lunedì 19 ottobre 2009

La bella e giovane società multiculturale (in casa degli altri)

Il dibattito sull’immigrazione nel nostro paese procede per slogan, qualche titolo di giornale desunto da una breve intervista, poca strategia e poche idee chiare su come affrontare realisticamente e concretamente il fenomeno, in generale posizioni di principio poco argomentate sul fatto di essere a favore o contro la società multietnica prossima ventura. Qui urge un chiarimento: non so se esistono società multietniche, certamente esistono nel mondo molti territori multietnici, sono il risultato di alcuni processi storici del passato: colonialismo, schiavismo, guerre, migrazioni. Multietnico non è né buono né cattivo, certamente è complicato. Possono esistere Stati multietnici oppressivi oppure liberali, quindi usare multietnico come sinonimo di progresso e di democratico è certamente sbagliato. In ogni caso la convivenza di popoli diversi è un processo molto difficile da gestire e da realizzare, possiamo idealizzare ed astrarre quanto vogliamo ma la realtà è questa. Chi sostiene il contrario nega l’evidenza, è sufficiente un esempio: nel Partito Democratico la linea ufficiale è per una società multietnica, eppure loro stessi che non riescono ad essere multiculturali al loro interno, come possono pretendere che riesca ad esserlo l’Italia intera? Molti hanno infatti invocato l’espulsione dei teodem dal partito per le posizioni assunte su alcuni temi. Magari votano alla stessa maniera nel novanta per cento dei casi eppure è sufficiente dividersi su alcune questioni per sentirsi inconciliabili. Lo stesso problema si pone per uno Stato democratico, dove in presenza di culture diverse le occasioni di scontro si moltiplicano; in democrazia la maggioranza impone le proprie scelte alla minoranza, questa situazione quando tocca convinzioni radicate, magari religiose crea tensioni molto forti che possono facilmente indurre alla violenza. Ci sono dei comportamenti tradizionali di alcune zone del mondo che da noi sono reato, essere multietnici significa che dobbiamo permetterlo anche in Italia? Quindi abbiamo due alternative di fronte: accettare che gli stranieri venuti in Italia formino delle “isole” autonome, degli Stati dentro il nostro Stato, dove si regolano come sono abituati, oppure integrarli, farli diventare italiani, con il rispetto della loro storia, delle loro origini ma italiani. Per fare questo non serve dare loro la cittadinanza o il voto, un passaporto e considerare il problema risolto, semmai quello è l’ultimo passo di un percorso. Anche perché la prima soluzione, quella dei ghetti, dei quartieri separati è la negazione dello Stato di Diritto, così come lo concepiamo, per cui la prima regola è che la legge tutela tutti ed è uguale per tutti. Nelle discussioni si cita sempre la parola magica: integrazione. Chiariamo che cos’è l’integrazione: significa avere una casa, un lavoro, conoscere ed accettare la nostra cultura, la nostra lingua, le nostre leggi. Per poter integrare servono da parte degli stranieri la volontà di farlo, da parte degli italiani la volontà e molte risorse. Esiste quindi uno stringente problema numerico: è più facile integrare diecimila persone o dieci milioni? Chi è contrario ad una politica restrittiva sull’immigrazione, se non vuole fare retorica, deve fornire i numeri: quanti immigrati possiamo accogliere? Sappiamo che nel mondo ci sono un miliardo di persone praticamente alla fame ed almeno un altro miliardo in situazione di grave indigenza: hanno tutte il diritto di stabilirsi qui?
Un paese come il nostro, dove nel giro di pochi anni gli immigrati sono passati da alcune migliaia a quattro milioni, è in evidente difficoltà a produrre politiche adatte a raggiungere lo scopo. Del resto il nostro paese è in difficoltà produrre politiche adatte in qualunque materia! Certamente la Costituzione garantisce la libertà di espressione e quella religiosa ed in taluni casi si possono verificare conflitti tra convinzioni religiose e leggi dello Stato. In questi anni il tema ha riguardato in particolare le comunità islamiche. Del resto gli stessi capi integralisti in Europa non hanno fatto mistero della loro strategia: utilizzare tutte le libertà garantite per espandersi e fare propaganda e sopprimerle il giorno in cui saranno abbastanza forti per poterne farne a meno. Da questo punto di vista la proposta di insegnare a scuola la versione “moderata” dell’Islam ha una sua logica, però la giudico velleitaria in quanto ai fini e sbagliata sui presupposti. Circa i presupposti credo che la formazione religiosa degli individui sia responsabilità esclusiva della propria famiglia. L’ora di religione a scuola non deve essere un’ora di Catechismo, di qualunque fede si tratti, ma un’ora per approfondire la conoscenza della Religione e degli aspetti religiosi e spirituali dell’esistenza, aspetti che l’uomo da sempre affronta e che almeno in parte devono fare parte del “bagaglio culturale” (che espressione orribile…) di ogni individuo. Detto questo resta da scegliere quale religione. L’dea di insegnare tutte le religioni è semplicemente inapplicabile, considerando i tempi a disposizione si tratterebbe di liquidare in poche righe argomenti vastissimi. Solo per conoscere il modo approfondito il Cristianesimo non bastano anni di studio! Pensiamo solo agli scritti dei padri della chiesa, ai Concili, agli scismi, alle eresie. Quindi dovendo scegliere la mia opinione è che l’ora di religione debba approfondire la cultura religiosa del proprio paese, anche per cercare di capire la propria società e le proprie radici, quindi il Cristianesimo e le religioni tradizionali italiche ed europee dovrebbero essere secondo me la materia d’insegnamento. Per arginare l’estremismo è meglio puntare sull’espulsione di coloro che lo fomentano e lo praticano, anche se ammetto che non è facile farlo senza introdurre reati d’opinione, cosa rispetto alla quale sono totalmente contrario.
In conclusione mi sembra che il dibattito stretto tra la criminalizzazione indiscriminata dello straniero ed il buonismo utopico sia inutile. Noi abbiamo il diritto di scegliere chi e quanti possono venire e restare, abbiamo il dovere di rispettare ed aiutare coloro che vengono. Chi arriva, se non approva i nostri costumi, deve andarsene. Chi desidera diventare italiano e per il momento peraltro si tratta di una piccolissima minoranza, può farlo con una scelta cosciente e consapevole nell’ambito della legge attuale.

2 commenti:

Massimo ha detto...

Sì, l'ispirazione di fondo è la medesima. Io sono stato più esplicito richiamando la religione dei nostri Avi. Un po' provocatoriamente, un po' seriamente. Chissà ... ;-)

Anonimo ha detto...

FINALMENTE un articolo più interessante di quello sui ghiacciai! ma non mi è chiaro se ti riferisci anche a soggetti tigrati che, ti segnalo, hanno pienamente adottatoe accettato le regole del posto in cui vivono (mangiare, dormire e giocare: abitudini adottate da tre individui su cinque).