sabato 17 febbraio 2007

Analisi del Marxismo 1

Si è parlato molto, in questi giorni di indagini ed arresti legati alle Brigate Rosse, se c’è e qual è l’ambiente che favorisce il nascere di questi gruppi eversivi, si è parlato a tal proposito, facendo un parallelo con la coltivazione dei germi in laboratorio, di “brodo di coltura” e con un banale gioco di parole sostituendo una vocale, cerco di capire perché il loro “brodo di cultura” giustifica la violenza.
Certamente tra i fini ed i mezzi usati dai brigatisti c’è una distanza talmente abissale da rendere incomprensibile per le altre persone il loro comportamento, voglio dire: come possa l’omicidio di uno studioso portare alla realizzazione del Comunismo è una cosa che solo loro possono spiegarci e che rivela una dissociazione patologica tra pensiero e azione, oppure una azione fine a sé stessa, cosa di una gravità sconcertante trattandosi della vita umana. In ogni caso anche la pazzia quando si manifesta lo fa in un contesto culturale ed è questo contesto che fornisce alla pazzia la forma in cui esprimersi e ossessioni delle quali nutrirsi.
Milioni di persone si definiscono comuniste e non farebbero male ad una mosca, ma se questa ideologia ragiona in termini di complotto, sfruttamento, di democrazia come finzione, di masse ingannate e schiavizzate, allora può accadere che qualcuno voglia usare tutti i mezzi per cambiare le cose.

Questa cultura di riferimento con la quale ci dobbiamo confrontare, cioè il marxismo, propugna infatti una serie di enunciati che vengono assunti acriticamente, soprattutto in Italia, come verità evidenti e inoppugnabili; voglio fare riflettere, chi avrà il tempo di leggermi, su quanto siano irrazionali e contraddittori questi enunciati, pronto sempre, in ogni caso, a ricevere le vostre critiche ai punti del ragionamento su cui non concordate.

Prima di giungere al nocciolo del problema, cioè la realizzazione del Comunismo, preferisco partire da un tipico luogo comune dell’analisi storica ed economica marxista: i paesi ricchi sono tali perché impoveriscono e mantengono il resto del mondo nel sottosviluppo.
Voglio partire da qui perché se questo enunciato fosse vero basterebbe da solo a giustificare la lotta armata, viste le immani tragedie che la povertà del Terzo Mondo porta con sé.
Per capire subito che come schema non funziona utilizziamo la prova “a contrariis”: se lo schema fosse vero, un impoverimento dei paesi ricchi dovrebbe portare dei benefici a quelli poveri; dalla Rivoluzione Industriale in avanti è sempre successo invece che quando i paesi sviluppati vanno in crisi, (in recessione) quelli poveri precipitano in una crisi ancora più profonda. Sempre se fosse vero questo luogo comune, dovrebbe accadere quanto segue: ogni volta che un paese passa dal gruppo dei poveri a quello dei ricchi, quelli poveri dovrebbero peggiorare la loro condizione perché c’è uno sfruttatore in più: nella realtà accade l’opposto. Molti paesi che erano alla fame si sono aggiunti al gruppo dei paesi sviluppati, soprattutto in Asia e, mentre la popolazione mondiale è passata da 3 a quasi 7 miliardi di persone, il numero di quelle che vivono nell’indigenza assoluta è variato di poco.
Questo è un punto molto importante perché se vogliamo aiutare le persone che vivono nella privazione dei più elementari beni, a partire dal cibo, dobbiamo capire perché ciò avviene e perché alcuni paesi in questi ultimi anni ce l’hanno fatta ed altri no.
La ragione fondamentale per cui questo luogo comune non rispecchia la realtà è che la ricchezza non è una grandezza statica che viene spartita, cioè non è come una torta: se io me ne prendo due pezzi qualcun altro rimane senza. Il benessere dei paesi sviluppati è qualcosa che cresce tutti i giorni a seguito del lavoro delle persone che vi abitano. Ragioniamo un momento: in un certo luogo, tutte le persone lavorano duramente su un campo, per ottenere alla fine della giornata un panino che serve a malapena per arrivare al mattino dopo. Un giorno uno di questi contadini riesce ad ottenere abbastanza grano per dieci panini. Questo può accadere per varie ragioni legate all’innovazione, all’investimento; ora non approfondisco questo aspetto di provenienza e titolarità del capitale, che affronterò in uno dei prossimi scritti ma mi concentro sulla produzione della ricchezza. Il contadino che ha dieci panini ne mangia due, altri due ad esempio li scambia con il vicino, che a sua volta raddoppia quindi la propria quantità giornaliera di reddito, in cambio può lavorare nel campo del vicino ricco oppure vendergli dei cesti di vimini che ha deciso di produrre, invece di coltivare il campo. La differenza è data dalla produttività del lavoro che facciamo, cioè da quanta ricchezza riusciamo a produrre durante la giornata lavorativa. Il riflesso di questo postulato lo vediamo nella struttura del PIL dei paesi sviluppati confrontato con quello del Terzo Mondo, nei primi la maggior parte della ricchezza è prodotta dal settore terziario, nei paesi poveri quasi tutta la popolazione lavora nell’ambito dell’agricoltura. Tornando brutalmente al mondo reale vediamo che l’economia tedesca cresce in modo più robusto rispetto agli scorsi anni ed ecco che anche l’Italia fa qualche passo avanti

Certo non tutto è oro quel che luccica ed i rapporti tra paesi sono pur sempre rapporti di forza dove lo squilibrio è notevole, ma pensare che a noi convenga avere un continente africano allo sbando è semplicemente assurdo. Un aumento del reddito reale degli africani farebbe aumentare o diminuire i profitti dei capitalisti europei? A voi l’ovvia risposta.

Ma se non sono i ricchi che rubando ai poveri li rendono tali, perché i poveri sono poveri? Forse perché non hanno l’opportunità di svilupparsi. Come ogni buona tesi anche quella marxista che abbiamo analizzato ha il suo corollario: le politiche neoliberiste a partire dai famigerati anni ’80 hanno peggiorato le cose. Su questo punto sarò breve: di liberismo in giro per il mondo se ne trova davvero poco, perché chi governa tende a tenere sotto il proprio controllo la maggior parte possibile di flussi economici. Se proprio vogliamo attenerci ai dati, guardiamo alle classifiche che misurano la libertà economica nei vari paesi: in tutti i paesi sottosviluppati l’economia è pesantemente sotto tutela, non è affatto libera ma controllata dallo Stato, da coloro che lo dominano attraverso dittature e dai loro amici. Qualche volta questi regimi si richiamano apertamente all’esperienza sovietica, qualche volta no, ma comunque la applicano.
Non credo alle panacee, il mondo è molto complesso per ridurre tutto ad una questione di vincoli all’iniziativa personale, ma se il libero mercato non basta da solo a produrre sviluppo, certamente ne rappresenta una precondizione.
Se vogliamo trovare altre cause bene, ci avvicineremo alla soluzione del problema, ma per favore non incolpiamo il liberismo di affamare popoli che vivono in paesi dove di liberismo non c’è nemmeno l’ombra.

Così chiudo questa parte se vi è piaciuta non perdetevi la prossima nella quale analizzeremo la prima obiezione al mio ragionamento: “va bene forse queste cose sono vere, ma solo perché non si può realizzare il Comunismo in un solo paese se tutti gli altri remano contro”, vedremo quindi il funzionamento di un mondo in cui il Comunismo governa su tutto il pianeta.

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