mercoledì 1 dicembre 2010

il Manifesto dei Conservatori

Il libro “Manifesto dei Conservatori” di Roger Scruton, ha lo scopo di fare il punto su che cosa significa e cosa dovrebbe significare oggi essere Conservatore, naturalmente inteso nel senso anglosassone del termine.
Il primo spunto che merita di essere citato testualmente è una definizione di lealtà nazionale, alla quale ognuno può arrivare riflettendo autonomamente, ma che oggi sembra volutamente ignorata dai media: “noi in qualità di cittadini di stati-nazione siamo vincolati da obblighi reciproci a tutti coloro che possono vantare la nostra nazionalità, indipendentemente da famiglia o religione” “la nostra legge si applica ad un territorio definito, i nostri legislatori sono scelti fra coloro che l’abitano…” “I simboli di lealtà nazionale non sono né aggressivamente attivi, né ideologici: sono immagini pacifiche di madrepatria, del luogo al quale apparteniamo”…”non si trova alcuno di questi elementi positivi in quegli stati che siano fondati sul noi tribale o sul noi della fede” “sin da quando il poeta latino Terenzio Afro ha posto la domanda semiseria: Quis custodiet illos custodes? Il problema della responsabilità è sempre stato primario…per quanto un monarca, la classe dirigente o il partito di avanguardia possano essere benevoli non è probabile che lui o lei o loro lo rimangano a lungo se possono permettersi di rendere conto solo a se stessi… ciò significa saper mobilitare la pubblica opinione contro i governanti al punto da arrivare ad esautorarli, ma questo può accadere solo se i cittadini sono pronti a difendere il diritto di tutti alla protesta” (e all’opinione aggiungo io). “la lealtà nazionale è la roccia su cui si fondano queste posizioni… permette alla gente di vivere in una società depoliticizzata in cui gli individui hanno sovranità sulle loro vite ma, al tempo stesso, sanno che vi sarà unità nel difendere le loro libertà, anche se perseguono politiche opposte”, tutto questo è chiaramente ben applicabile all’Inghilterra, forse anche agli USA, meno alle esperienze del nostro Paese, da secoli terreno di battaglia per potenze ed ideologie provenienti dall’esterno, però suggerisce un’idea di stato-nazione svincolata dall’etnia, ma non dalla cultura, ponendo paletti molto concreti: quando la fedeltà alla tribù, alla religione o all’ideologia supera quello alla patria, la convivenza e la pace sono in pericolo.
Merita un plauso il capitolo sull’Oicofobia, termine che l’autore usa nel senso di paura della propria cultura: “nessuno….può permettersi il lusso di non essere consapevole della compiaciuta derisione rivolta alla nostra lealtà nazionale da parte di chi non avrebbe nemmeno la libertà di critica se gli inglesi, anni fa, non fossero stati pronti a morire per il proprio paese” “il ripudio dell’idea nazionale è il risultato di un particolare stato d’animo che si è sviluppato nel mondo occidentale a partire dalla Seconda Guerra Mondiale e che prevale tra le élite intellettuali e politiche….la tendenza in qualunque situazione conflittuale a schierarli con loro contro di noi e il bisogno irrefrenabile di denigrare usi e costumi , cultura istituzioni che siano tipicamente nostri” “da un punto di vista psicologico l’oicofobia è una fase tipica e normale della mente degli adolescenti, mentre negli intellettuali tende a divenire permanente”: non avrei saputo descrivere meglio, quell’odio per la nostra cultura che nel mondo dei media ci invade quotidianamente e ossessivamente, tutti i mali del mondo discendono in ordine di importanza: dagli USA, dal nostro modo di vivere, dall’Occidente in genere; la cosa buffa è che questi professionisti dell’autoinfangamento non si rendono nemmeno conto di usare tutte categorie di pensiero nate e tipiche dell’Occidente, il terzomondismo, il bolivarismo ecc. sono tutte categorie di pensiero occidentali ed inculcate altrove.
Immancabile il passo sul Relativismo: Scruton non fa altro che mettere in luce quella contraddizione che chiunque può verificare, cioè il Relativismo culturale dovrebbe mettere tutti sullo stesso piano ed invece diventa il più intollerante degli approcci, cerca in ogni modo di convincerci che la cultura occidentale è razzista, patriarcale, etnocentrica, prevaricatrice e chi non si allinea al pensiero dominante su famiglia, immigrazione, guerra e pace è un criminale. Dopo aver eliminato la religione dalle proprie vite e dalla vita pubblica, aver negato qualunque valore al sacro, al magico, i movimenti “progressisti” ne hanno assunto la forma mentis diventando intransigenti, con uno zelo missionario ed una fede nelle proprie convinzioni che non ammette prove contrarie per quanto razionali: che la battaglia sia contro il consumo di carne o riguardi temi economici oppure etici, lo zelo è da setta religiosa, infatti le tesi contrarie sono eresie o frutto di qualche potere malvagio e occulto che compra e corrompe le coscienze. Invece il senso di umorismo, autoironia o scetticismo risulta assolutamente assente, del resto in ballo c’è la salvezza dei giusti e del mondo! (peraltro secondo costoro la specie umana è responsabile di ogni male quindi non si capisce perché la vogliano salvare dai disastri e dalle apocalissi prossime venture, insomma in questo almeno San Giovanni era più coerente).

Mi sono dilungato abbastanza sugli aspetti più condivisibili del libro e da agnostico, paganeggiante e razionalista lascio l’ultima citazione a questa massima che mi è piaciuta molto, su cui ognuno farà la sua riflessione notturna: “le menzogne della fede religiosa ci consentono di percepire le verità che contano, le verità della scienza, investite di autorità assoluta, nascondono quelle che contano e rendono impercettibile la realtà umana”.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti, molto interessante.
Volevo seguire il tuo blog ma non ho trovato il tasto. Comunque tornerò a dare un'occhiata. ;)

Freeman ha detto...

non avevo ancora messo il tasto, adesso l'ho aggiunto in fondo