mercoledì 19 marzo 2008

Iraq, perchè la guerra non andava fatta

20 marzo 2003 cominciava la seconda guerra in Iraq, 5 anni in cui gli USA hanno visto rapidamente mutare davanti a sé il nemico: prima l’esercito di Saddam, poi la guerriglia dei nostalgici, di Al-qaeda e quella delle milizie sciite.

A mio avviso c’erano 3 buone ragioni per non iniziare quella guerra:

- La prima è che strategicamente conviene concentrare le forze: la guerra in Afghanistan non era (e non è) finita, ai Talebani si oppongono sparute forze Nato. Metà del contingente iracheno significherebbe un incremento tale delle forze in campo in Afghanistan da rendere possibile il controllo del territorio, in un paese che mal si presta ad essere occupato. Gli USA hanno uno strapotere di fuoco tale da poter annientare numerosi nemici contemporaneamente, ma se il progetto è sostituire i regimi che proteggono i terroristi con Governi non ostili, allora ci vogliono soldati, tanti soldati e tanta pazienza e non conviene cominciare un lavoro senza averne finito un altro.

- La seconda ragione è che non c’era un progetto definito sulla linea da seguire dopo la vittoria militare. L’unico progetto dichiarato è la creazione della prima democrazia del mondo arabo. Progetto ambizioso e comunque, di fatto, il più lungo da realizzare, soprattutto mantenendone l’unità territoriale; anche perché il primo requisito per una democrazia è che i suoi cittadini la vogliano e le guerre civili incrociate viste in Iraq gettano qualche dubbio in proposito.

- Terzo motivo: era chiaro a tutti che le tensioni tra Curdi; Sunniti e Sciiti potevano sfociare in un disgregamento della convivenza; è stato facile per i vicini, Siria e Iran, che si sono sentiti minacciati, fomentare le divisioni e destabilizzare il paese, allontanando da sé il pericolo di un intervento americano.

C’è poi il problema dei costi che va sempre tenuto presente ogni volta che si spende, in questo caso c’è da chiedersi: le stesse cifre potevano accrescere maggiormente la sicurezza nazionale impiegate in modo diverso?

Il Governo Americano, reagendo agli attacchi dell’11 settembre, disse che non avrebbe tollerato che degli Stati potessero dare asilo, finanziare, addestrare, proteggere gruppi terroristici e che la creazione di paesi democratici in Medio Oriente sarebbe stato l’unico antidoto all’estremismo islamico, il ragionamento è sensato e da appoggiare. Indubbiamente l’Iraq era uno Stato ostile, uno Stato che aveva risorse economiche e tecniche per essere molto pericoloso. Saddam aveva sviluppato ed usato armi di distruzione di massa contro gli stessi propri cittadini e nella nuova dimensione assunta dalla sfida di Al-qaeda all’Occidente c’era il rischio che trovasse una convergenza, anche temporanea con il terrorismo binladista, cedendo armi chimiche a coloro che non avrebbero problemi ad usarle nelle nostre città. Una volta iniziata la guerra il nemico ha dimostrato di essersi preparato per tempo predisponendo una strategia di logoramento simile a quella che incontrarono gli israeliani durante l’occupazione del Libano. Si è quindi palesato il rischio che il disfattismo avesse la meglio e che si giungesse, come in Vietnam, a perdere la guerra senza aver perso una battaglia.
Bisogna dire che se la strategia dei baathisti fatta di ordigni sul ciglio della strada poteva essere prevista, meno prevedibile la valanga di kamikaze che gli estremisti islamici hanno messo in campo, quasi sempre con bersaglio i civili iracheni.

Se la pistola fumante delle armi di distruzione di massa non è stata trovata (come era ovvio), l’Iraq ha dimostrato però che la “guerra al terrorismo” non è un’invenzione. Quasi ogni giorno, per mesi ed anni, i terroristi sono riusciti a mettere in campo almeno “un martire” pronto a portare morte ed accendere lo scontro.

Tenerli impegnati in Iraq li ha alleggerito il pericolo di attentati in Occidente?
Probabilmente sì, peraltro l’Europa è molto più esposta degli USA al rischio di essere infiltrata dai terroristi, eppure sembra riluttante a perseguire la strategia di tenere i fanatici concentrati su obiettivi al di fuori dei nostri confini.

Oggi sembra che il risultato di stabilizzare l’Iraq sia a portata di mano, la strategia promossa dal generale Petraeus sta avendo successo, la questione decisiva è capire quando il paese potrà mantenere una normalizzazione accettabile con le sole proprie forze. Le operazioni contro formazioni di insorti richiedono tempi molto lunghi, pensiamo ad esempio all’esercito britannico che ha operato in Irlanda del Nord per 38 anni prima di ritirarsi lo scorso anno.
Forse la guerra non andava iniziata, ma è necessario portarla a compimento con determinazione perché il nemico di oggi è altrettanto pericoloso del regime abbattuto e non è possibile ritirarsi lasciandogli campo libero.

5 commenti:

gabbianourlante ha detto...

sul piatto della bilancia mettici pure che adesso si vota, però....
penso che sia una cosa da ricordare...
un saluto...

Massimo ha detto...

E se, invece, fosse "solo" iniziata troppo tardi con la melina di Saddam e le complicità di Chirac e Schroeder ? :-)

Freeman ha detto...

wzx Gabbiano: certamente sì, la rimozione di un regime simile è sempre una cosa buona e giusta, volevo però porre la questione che è meglio affrontare un nemico alla volta per conseguire in pieno i propri obiettivi, inoltre ci sono molti incubatori di futuri pericoli (Somalia, Sudan) o regimi comunque ostili (Birmania)tanto per fare qualche esempio, dove l'impiego di risorse pari alla guerra irachena sarebbe stato probabilmente risolutivo;
x Massimo: quello francese e tedesco fu un atteggiamento grave che incoraggiò Saddam a non cedere, se l'Europa si schierasse compatta, risoluta e minacciosa a fianco degli USA, molti tirannelli in giro per il mondo scenderebbero a più miti consigli...

CampaniArrabbiata ha detto...

Aggiungici un 4° punto: avremmo evitato la recessione imminente!

Freeman ha detto...

no penso che la recessione sia dovuta alla politica inflazionistica della Fed (con annesse bolle e debiti facili) ed agli squilibri creati dalla forte crescita mondiale di questi anni (costi crescenti x materie prime)