalle vecchie produzioni alle nuove è un sistema in evoluzione. Le politiche per l’occupazione più efficaci sono quelle che agevolano questa transizione, quelle che aiutano i lavoratori a cambiare, a riqualificarsi, a superare senza traumi il periodo di riallocazione. Che effetti avrebbe avuto una politica economica statale anticiclica volta a mantenere in vita le fabbriche di carrozze trainate dai cavalli, quando nel mondo si cominciava a vendere automobili?

La chiusura delle imprese inefficienti, non significa la sparizione dei relativi fattori di produzione, ragion per cui l’analogia con la selezione naturale non è corretta: un animale morto è fuori dal gioco. Invece le persone e i macchinari coinvolti nella precedente esperienza potranno essere reimpiegati in nuove attività economiche. Sicuramente questo processo di riconversione ha dei costi, talvolta elevati, talvolta in grado di bloccare il sistema economico per lungo tempo.

Spesso questa ovvia constatazione viene fraintesa, deducendo che la disoccupazione sia un elemento necessario al capitalismo o all’economia di mercato. Tale fraintendimento nasce anche dal concetto marxista di “esercito di riserva”. Ma si tratta in entrambi i casi di un’inversione tra causa ed effetto. Lo sviluppo economico non necessita di disoccupati da cui attingere, ma lo sviluppo economico produce disoccupati che sono temporanei a meno che politiche sbagliate non li facciano diventare di lungo corso.

La remunerazione del lavoro dipende dalla saggio di profitto del capitale, detto in parole povere, se un’attività, ad esempio una pizzeria, consegue molti utili, potrà pagare buoni stipendi a tanti dipendenti, in caso contrario bassi stipendi a pochi o nessuno. E’ vero che tutto ciò dipende anche dal numero di pizzaioli e camerieri disponibili. Ma se tutti smettono di mangiare pizza e mangiano sushi, così come se tutti comprano automobili invece di calesse, la presenza di un esercito di riserva di pizzaioli ed ebanisti non è di alcun giovamento al sistema economico, sia che questo sia capitalista o meno, e indipendentemente dal fatto che il capitale sia privato o pubblico. E’ ovvio anche che se lo Stato interviene prendendo soldi dal settore automobilistico per tenere aperte le fabbriche di calesse, sta riducendo la profittabilità del primo settore a vantaggio del secondo e… a svantaggio di tutti. Il lavoro non si può inventare, se per abbassare la disoccupazione una Regione assume cento persone per contare i gabbiani che volano, si capisce che in realtà sta distruggendo occupazione e che le risorse di quel posto di lavoro ne avrebbero potuto creare un numero maggiore se inserite in un’attività di mercato. Del resto si può confrontare il dato sull’occupazione di alcune regioni del sud Italia con quelle del nord per averne la riprova (anche se questa non è ovviamente l’unica causa della disoccupazione al sud).

La disoccupazione in Italia non nasce purtroppo da un eccesso di innovazione o dalla robotizzazione delle fabbriche. E’ piuttosto dovuta al peso fiscale, alle leggi sul lavoro, alla formazione inadeguata e chi ne fa le spese sono le categorie più deboli, quelle che a parole tutti difendono, ma poi nella sostanza non si fa nulla per migliorarne la condizione.

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