Il dibattito sull’immigrazione nel nostro paese procede per slogan, qualche titolo di giornale desunto da una breve intervista, poca strategia e poche idee chiare su come affrontare realisticamente e concretamente il fenomeno, in generale posizioni di principio poco argomentate sul fatto di essere a favore o contro la società multietnica prossima ventura. Qui urge un chiarimento: non so se esistono società multietniche, certamente esistono nel mondo molti territori multietnici, sono il risultato di alcuni processi storici del passato: colonialismo, schiavismo, guerre, migrazioni. Multietnico non è né buono né cattivo, certamente è complicato. Possono esistere Stati multietnici oppressivi oppure liberali, quindi usare multietnico come sinonimo di progresso e di democratico è certamente sbagliato. In ogni caso la convivenza di popoli diversi è un processo molto difficile da gestire e da realizzare, possiamo idealizzare ed astrarre quanto vogliamo ma la realtà è questa. Chi sostiene il contrario nega l’evidenza, è sufficiente un esempio: nel Partito Democratico la linea ufficiale è per una società multietnica, eppure loro stessi che non riescono ad essere multiculturali al loro interno, come possono pretendere che riesca ad esserlo l’Italia intera? Molti hanno infatti invocato l’espulsione dei teodem dal partito per le posizioni assunte su alcuni temi. Magari votano alla stessa maniera nel novanta per cento dei casi eppure è sufficiente dividersi su alcune questioni per sentirsi inconciliabili. Lo stesso problema si pone per uno Stato democratico, dove in presenza di culture diverse le occasioni di scontro si moltiplicano; in democrazia la maggioranza impone le proprie scelte alla minoranza, questa situazione quando tocca convinzioni radicate, magari religiose crea tensioni molto forti che possono facilmente indurre alla violenza. Ci sono dei comportamenti tradizionali di alcune zone del mondo che da noi sono reato, essere multietnici significa che dobbiamo permetterlo anche in Italia? Quindi abbiamo due alternative di fronte: accettare che gli stranieri venuti in Italia formino delle “isole” autonome, degli Stati dentro il nostro Stato, dove si regolano come sono abituati, oppure integrarli, farli diventare italiani, con il rispetto della loro storia, delle loro origini ma italiani. Per fare questo non serve dare loro la cittadinanza o il voto, un passaporto e considerare il problema risolto, semmai quello è l’ultimo passo di un percorso. Anche perché la prima soluzione, quella dei ghetti, dei quartieri separati è la negazione dello Stato di Diritto, così come lo concepiamo, per cui la prima regola è che la legge tutela tutti ed è uguale per tutti. Nelle discussioni si cita sempre la parola magica: integrazione. Chiariamo che cos’è l’integrazione: significa avere una casa, un lavoro, conoscere ed accettare la nostra cultura, la nostra lingua, le nostre leggi. Per poter integrare servono da parte degli stranieri la volontà di farlo, da parte degli italiani la volontà e molte risorse. Esiste quindi uno stringente problema numerico: è più facile integrare diecimila persone o dieci milioni? Chi è contrario ad una politica restrittiva sull’immigrazione, se non vuole fare retorica, deve fornire i numeri: quanti immigrati possiamo accogliere? Sappiamo che nel mondo ci sono un miliardo di persone praticamente alla fame ed almeno un altro miliardo in situazione di grave indigenza: hanno tutte il diritto di stabilirsi qui?
Un paese come il nostro, dove nel giro di pochi anni gli immigrati sono passati da alcune migliaia a quattro milioni, è in evidente difficoltà a produrre politiche adatte a raggiungere lo scopo. Del resto il nostro paese è in difficoltà produrre politiche adatte in qualunque materia! Certamente la Costituzione garantisce la libertà di espressione e quella religiosa ed in taluni casi si possono verificare conflitti tra convinzioni religiose e leggi dello Stato. In questi anni il tema ha riguardato in particolare le comunità islamiche. Del resto gli stessi capi integralisti in Europa non hanno fatto mistero della loro strategia: utilizzare tutte le libertà garantite per espandersi e fare propaganda e sopprimerle il giorno in cui saranno abbastanza forti per poterne farne a meno. Da questo punto di vista la proposta di insegnare a scuola la versione “moderata” dell’Islam ha una sua logica, però la giudico velleitaria in quanto ai fini e sbagliata sui presupposti. Circa i presupposti credo che la formazione religiosa degli individui sia responsabilità esclusiva della propria famiglia. L’ora di religione a scuola non deve essere un’ora di Catechismo, di qualunque fede si tratti, ma un’ora per approfondire la conoscenza della Religione e degli aspetti religiosi e spirituali dell’esistenza, aspetti che l’uomo da sempre affronta e che almeno in parte devono fare parte del “bagaglio culturale” (che espressione orribile…) di ogni individuo. Detto questo resta da scegliere quale religione. L’dea di insegnare tutte le religioni è semplicemente inapplicabile, considerando i tempi a disposizione si tratterebbe di liquidare in poche righe argomenti vastissimi. Solo per conoscere il modo approfondito il Cristianesimo non bastano anni di studio! Pensiamo solo agli scritti dei padri della chiesa, ai Concili, agli scismi, alle eresie. Quindi dovendo scegliere la mia opinione è che l’ora di religione debba approfondire la cultura religiosa del proprio paese, anche per cercare di capire la propria società e le proprie radici, quindi il Cristianesimo e le religioni tradizionali italiche ed europee dovrebbero essere secondo me la materia d’insegnamento. Per arginare l’estremismo è meglio puntare sull’espulsione di coloro che lo fomentano e lo praticano, anche se ammetto che non è facile farlo senza introdurre reati d’opinione, cosa rispetto alla quale sono totalmente contrario.
In conclusione mi sembra che il dibattito stretto tra la criminalizzazione indiscriminata dello straniero ed il buonismo utopico sia inutile. Noi abbiamo il diritto di scegliere chi e quanti possono venire e restare, abbiamo il dovere di rispettare ed aiutare coloro che vengono. Chi arriva, se non approva i nostri costumi, deve andarsene. Chi desidera diventare italiano e per il momento peraltro si tratta di una piccolissima minoranza, può farlo con una scelta cosciente e consapevole nell’ambito della legge attuale.
lunedì 19 ottobre 2009
sabato 19 settembre 2009
Il Polo Nord non si è sciolto


Attenzione! Quanto scrivo è una riflessione su quello che è avvenuto e non costituisce in alcun modo una previsione per il futuro, può darsi che l’estate prossima i ghiacci polari si sciolgano completamente, come da previsione annunciata più volte nel recente passato dagli organi di informazione. Guardando al passato vediamo questo andamento: a partire soprattutto dalla seconda metà degli anni Novanta, durante l’estate, la superficie ghiacciata è andata costantemente riducendosi ed anche il massimo dell’estensione invernale tende a diminuire. Tutto questo fino all’estate 2007 anno in cui la superficie ghiacciata raggiunge il minimo mai registrato da quando ci sono le misurazioni satellitari (cioè il 1979). Da allora è accaduto che: nel 2008 la superficie è stata maggiore del 2007 e nel 2009 è stata maggiore del 2008. Questa inversione del trend non era stata prevista e questo inevitabilmente porta a dei dubbi sui modelli previsionali. Intendiamoci, posso ammettere in linea di principio che alcuni fenomeni possano essere previsti a lungo termine e non a breve, cioè in altre parole mi si può dire: io so che fra 30 anni il pianeta sarà molto più caldo di oggi, ma non so come sarà tra un anno. Però mi viene il dubbio che il clima terrestre sia così complesso, da sfuggire, per il momento, ad una piena comprensione da parte degli scienziati. Sarebbe più logico considerare come emergenze ambientali quei fenomeni che certamente tra un anno peggioreranno la qualità dell’ambiente: penso alla disponibilità ed alla qualità delle acque, alla preservazione delle aree selvagge, delle foreste, alle sostanze nocive sparse nell’aria, al trattamento ed al riuso dei rifiuti. Tutte le risorse, gli incontri, le conferenze, i concerti, le mobilitazioni per combattere la CO2, che giova ricordarlo è comunque una sostanza innocua per la salute, forse andrebbero destinate ad affrontare le emergenze di cui sopra e chissà magari anche nel 2010 il pianeta ci darà una mano raffreddandosi da solo. (immagini da http://www.ijis.iarc.uaf.edu/en/home/seaice_extent.htm e http://arctic.atmos.uiuc.edu/cryosphere/)
lunedì 6 luglio 2009
sabato 2 maggio 2009
"Il segno del padre" di Paolo Ferliga
Il segno del padre cerca di analizzare l’importanza della figura paterna nella società, nella famiglia, nella formazione di ciascun individuo e dei danni che derivano dalla sua mancanza. Se proprio devo classificarlo è un libro di psicologia, quindi un argomento un po’ inconsueto per me, ma che ho profondamente apprezzato per l’alto valore morale dei concetti che cerca di trasmettere.
L’assenza di una figura paterna impedisce ai figli di crescere, restano individui incompiuti, per sempre adolescenti. Questa assenza è grave a livello famigliare, ma l’autore denuncia l’oscuramento e l’abdicazione dal proprio ruolo delle figure paterne anche a livello sociale. I valori connessi alla autorità, alla virilità vengono sempre più connotati in modo negativo e le figure che dovrebbero incarnarle nella società (il maestro, l’allenatore….) o non sono all’altezza o non sono in condizione di esprimerli. I ragazzi, così come i bambini, hanno bisogno di insegnamenti, ma l’unica forma di insegnamento efficace è l’esempio, mille parole contano meno di un fatto, è con il proprio comportamento che gli adulti indicano la strada ai più giovani, la mancanza di carattere, di coerenza e di disciplina non si può sostituire con un libretto di istruzioni.
Questa liquidazione della figura paterna implica la fine della società verticale, alla quale si è sostituita una società orizzontale, dove diventano esclusive le relazioni orizzontali, tra fratelli, sorelle, compagni.
L’autorità paterna aiuta a formare una scala di valori e di comportamenti che consentono di giudicare e giudicarsi. Consente a ciascuno di sviluppare un giudizio interiore che aiuta l’individuo ad avere un comportamento consapevole, non a seguire come una banderuola il flusso prevalente, con questa mancanza si sostituisce il proprio giudizio con quello dei propri pari, altrettanto smarriti e con il pubblico consenso. Questo meccanismo concede ai mass media un potere molto forte, di influenzare i comportamenti, di indicare il modello prevalente da seguire. All’esempio costituito dai genitori si sostituisce qualche modello preconfezionato, prodotti di consumo, marchi di successo.
Quando tutto questo degenera si arriva ai fenomeni di bullismo su cui ciclicamente si concentra l’attenzione dei mezzi di comunicazione.
Mancanza di ordine, di disciplina, di autocontrollo, ma soprattutto di senso dell’ onore e di coraggio, sono gli aspetti più evidenti di questo fenomeno. In tanti contro uno solo, inerme, senza che nessuno ad un certo punto abbia il coraggio di dire: “adesso basta”, eppure tra i tanti ci sarà forse uno con un po’ più di sale in zucca, ma la codardia prevale, hanno paura di andare contro il gruppo, di distinguersi, di essere individui, cioè di essere uomini.
Scelgono prede facili, su cui si può non solo prevalere ma anche infierire, nessuno di questi se la prende con lo spacciatore di turno, probabilmente perché sono loro stessi drogati, altro chiaro indizio di mancanza di personalità.
Pensare con la propria testa e fare la cosa giusta, concetti che spetta al padre insegnare al figlio, ma indubbiamente non è facile in un ambiente dove prevale il lassismo, il perdonismo, il buonismo dove il concetto di colpa viene sempre svicolato, si giustifica tutto: se uno sbatte contro il muro con l’auto è perché la discoteca chiude troppo tardi, se tira le monetine è colpa dell’arbitro che non ha visto il rigore, siamo la società degli alibi, ma come ebbi a dire una volta ad un amico, a volerli cercare, gli alibi si trovano sempre! C’è sempre una buona scusa per fare o non fare qualcosa, ma ciò che conta è la volontà di fare o non fare e non le scuse che si accampano.
Nelle radici più profonde della nostra cultura, il rapporto tra padre e figlio è ben rappresentato da molte figure: Enea e Anchise, figli come Telemaco, padri come Priamo e Peleo, e soprattutto Ettore, il padre per eccellenza, il guerriero più forte, che spaventa il figlio con la tenuta guerra, ma che spogliatosi dell’armatura diventa il più tenero dei genitori, non c’è in questo esempio antico alcuna tensione tra questi atteggiamenti, l’uomo può mostrare i propri sentimenti con naturalezza, non ha alcun timore a mostrarsi tenero perché è capace di essere forte e duro quando il dovere lo richiede; oggi, invece, spesso la maschera del duro serve per nascondere un vuoto, una mancanza di sostanza.
Come per gli altri animali, anche per l’uomo la paura genera aggressività.
Gli antropologi ci spiegano che la specie umana è l’unica, tra i primati, in cui il maschio sviluppa il senso di paternità, i nostri progenitori già sapevano che il legame tra padre e figlio è profondissimo, oggi sembra che se ne possa fare a meno, come si vede nella giurisprudenza relativa agli affidi in caso di divorzio, ma io non la penso così. C’è bisogno di padri, di uomini, di maschi.
Qualche giorno fa in un’intervista Hugh Jackman ha dichiarato: “Una volta la rappresentazione della mascolinità era ben diversa. Nella scultura, nella pittura, gli uomini erano grandi e forti, con grandi pance per ridere di cuore. La loro fisicità era la trasposizione di una solidità interiore. Oggi sulle riviste di moda gli uomini sono tutti anoressici, pallidi, stretti nelle spalle. Sembrano sempre costipati. E quando parlano sembra che squittiscano. È l’esteriorizzazione della loro debolezza. Sono diventati femmine.”
In modo un po’ rozzo, ma efficace l’attore australiano ha messo in luce questo aspetto del problema e mi fornisce lo spunto per chiarire il concetto, come lo vedo io: ognuno è libero di esprimere come meglio crede la propria personalità, di atteggiarsi, di vestirsi come vuole, ma coloro che per lavoro creano immagini, mode e modelli non devono avere la pretesa di indottrinarci, di imporre anche a noi la loro visione, né di propagandarla come il progresso, un progresso al quale preferisco i vecchi, vecchissimi esempi di cui sopra.
martedì 24 febbraio 2009
E tutti vogliono più debiti
Ogni famiglia italiana di 4 persone ha più di centomila euro di debiti. Qualcuno dirà non è vero, io no, cos’è una media , una statistica? Sì è una media, ma il debito è reale ed anche chi non pensa di averlo ce l’ha e paga gli interessi. Perché il debito pubblico viaggia oltre i 1.600 miliardi e questo significa esattamente quello che ho scritto. Presentato come lo scrivono i giornali sembra che la cosa non ci riguardi, ma non è così. Il debito è reale, esiste e viene pagato dagli italiani, perlomeno da quelli che pagano le tasse direttamente, da tutti gli altri indirettamente, perché ne subiscono comunque le dannose conseguenze.
Eppure ci sono coloro che imperterriti continuano a protestare perché il deficit (cioè il nuovo debito) quest’anno è troppo poco. Certo parlano di “manovre”, di “stimoli”, perché se chiamassero le cose con il proprio nome sarebbe più difficile giustificarsi: prendi un cittadino qualunque, portalo da un notaio e digli: “ci sono dei problemi, per risolverli devi fare un debito, firma qui”. Beh chiunque direbbe, “aspetta un attimo! Sono già pieno di debiti, siamo sicuri che la soluzione sia fare altri debiti?”. E soprattutto: “cosa vuoi farci con i soldi?”
Perché se viengono bene investiti e rendono più dell’interesse dovuto, allora possiamo dire che indebitarsi è stata una buona idea, ma nel caso dei debiti fatti dallo Stato, quante volte ciò è accaduto? Peraltro spesso si tratta semplicemente di finanziare la spesa corrente e quando si tratta di investimenti sono di una natura tale che risulta molto difficile valutarne l’utilità.
Eppure queste manovre di cui si parla sono questo: debiti, cioè soldi spesi oggi, che dovranno essere ripagati con le tasse di domani, ciò significa che domani con le tasse si dovranno ripagare i servizi futuri più quelli di oggi, il che significa che in futuro avremo o più tasse o servizi peggiori. La prova è sotto gli occhi di tutti: oggi stiamo pagando le gestioni scriteriate del passato.
Ma i tifosi dei debiti hanno un argomento fortissimo che usano ultimamente: gli altri Stati stanno facendo deficit colossali per contrastare la crisi! E’ facile rispondere che possono farlo perché a differenza nostra, ne hanno fatti molto meno in passato e poi un’altra considerazione: ma questa immane quantità di titoli statali americani, tedeschi, giapponesi, inglesi, spagnoli, irlandesi e via dicendo, troveranno tutti dei risparmiatori disponibili a prestare i propri soldi? E siamo sicuri che tutta questa massa di risparmio non andrà persa?
Ai politici non costa nulla aumentare il deficit, tanto paghiamo noi, loro fanno bella figura, spendendo i soldi degli altri, cioè i nostri; fanno bella figura anche i sindacati a chiedere più debito, tanto mica glielo vanno a dire ai lavoratori che poi lo pagano loro; Confindustria ci fa una figura meno bella, ma per lo meno lo fa sperando di guadagnarci qualcosa e non solo per l’immagine, cosa alla quale peraltro non tiene molto, comunque meno delle categorie precedenti.
Esiste la Comunità, la Nazione, la Patria, invece lo Stato non esiste viene creato e come tutte le cose create può essere usato a fin di bene o per pessimi scopi. In particolare può essere utile a molti oppure utile a pochi a danno di molti.
Si parla di fallimento del “mercato”, del “capitalismo”, del “liberismo”, ma chi lo dice ha interesse a spingere questa propaganda martellante, invece se guardiamo ai fatti reali vediamo che mai nella storia lo Stato è intervenuto in ogni aspetto della vita come oggi. Questo non fa altro che accrescere il potere della casta, rimodellando la società in un nuovo feudalesimo, con i vassalli, i valvassori, i valvassini e le povere pedine. Ricordatevi che un uomo che si mantiene con il proprio lavoro è un uomo libero. Il sistema cerca invece di renderci sempre più dipendenti da aiuti, sussidi, ridistribuzioni e soprattutto debiti. Tutto questo rende l’uomo meno libero e accresce il controllo di chi detiene il potere.
L’incessante propaganda ripete che lo Stato serve ad aiutare i più deboli, nobile scopo, ma è una propaganda falsa. Quanto delle centinaia di miliardi di euro che versiamo va ad aiutare i bisognosi? Se arriva qualcosa è meno di un millesimo, il resto serve a mantenere un sistema di potere sostanzialmente svincolato dalla volontà dei cittadini.
Parlano di manovre, di salvataggi, di solidarietà, di sociale, ma sono cortine fumogene che servono a creare una realtà virtuale, una realtà che è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L'avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità: lavoriamo 6 mesi all’anno per il Sistema: molto di più di quanto facevano i servi della gleba.
Eppure ci sono coloro che imperterriti continuano a protestare perché il deficit (cioè il nuovo debito) quest’anno è troppo poco. Certo parlano di “manovre”, di “stimoli”, perché se chiamassero le cose con il proprio nome sarebbe più difficile giustificarsi: prendi un cittadino qualunque, portalo da un notaio e digli: “ci sono dei problemi, per risolverli devi fare un debito, firma qui”. Beh chiunque direbbe, “aspetta un attimo! Sono già pieno di debiti, siamo sicuri che la soluzione sia fare altri debiti?”. E soprattutto: “cosa vuoi farci con i soldi?”
Perché se viengono bene investiti e rendono più dell’interesse dovuto, allora possiamo dire che indebitarsi è stata una buona idea, ma nel caso dei debiti fatti dallo Stato, quante volte ciò è accaduto? Peraltro spesso si tratta semplicemente di finanziare la spesa corrente e quando si tratta di investimenti sono di una natura tale che risulta molto difficile valutarne l’utilità.
Eppure queste manovre di cui si parla sono questo: debiti, cioè soldi spesi oggi, che dovranno essere ripagati con le tasse di domani, ciò significa che domani con le tasse si dovranno ripagare i servizi futuri più quelli di oggi, il che significa che in futuro avremo o più tasse o servizi peggiori. La prova è sotto gli occhi di tutti: oggi stiamo pagando le gestioni scriteriate del passato.
Ma i tifosi dei debiti hanno un argomento fortissimo che usano ultimamente: gli altri Stati stanno facendo deficit colossali per contrastare la crisi! E’ facile rispondere che possono farlo perché a differenza nostra, ne hanno fatti molto meno in passato e poi un’altra considerazione: ma questa immane quantità di titoli statali americani, tedeschi, giapponesi, inglesi, spagnoli, irlandesi e via dicendo, troveranno tutti dei risparmiatori disponibili a prestare i propri soldi? E siamo sicuri che tutta questa massa di risparmio non andrà persa?
Ai politici non costa nulla aumentare il deficit, tanto paghiamo noi, loro fanno bella figura, spendendo i soldi degli altri, cioè i nostri; fanno bella figura anche i sindacati a chiedere più debito, tanto mica glielo vanno a dire ai lavoratori che poi lo pagano loro; Confindustria ci fa una figura meno bella, ma per lo meno lo fa sperando di guadagnarci qualcosa e non solo per l’immagine, cosa alla quale peraltro non tiene molto, comunque meno delle categorie precedenti.
Esiste la Comunità, la Nazione, la Patria, invece lo Stato non esiste viene creato e come tutte le cose create può essere usato a fin di bene o per pessimi scopi. In particolare può essere utile a molti oppure utile a pochi a danno di molti.
Si parla di fallimento del “mercato”, del “capitalismo”, del “liberismo”, ma chi lo dice ha interesse a spingere questa propaganda martellante, invece se guardiamo ai fatti reali vediamo che mai nella storia lo Stato è intervenuto in ogni aspetto della vita come oggi. Questo non fa altro che accrescere il potere della casta, rimodellando la società in un nuovo feudalesimo, con i vassalli, i valvassori, i valvassini e le povere pedine. Ricordatevi che un uomo che si mantiene con il proprio lavoro è un uomo libero. Il sistema cerca invece di renderci sempre più dipendenti da aiuti, sussidi, ridistribuzioni e soprattutto debiti. Tutto questo rende l’uomo meno libero e accresce il controllo di chi detiene il potere.
L’incessante propaganda ripete che lo Stato serve ad aiutare i più deboli, nobile scopo, ma è una propaganda falsa. Quanto delle centinaia di miliardi di euro che versiamo va ad aiutare i bisognosi? Se arriva qualcosa è meno di un millesimo, il resto serve a mantenere un sistema di potere sostanzialmente svincolato dalla volontà dei cittadini.
Parlano di manovre, di salvataggi, di solidarietà, di sociale, ma sono cortine fumogene che servono a creare una realtà virtuale, una realtà che è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L'avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità: lavoriamo 6 mesi all’anno per il Sistema: molto di più di quanto facevano i servi della gleba.
sabato 7 febbraio 2009
Eva, Pandora e le donne portatrici di guai
Mi hanno sempre incuriosito le analogie tra la storia biblica di Eva e quella mitologica di Pandora. Due culture diverse raccontano due storie simili, nelle quali la femmina è l’elemento che distrugge l’armonia del mondo.
Passi il fatto che la storia l’hanno scritta i maschi, però i turbamenti che inducono le donne nel mondo maschile sono anche piacevoli, danno vitalità alla paciosa semplicità dell’universo virile, quindi mi sembra interessante indagare i motivi di questa visione della pericolosità femminile.
La storia di Adamo ed Eva è una metafora straordinaria del distacco dell’Uomo dalla Natura, della sua presa di coscienza. In modo inconsapevole gli Antichi hanno descritto bene il passaggio evolutivo per cui l’uomo, immerso totalmente nella sua dimensione animale, come gli animali appunto vive, nutrendosi, senza porsi domande, senza che le proprie azioni siano sottoposte ad un giudizio morale, è eterno perché non sa che esiste la morte; poi prende coscienza della propria esistenza, della propria nudità, prende coscienza del fatto che le sue azioni non sono ineluttabili ma espressioni di una volontà. L’uomo può scegliere, l’uomo ora conosce la propria diversità, conosce il dolore, conosce la vita e la morte. Desidera tornare a quell’Eden dove, come per gli uomini di Ulisse tra mangiatori di Loto, non esiste il tempo, ma non vi può tornare. Una volta passato il confine indietro non si torna, ci si può solo addentrare sempre più in profondità nel mistero della propria esistenza.
Tutto questo però è merito e colpa della donna, è lei a spingere l’uomo. Qui forse sta la prima chiave per risolvere il problema. Le azioni degli uomini sono spesso guidate dalle donne, perlomeno le donne sono l’obiettivo finale. I soldi, il potere, il prestigio: tutte cose ammalianti in se stesse, ma spesso e volentieri associate all’idea che si tratta di mezzi attraverso i quali giungere al fine ultimo, cioè avere tante femmine disponibili.
Tuttavia i racconti mitologici affondano nella preistoria, i soldi non erano stati ancora inventati, il potere era più consensuale ed allora forse tutto dipende dal fatto che l’uomo, quando si innamora, perde la testa, diventa diverso, fa cose che non farebbe mai in uno stato normale. A questo tassello dobbiamo aggiungere una considerazione importante: nelle società primitive il tasso di omicidi è sempre stato molto più alto che nelle società civilizzate; immagino quindi come spesso e volentieri il possesso di qualche donna fosse la scintilla per esplosioni di violenza che, seguite da prevedibili vendette, finivano per provocare veri e propri scontri di intere tribù. Anche di questo in effetti i racconti mitici abbondano: pensiamo al rapimento di Elena o a quello delle Sabine.
Questa fenomenologia deve avere indotto delle riflessioni un pochino misogine agli antichi pensatori, anche perché la femmina, un essere più debole fisicamente del maschio e dipendente da quest’ultimo per la propria difesa, dovrà essere sembrata dotata di qualche arte magica, in grado di infatuare, ammaliare o semplicemente sedurre il proprio compagno e potersene così servire.
Quello che ho citato è solo metà del mistero inerente l’essere femminile. Perché a turbare definitivamente il maschio, ed in particolare quegli uomini che per primi si posero delle domande, c’è tutta la sfera della maternità.
Se ci pensiamo un attimo la scena di un corpo che esce da un altro corpo è veramente potente, una vita che non c’era viene alla luce. Se non è un miracolo questo…. Cioè la donna è letteralmente un vaso di Pandora, perché ogni donna racchiude una nuova esistenza, per sua natura portatrice di gioie e dolori.
La duplice natura della donna: oggetto di desiderio e madre, complica maledettamente le cose per gli uomini, perché la propria madre è la prima donna con cui si ha a che fare ed è anche l’ultima che non vuole niente in cambio!
Spero mi si passi la battuta, ma c’era necessità di alleggerire un po’ il tono che si stava facendo troppo serioso.
Per quanto mi riguarda sono scevro da ogni misoginia, qualche volta sono giudicato maschilista, ma unicamente per il mio modo di scherzare, non credo certo che le donne portino solo danni al prossimo, sostanzialmente penso che l’unica cosa che rende il mondo femminile alieno da quello maschile sia la difficoltà di comprenderlo, mi sembra in effetti che sia un mondo complicato da capire, perlomeno lo è per me. Mi risulta difficile capire quello che le donne pensano, ho spesso la sensazione che dicano una cosa intendendone un’altra, che ricerchino in continuazione dei meta motivi ai comportamenti altrui, credo ma non so… appunto!
Ma anche gli antichi assieme alla diffidenza sapevano discernere il bene e su alcune donne così si esprimevano:
“L’uomo che l’ottiene è fortunato, solo su di lei non si posa biasimo.
Fa prosperare la sua proprietà, l’accudisce ed invecchia con un uomo che l’ama e che lei ama, madre di una bella famiglia. E si distingue fra tutte le donne, circonfusa di un fascino divino. Non le piace di stare con le amiche
se l’argomento dei discorsi è il sesso. Donne come lei sono le migliori che Zeus ha concesso agli uomini.”
Passi il fatto che la storia l’hanno scritta i maschi, però i turbamenti che inducono le donne nel mondo maschile sono anche piacevoli, danno vitalità alla paciosa semplicità dell’universo virile, quindi mi sembra interessante indagare i motivi di questa visione della pericolosità femminile.
La storia di Adamo ed Eva è una metafora straordinaria del distacco dell’Uomo dalla Natura, della sua presa di coscienza. In modo inconsapevole gli Antichi hanno descritto bene il passaggio evolutivo per cui l’uomo, immerso totalmente nella sua dimensione animale, come gli animali appunto vive, nutrendosi, senza porsi domande, senza che le proprie azioni siano sottoposte ad un giudizio morale, è eterno perché non sa che esiste la morte; poi prende coscienza della propria esistenza, della propria nudità, prende coscienza del fatto che le sue azioni non sono ineluttabili ma espressioni di una volontà. L’uomo può scegliere, l’uomo ora conosce la propria diversità, conosce il dolore, conosce la vita e la morte. Desidera tornare a quell’Eden dove, come per gli uomini di Ulisse tra mangiatori di Loto, non esiste il tempo, ma non vi può tornare. Una volta passato il confine indietro non si torna, ci si può solo addentrare sempre più in profondità nel mistero della propria esistenza.
Tutto questo però è merito e colpa della donna, è lei a spingere l’uomo. Qui forse sta la prima chiave per risolvere il problema. Le azioni degli uomini sono spesso guidate dalle donne, perlomeno le donne sono l’obiettivo finale. I soldi, il potere, il prestigio: tutte cose ammalianti in se stesse, ma spesso e volentieri associate all’idea che si tratta di mezzi attraverso i quali giungere al fine ultimo, cioè avere tante femmine disponibili.
Tuttavia i racconti mitologici affondano nella preistoria, i soldi non erano stati ancora inventati, il potere era più consensuale ed allora forse tutto dipende dal fatto che l’uomo, quando si innamora, perde la testa, diventa diverso, fa cose che non farebbe mai in uno stato normale. A questo tassello dobbiamo aggiungere una considerazione importante: nelle società primitive il tasso di omicidi è sempre stato molto più alto che nelle società civilizzate; immagino quindi come spesso e volentieri il possesso di qualche donna fosse la scintilla per esplosioni di violenza che, seguite da prevedibili vendette, finivano per provocare veri e propri scontri di intere tribù. Anche di questo in effetti i racconti mitici abbondano: pensiamo al rapimento di Elena o a quello delle Sabine.
Questa fenomenologia deve avere indotto delle riflessioni un pochino misogine agli antichi pensatori, anche perché la femmina, un essere più debole fisicamente del maschio e dipendente da quest’ultimo per la propria difesa, dovrà essere sembrata dotata di qualche arte magica, in grado di infatuare, ammaliare o semplicemente sedurre il proprio compagno e potersene così servire.
Quello che ho citato è solo metà del mistero inerente l’essere femminile. Perché a turbare definitivamente il maschio, ed in particolare quegli uomini che per primi si posero delle domande, c’è tutta la sfera della maternità.
Se ci pensiamo un attimo la scena di un corpo che esce da un altro corpo è veramente potente, una vita che non c’era viene alla luce. Se non è un miracolo questo…. Cioè la donna è letteralmente un vaso di Pandora, perché ogni donna racchiude una nuova esistenza, per sua natura portatrice di gioie e dolori.
La duplice natura della donna: oggetto di desiderio e madre, complica maledettamente le cose per gli uomini, perché la propria madre è la prima donna con cui si ha a che fare ed è anche l’ultima che non vuole niente in cambio!
Spero mi si passi la battuta, ma c’era necessità di alleggerire un po’ il tono che si stava facendo troppo serioso.
Per quanto mi riguarda sono scevro da ogni misoginia, qualche volta sono giudicato maschilista, ma unicamente per il mio modo di scherzare, non credo certo che le donne portino solo danni al prossimo, sostanzialmente penso che l’unica cosa che rende il mondo femminile alieno da quello maschile sia la difficoltà di comprenderlo, mi sembra in effetti che sia un mondo complicato da capire, perlomeno lo è per me. Mi risulta difficile capire quello che le donne pensano, ho spesso la sensazione che dicano una cosa intendendone un’altra, che ricerchino in continuazione dei meta motivi ai comportamenti altrui, credo ma non so… appunto!
Ma anche gli antichi assieme alla diffidenza sapevano discernere il bene e su alcune donne così si esprimevano:
“L’uomo che l’ottiene è fortunato, solo su di lei non si posa biasimo.
Fa prosperare la sua proprietà, l’accudisce ed invecchia con un uomo che l’ama e che lei ama, madre di una bella famiglia. E si distingue fra tutte le donne, circonfusa di un fascino divino. Non le piace di stare con le amiche
se l’argomento dei discorsi è il sesso. Donne come lei sono le migliori che Zeus ha concesso agli uomini.”
giovedì 15 gennaio 2009
mercoledì 7 gennaio 2009
Notizia falsa del Corriere della Sera





Non so cosa abbiano scritto nella versione cartacea, ma in quella on-line hanno titolato "i ghiacci artici ai livelli del 1979".
Come si evince dai grafici dell'Università dell'Illinois e del National Snow and Ice Data Center, basato sulle osservazioni dei satelliti, i ghiacci alla fine di dicembre 1979 erano più estesi. In particolare si vede una maggiore estensione nel Mare di Kara, nel Mare di Barents e nel Mare di Okhotsk, erano invece meno estesi nel Mare di Bering.
Si tratta in realtà di una piccola bugia, perchè è vero che l'andamento degli ultimi mesi mostra una crescita sostenuta dei ghiacci al Polo Nord e che ogni mese del 2008 ha avuto un'estensione maggiore rispetto ai corrispettivi del 2007, interrompendo quindi, per ora, il trend di riduzione mostrato durante l'ultimo decennio. Però perchè rimarcare la cosa scrivendo una notizia non vera? Forse per rifarsi di tutti gli allarmi di senso opposto, rivelatisi poi infondati, circa lo scioglimento dell'Artico? O forse semplicemente perchè la precisione non fa parte dei requisiti richiesti ai quotidiani?
Io ho già manifestato in passato delle perplessità sul Riscaldamento Globale, per lo meno su come viene rappresentato dai media, però non vorrei che le confutazioni si basassero a loro volta su mezze verità e dati incompleti.
Insieme al grafico che indica per il Polo Nord gli scostamenti dalla media dell'estensione dei ghiacci durante il mese di dicembre, ho postato anche quello che riguarda il Polo Sud, tanto per mostrare che dal 1979 ad oggi vi è stato un incremento abbastanza costante della superficie ghiacciata, cosa che però non fa molta notizia, anche perchè probabilmente i pinguini suscitano meno interesse degli orsi bianchi.
Insomma io continuo a credere che le bollicine di CO2 della Coca Cola siano la parte più innocua contenuta nella lattina e che le minacce all'ambiente del nostro pianeta siano altre, più gravi ed imminenti.
martedì 23 dicembre 2008
Letti e giudicati
Desmond Morris - La scimmia nuda *****
Victor von Hagen - Gli imperi del deserto ***
Ludovico Gatto - Le crociate ***
Ludovico Gatto - L'Italia dei Comuni e delle Signorie **
Federico Cuomo - Storia ed epopea della cavalleria **
Gabriella D'Anna - Dizionario dei miti **
autori vari - Il libro nero del Comunismo ****
James Reston - La Crociata ****
Danilo Biffoni - Un'altra vita ***
Samuel Noah Kramer - I Sumeri ***
Renzo De Felice - Breve Storia del Fascismo ***
Dragoslav Srejovic - Iliri e Traci **
Victor von Hagen - Gli imperi del deserto ***
Ludovico Gatto - Le crociate ***
Ludovico Gatto - L'Italia dei Comuni e delle Signorie **
Federico Cuomo - Storia ed epopea della cavalleria **
Gabriella D'Anna - Dizionario dei miti **
autori vari - Il libro nero del Comunismo ****
James Reston - La Crociata ****
Danilo Biffoni - Un'altra vita ***
Samuel Noah Kramer - I Sumeri ***
Renzo De Felice - Breve Storia del Fascismo ***
Dragoslav Srejovic - Iliri e Traci **
lunedì 1 dicembre 2008
Tremonti, predica male ma razzola bene
Il ministro dell’economia Giulio Tremonti è rappresentato dai professionisti dell’informazione (ed anche dai dilettanti) come il campione dello statalismo, del protezionismo, del socialismo, di Keynes e così via. Chiaramente Tremonti ci ha messo abilmente del suo, diventando protagonista della campagna elettorale delle politiche 2008, martellando infaticabile sul “mercatismo” e la globalizzazione, sui banchieri, sui finanzieri e pure sui cinesi. Non faccio il processo alle intenzioni, anche perché non ha nessuna importanza quanto ci sia di convinzione e quanto di furbizia in questi messaggi. Un ministro si giudica dagli atti di governo e qui si può misurare la distanza tra come Tremonti è rappresentato dai media e la sostanza del suo operato. Prima di analizzare i fatti, restiamo un attimo alle parole: con le sue dichiarazioni Tremonti si è messo abilmente sulla lunghezza d’onda del paese, in Italia l’espressione “libero mercato” è impopolare, per anni la parola liberismo è stata associata alla parola selvaggio, quasi a diventare un tutt’uno.
Impostando in questo modo la comunicazione Tremonti ha potuto inoltre sfruttare a suo favore la crisi che arrivava e che ora si sta manifestando e, dulcis in fundo, ha venduto anche parecchi libri. Tutto questo lo pone in una posizione di forza all’interno del centrodestra, occupando il ministero più importante e con un buon riscontro presso l’opinione pubblica, è oggi in pole position per la futura lotta alla successione. In fondo non ha fatto altro che applicare una delle regole d’oro della strategia militare: combattere usando le armi degli avversari; i concetti di solidarietà, di aiuto ai deboli sono stati usati ed abusati dalla sinistra, Tremonti li ha fatti propri spiazzando tutti.
I tempi della politica e della comunicazione non sono quelli dello studio e dell’educazione: tuonare contro il mercatismo selvaggio garantisce un ritorno in termini di consenso, garantito e veloce; mettersi a spiegare le politiche economiche garantisce solo che il 99% degli spettatori cambierà canale.
Da un punto di vista liberista la manipolazione dei tassi di interesse adottata dalla FED, le politiche inflazionistiche, la moltiplicazioni dei debiti sono tutte pratiche criticate aspramente, eppure sui mass media è passata l’equazione per cui speculazione (magari sui derivati) uguale a liberismo. Quando si parla di mercato si intende beni o servizi, o manodopera, o capitali, cose molto concrete, molto etiche direbbe Tremonti.
Per Keynes le crisi erano innescate da consumi insufficienti e questa idea è rimasta talmente radicata che a decenni di distanza ancora oggi si parla di stimolare i consumi, eppure gli americani in questi anni hanno addirittura consumato più di quanto guadagnavano (e producevano) quindi non ci dovrebbe essere nessuna crisi, però quando Tremonti stigmatizza l’espansione dei consumi a debito, cioè adotta una posizione anti keynesiana, i mezzi di comunicazione fanno il suo gioco (probabilmente inconsapevolmente) facendola passare come una posizione statalista!
Insomma Tremonti mi fa un po’ arrabbiare quando fa il paladino delle partecipazioni statali e del protezionismo, però nelle sue azioni concrete da Ministro dell’Economia finora si è mosso bene: intanto sta giustamente cercando di evitare il peggio, salvaguardando i due pilastri che ancora reggono: la fiducia di tutti noi (nel fatto che depositi e risparmi sono garantiti) e la solvibilità dello Stato (ciò del garante ultimo), motivo per cui esclude che le nazionalizzazioni vengano fatte a debito ed ha riconfermato l’obiettivo del pareggio di bilancio. Ecco, se riesce a portare a casa questo risultato, (tagliando le spese e non aumentando le tasse, cosa che peraltro renderebbe probabilmente impossibile conseguire il pareggio), questo avrà un valore assolutamente maggiore rispetto alle dichiarazioni per la stampa e a tutti i rilievi che si possono muovere al governo.
La sua posizione è tanto più apprezzabile in quanto potrebbe comodamente accodarsi alla fila di coloro che chiedono di superare il 3% di deficit, in fondo se lo fanno Sarkozy e Merkel perché noi no? L’opinione pubblica italiana e mondiale ha una fiducia incrollabile nel deficit come soluzione ad ogni crisi, eppure in questi anni Francia, Germania e gli stessi Stati Uniti vi hanno fatto ampio ricorso, senza che questo abbia impedito la recessione odierna. In Italia è da 40 anni che non abbiamo in bilancio pubblico in pareggio, se il deficit servisse a qualcosa dovremmo essere il paese più ricco del mondo!!
L’origine bancaria della crisi in atto fornisce una straordinaria occasione a Tremonti per prendersi delle rivincite nei confronti del sistema bancario con il quale si è duramente confrontato negli anni del precedente Governo Berlusconi. In Italia le banche sono il potere forte probabilmente più influente, ricordiamo che Tremonti cercò di sanzionare il comportamento che le banche tennero nei confronti dei risparmiatori, ai quali rifilarono obbligazioni argentine e di Parmalat. La Banca d’Italia si schierò a difesa del sistema, risultato: Fazio restò al suo posto e Tremonti invece perse il suo. Per la cronaca, l’intoccabile Fazio, quando si mise in rotta di collisione con le grandi banche (favorendo le scalate di Unipol e Popolare di Lodi) fu invece fatto saltare via come un tappo di spumante.
Oggi i potenti di allora sono in difficoltà e Tremonti ha il coltello dalla parte del manico, è normale quindi che ne approfitti per lanciare strali ai manager. A parte questa divagazione, aggiungo solo due cose apprezzabili taciute dalla stampa: quando ha riferito in Parlamento circa l’Alitalia, ha mostrato notevole onestà intellettuale, affermando che l’Alitalia così com’era, cioè non ripulita dai debiti, non la voleva nessuno al mondo e che tutta l’operazione era fatta nella logica dello stop-loss, cioè dopo anni e anni di perdite ininterrotte, noi poveri contribuenti saremo derubati un’ultima volta per consentire alla compagnia di bandiera di volare, dopodiché una volta subentrati i privati sono affari loro (speriamo che sia così…). L’altra dichiarazione è sui finanziamenti europei, che in Italia si disperdono in migliaia di microprogetti di dubbia utilità e che comunque nessuno è in grado di controllare, invece andrebbero concentrati in poche grandi opere infrastrutturali.
In definitiva, il rigetto delle politiche inflazionistiche e di deficit, a mio parere, è molto più significativo rispetto ad ogni etichetta di socialista o keynesiano che gli viene appiccicata addosso, certo si fa fatica a vedere i rivolgimenti che potrebbero salvare il nostro paese dal suo inesorabile declino, ma rispetto alle prediche, vere o presunte, il razzolare è decisamente migliore.
Impostando in questo modo la comunicazione Tremonti ha potuto inoltre sfruttare a suo favore la crisi che arrivava e che ora si sta manifestando e, dulcis in fundo, ha venduto anche parecchi libri. Tutto questo lo pone in una posizione di forza all’interno del centrodestra, occupando il ministero più importante e con un buon riscontro presso l’opinione pubblica, è oggi in pole position per la futura lotta alla successione. In fondo non ha fatto altro che applicare una delle regole d’oro della strategia militare: combattere usando le armi degli avversari; i concetti di solidarietà, di aiuto ai deboli sono stati usati ed abusati dalla sinistra, Tremonti li ha fatti propri spiazzando tutti.
I tempi della politica e della comunicazione non sono quelli dello studio e dell’educazione: tuonare contro il mercatismo selvaggio garantisce un ritorno in termini di consenso, garantito e veloce; mettersi a spiegare le politiche economiche garantisce solo che il 99% degli spettatori cambierà canale.
Da un punto di vista liberista la manipolazione dei tassi di interesse adottata dalla FED, le politiche inflazionistiche, la moltiplicazioni dei debiti sono tutte pratiche criticate aspramente, eppure sui mass media è passata l’equazione per cui speculazione (magari sui derivati) uguale a liberismo. Quando si parla di mercato si intende beni o servizi, o manodopera, o capitali, cose molto concrete, molto etiche direbbe Tremonti.
Per Keynes le crisi erano innescate da consumi insufficienti e questa idea è rimasta talmente radicata che a decenni di distanza ancora oggi si parla di stimolare i consumi, eppure gli americani in questi anni hanno addirittura consumato più di quanto guadagnavano (e producevano) quindi non ci dovrebbe essere nessuna crisi, però quando Tremonti stigmatizza l’espansione dei consumi a debito, cioè adotta una posizione anti keynesiana, i mezzi di comunicazione fanno il suo gioco (probabilmente inconsapevolmente) facendola passare come una posizione statalista!
Insomma Tremonti mi fa un po’ arrabbiare quando fa il paladino delle partecipazioni statali e del protezionismo, però nelle sue azioni concrete da Ministro dell’Economia finora si è mosso bene: intanto sta giustamente cercando di evitare il peggio, salvaguardando i due pilastri che ancora reggono: la fiducia di tutti noi (nel fatto che depositi e risparmi sono garantiti) e la solvibilità dello Stato (ciò del garante ultimo), motivo per cui esclude che le nazionalizzazioni vengano fatte a debito ed ha riconfermato l’obiettivo del pareggio di bilancio. Ecco, se riesce a portare a casa questo risultato, (tagliando le spese e non aumentando le tasse, cosa che peraltro renderebbe probabilmente impossibile conseguire il pareggio), questo avrà un valore assolutamente maggiore rispetto alle dichiarazioni per la stampa e a tutti i rilievi che si possono muovere al governo.
La sua posizione è tanto più apprezzabile in quanto potrebbe comodamente accodarsi alla fila di coloro che chiedono di superare il 3% di deficit, in fondo se lo fanno Sarkozy e Merkel perché noi no? L’opinione pubblica italiana e mondiale ha una fiducia incrollabile nel deficit come soluzione ad ogni crisi, eppure in questi anni Francia, Germania e gli stessi Stati Uniti vi hanno fatto ampio ricorso, senza che questo abbia impedito la recessione odierna. In Italia è da 40 anni che non abbiamo in bilancio pubblico in pareggio, se il deficit servisse a qualcosa dovremmo essere il paese più ricco del mondo!!
L’origine bancaria della crisi in atto fornisce una straordinaria occasione a Tremonti per prendersi delle rivincite nei confronti del sistema bancario con il quale si è duramente confrontato negli anni del precedente Governo Berlusconi. In Italia le banche sono il potere forte probabilmente più influente, ricordiamo che Tremonti cercò di sanzionare il comportamento che le banche tennero nei confronti dei risparmiatori, ai quali rifilarono obbligazioni argentine e di Parmalat. La Banca d’Italia si schierò a difesa del sistema, risultato: Fazio restò al suo posto e Tremonti invece perse il suo. Per la cronaca, l’intoccabile Fazio, quando si mise in rotta di collisione con le grandi banche (favorendo le scalate di Unipol e Popolare di Lodi) fu invece fatto saltare via come un tappo di spumante.
Oggi i potenti di allora sono in difficoltà e Tremonti ha il coltello dalla parte del manico, è normale quindi che ne approfitti per lanciare strali ai manager. A parte questa divagazione, aggiungo solo due cose apprezzabili taciute dalla stampa: quando ha riferito in Parlamento circa l’Alitalia, ha mostrato notevole onestà intellettuale, affermando che l’Alitalia così com’era, cioè non ripulita dai debiti, non la voleva nessuno al mondo e che tutta l’operazione era fatta nella logica dello stop-loss, cioè dopo anni e anni di perdite ininterrotte, noi poveri contribuenti saremo derubati un’ultima volta per consentire alla compagnia di bandiera di volare, dopodiché una volta subentrati i privati sono affari loro (speriamo che sia così…). L’altra dichiarazione è sui finanziamenti europei, che in Italia si disperdono in migliaia di microprogetti di dubbia utilità e che comunque nessuno è in grado di controllare, invece andrebbero concentrati in poche grandi opere infrastrutturali.
In definitiva, il rigetto delle politiche inflazionistiche e di deficit, a mio parere, è molto più significativo rispetto ad ogni etichetta di socialista o keynesiano che gli viene appiccicata addosso, certo si fa fatica a vedere i rivolgimenti che potrebbero salvare il nostro paese dal suo inesorabile declino, ma rispetto alle prediche, vere o presunte, il razzolare è decisamente migliore.
mercoledì 26 novembre 2008
Letti e approvati
un pò di libri con annesso mio voto:
Edward Gibbon - Declino e caduta dell'Impero romano *****
Ross E. Dunn - Gli straordinari viaggi di Ibn Battuta ****
Jean-Paul Roux - Tamerlano ****
Raymond McNally; Radu Florescu - Storia e mistero del Conte Dracula ****
Basil Henry Liddell Hart - Storia militare della Seconda Guerra Mondiale ****
Gunter Grass - Sbucciando la cipolla ***
Sergio Valzania - Wallestein ***
Michael Coe - I Maya ***
Milton Friedman - Capitalismo e Libertà ****
Petro Ichino - A che cosa serve il sindacato ***
Henri Pirenne - Le città del Medioevo **
Steven Pressfield - I venti dell'Egeo ***
Antonio Martino - Milton Friedman. Una biografia intellettuale *****
Mario Attilio Levi - Nerone e i suoi tempi ***
Paolo Cammarosano - Storia dell'Italia medievale. Dal VI al XI secolo. **
Jacques Le Goff - Alla ricerca del Medioevo **
Nussbaum, Rusconi, Viroli - Piccole patrie, grande mondo ****
Svetonio - Vite dei dodici Cesari ****
Stanley Wolpert - Storia dell'India ***
Edwin Reischauer - Storia del Giappone ***
Piero angela - La sfida del secolo ****
Geminello Alvi - Il secolo americano **
Raffaele De Marinis, Giuseppe Brillante - Otzi. L'uomo venuto dal ghiaccio **
Peter Heather - I Goti ***
Paul Ginsborg - L'Italia del tempo presente ****
Oriana Fallaci - La rabbia e l'orgoglio ****
Henri Michel - La Seconda Guerra Mondiale ****
Franco Cangini - Storia della Prima Repubblica *****
Bruno Zevi - Concetti di una controstoria ***
Bruno Zevi - Preistoria. Alto Medioevo. **
Mario Cataldo - Storia dell'industria italiana **
Napoleone Colajanni - Storia della banca in Italia da Cavour a Ciampi. **
Umberto Cerroni - Il pensiero politico italiano ****
Michele Prospero - Il pensiero politico della destra ***
Ralph Schor - L'Europa tra le due guerre **
Mario Francini - Storia dei presidenti americani **
Roberto Ivaldi - Storia del colonialismo **
Adriano Guerra - La Russia postcomunista **
Serena Foglia - Il sogno e le sue interpretazioni **
Cecilia Gatto Trocchi - Le sette in Italia **
Paolo Santangelo - Storia della Cina ***
Edward Gibbon - Declino e caduta dell'Impero romano *****
Ross E. Dunn - Gli straordinari viaggi di Ibn Battuta ****
Jean-Paul Roux - Tamerlano ****
Raymond McNally; Radu Florescu - Storia e mistero del Conte Dracula ****
Basil Henry Liddell Hart - Storia militare della Seconda Guerra Mondiale ****
Gunter Grass - Sbucciando la cipolla ***
Sergio Valzania - Wallestein ***
Michael Coe - I Maya ***
Milton Friedman - Capitalismo e Libertà ****
Petro Ichino - A che cosa serve il sindacato ***
Henri Pirenne - Le città del Medioevo **
Steven Pressfield - I venti dell'Egeo ***
Antonio Martino - Milton Friedman. Una biografia intellettuale *****
Mario Attilio Levi - Nerone e i suoi tempi ***
Paolo Cammarosano - Storia dell'Italia medievale. Dal VI al XI secolo. **
Jacques Le Goff - Alla ricerca del Medioevo **
Nussbaum, Rusconi, Viroli - Piccole patrie, grande mondo ****
Svetonio - Vite dei dodici Cesari ****
Stanley Wolpert - Storia dell'India ***
Edwin Reischauer - Storia del Giappone ***
Piero angela - La sfida del secolo ****
Geminello Alvi - Il secolo americano **
Raffaele De Marinis, Giuseppe Brillante - Otzi. L'uomo venuto dal ghiaccio **
Peter Heather - I Goti ***
Paul Ginsborg - L'Italia del tempo presente ****
Oriana Fallaci - La rabbia e l'orgoglio ****
Henri Michel - La Seconda Guerra Mondiale ****
Franco Cangini - Storia della Prima Repubblica *****
Bruno Zevi - Concetti di una controstoria ***
Bruno Zevi - Preistoria. Alto Medioevo. **
Mario Cataldo - Storia dell'industria italiana **
Napoleone Colajanni - Storia della banca in Italia da Cavour a Ciampi. **
Umberto Cerroni - Il pensiero politico italiano ****
Michele Prospero - Il pensiero politico della destra ***
Ralph Schor - L'Europa tra le due guerre **
Mario Francini - Storia dei presidenti americani **
Roberto Ivaldi - Storia del colonialismo **
Adriano Guerra - La Russia postcomunista **
Serena Foglia - Il sogno e le sue interpretazioni **
Cecilia Gatto Trocchi - Le sette in Italia **
Paolo Santangelo - Storia della Cina ***
lunedì 17 novembre 2008
Mostra canina
Ho visitato ieri l'Esposizione Canina organizzata dal Gruppo Cinofilo Genovese, ho potuto ammirare moltissimi cani, cito solo, tra i tanti, i bellissimi canilupo cecoslovacchi, i cani da montagna dei Pirenei, i mastini tibetani. C'era una nutritissima presenza di border collie (che mi ha fatto sorgere qualche dubbio sulla paternità del mio, che è più alto e meno peloso di tutti quelli che visto, ma non importa...). Devo dire che anche il cane corso fa la sua magnifica figura, ma i cani per i quali ho avuto veramente un debole sono il pastore dell'Asia Centrale e la femmina di pastore del Caucaso, dei quali riporto le foto e che l'allevatore (Baldan) mi ha permesso di avvicinare e portare al guinzaglio. Due animali veramente magnifici, che ti trasmettono una sensazione ancestrale di vicinanza alla natura.
domenica 16 novembre 2008
La matematica è un'opinione
La matematica non è un’opinione, ma sui giornali sì. Capita spesso di leggere articoli dove si scambiano milioni per miliardi o comunque dove i conti non tornano. Ultimo esempio di questi giorni: è stata annunciata una scoperta da parte di ricercatori coreani di un sistema per allungare la vita delle batterie al litio. Leggo nei vari articoli che la durata diventa otto volte quella attuale, nei titoli degli stessi articoli si legge però che la durata è aumentata del 90%, oppure, in altri dell’800%.
Mi sembra chiaro che se la durata attuale va moltiplicata per 8 allora vuol dire che è aumentata del 700%, mi sembra altresì chiaro che anche i quotidiani maggiori quando riportano le notizie, soprattutto quelle provenienti dall’estero, fanno copia e incolla e tanti saluti. Va bene l’errore di distrazione, tutti ne facciamo, ma se non si trova neanche una percentuale corretta tra tutti quelli che riportano la notizia, allora l’errore non è di distrazione ma è dovuto al fatto che la matematica, oggi più che mai, è diventata un’opinione.
Mi sembra chiaro che se la durata attuale va moltiplicata per 8 allora vuol dire che è aumentata del 700%, mi sembra altresì chiaro che anche i quotidiani maggiori quando riportano le notizie, soprattutto quelle provenienti dall’estero, fanno copia e incolla e tanti saluti. Va bene l’errore di distrazione, tutti ne facciamo, ma se non si trova neanche una percentuale corretta tra tutti quelli che riportano la notizia, allora l’errore non è di distrazione ma è dovuto al fatto che la matematica, oggi più che mai, è diventata un’opinione.
lunedì 27 ottobre 2008
La scuola che non c'è
Ci sono molte cose, nell’Italia di oggi, che rappresentano una grossa fregatura per i giovani. Una delle principali è la scuola. Se lo sapessero non la difenderebbero, non la occuperebbero, non seguirebbero i professori indottrinatori, gli unici che ci guadagnano nella situazione attuale di un paese in declino.
La scuola uscita dal ’68 è la più mostruosamente classista del mondo, infatti non fornendo una preparazione volta al mercato non dà nessuna possibilità a chi vuole emergere. La situazione a cui è necessario porre rimedio è la seguente: scuola e università, per ragioni ideologiche, sono state tenute separate e slegate dal mondo dell’impresa con il risultato che i titoli di studio, sul mercato del lavoro, valgono zero! Leggetevi le offerte di lavoro, vi sembra che la scuola stia preparando per questo? Certo l’Università a basso costo per tutti è una bella cosa per la cultura, ma i figli dei lavoratori (categoria alla quale appartengo) hanno studiato per avere un futuro lavorativo, cosa che l’Università italiana non garantisce, quindi chi ha già un posto che lo aspetta bene, per gli altri c’è il pezzo di carta inutile. Volete un altro dato di fatto in proposito: nonostante l’altissimo tasso di abbandono universitario, i laureati italiani sono i meno pagati di tutta Europa, (i professori non lo so, di sicuro sono i più inamovibili del mondo).
Non solo la scuola è inutile per cercare lavoro, ma fallisce anche miseramente nello scopo di fare cultura: gli studenti italiani sono gli ultimi nelle classifiche internazionali, cioè sono mediamente i più ignoranti, soprattutto in matematica. Infatti non capiscono una cosa elementare: da 39 anni lo Stato italiano spende più di quello che incassa. Ogni anno i soldi che mancano li chiede in prestito, cioè fa dei debiti, che qualcuno dovrà pagare. Quindi è facile protestare per i tagli, ma proprio loro che pagheranno un conto salato per i debiti fatti fino ad oggi, chiedono di continuare a farne? E’ quantomeno bizzarro. Certo l’istruzione è importante, ma lo è anche la salute, la giustizia e così via, ma se vogliamo continuare in futuro ad avere istruzione, salute, giustizia i conti bisogna metterli in ordine.
Ci si lamenta sempre dei ricercatori che devono andare all’estero, benissimo allora vuol dire che all’estero le cose funzionano meglio, applichiamo quello che fanno all’estero, applichiamolo a tutti studenti e professori e sapete cosa succederebbe: cortei, occupazioni, slogan. Perché il dramma è questo: quello che più risulterebbe utile e ciò che più ferocemente viene avversato.
La scuola, a partire dalle superiori, dovrebbe dare la possibilità allo studente di scegliere se indirizzarsi verso un percorso puramente teorico o di inserimento nel mondo del lavoro. Questo approccio dovrebbe essere ancora più marcato a livello universitario. Nel percorso finalizzato ad uno sbocco lavorativo, l’Università dovrebbe lavorare a stretto contato con il mondo delle imprese, per progettare i corsi di studio e consentire agli studenti, ad esempio attraverso gli stage, di maturare esperienze utili.
Questi semplici concetti riguardano gli studenti in età della ragione, certamente non sono rivolti a quei poveri bambini delle elementari che cantavano il coretto contro il ministro cattivo, a loro dico solo: pensate a giocare e a divertirvi che per intristirvi con la politica c’è tempo.
La scuola uscita dal ’68 è la più mostruosamente classista del mondo, infatti non fornendo una preparazione volta al mercato non dà nessuna possibilità a chi vuole emergere. La situazione a cui è necessario porre rimedio è la seguente: scuola e università, per ragioni ideologiche, sono state tenute separate e slegate dal mondo dell’impresa con il risultato che i titoli di studio, sul mercato del lavoro, valgono zero! Leggetevi le offerte di lavoro, vi sembra che la scuola stia preparando per questo? Certo l’Università a basso costo per tutti è una bella cosa per la cultura, ma i figli dei lavoratori (categoria alla quale appartengo) hanno studiato per avere un futuro lavorativo, cosa che l’Università italiana non garantisce, quindi chi ha già un posto che lo aspetta bene, per gli altri c’è il pezzo di carta inutile. Volete un altro dato di fatto in proposito: nonostante l’altissimo tasso di abbandono universitario, i laureati italiani sono i meno pagati di tutta Europa, (i professori non lo so, di sicuro sono i più inamovibili del mondo).
Non solo la scuola è inutile per cercare lavoro, ma fallisce anche miseramente nello scopo di fare cultura: gli studenti italiani sono gli ultimi nelle classifiche internazionali, cioè sono mediamente i più ignoranti, soprattutto in matematica. Infatti non capiscono una cosa elementare: da 39 anni lo Stato italiano spende più di quello che incassa. Ogni anno i soldi che mancano li chiede in prestito, cioè fa dei debiti, che qualcuno dovrà pagare. Quindi è facile protestare per i tagli, ma proprio loro che pagheranno un conto salato per i debiti fatti fino ad oggi, chiedono di continuare a farne? E’ quantomeno bizzarro. Certo l’istruzione è importante, ma lo è anche la salute, la giustizia e così via, ma se vogliamo continuare in futuro ad avere istruzione, salute, giustizia i conti bisogna metterli in ordine.
Ci si lamenta sempre dei ricercatori che devono andare all’estero, benissimo allora vuol dire che all’estero le cose funzionano meglio, applichiamo quello che fanno all’estero, applichiamolo a tutti studenti e professori e sapete cosa succederebbe: cortei, occupazioni, slogan. Perché il dramma è questo: quello che più risulterebbe utile e ciò che più ferocemente viene avversato.
La scuola, a partire dalle superiori, dovrebbe dare la possibilità allo studente di scegliere se indirizzarsi verso un percorso puramente teorico o di inserimento nel mondo del lavoro. Questo approccio dovrebbe essere ancora più marcato a livello universitario. Nel percorso finalizzato ad uno sbocco lavorativo, l’Università dovrebbe lavorare a stretto contato con il mondo delle imprese, per progettare i corsi di studio e consentire agli studenti, ad esempio attraverso gli stage, di maturare esperienze utili.
Questi semplici concetti riguardano gli studenti in età della ragione, certamente non sono rivolti a quei poveri bambini delle elementari che cantavano il coretto contro il ministro cattivo, a loro dico solo: pensate a giocare e a divertirvi che per intristirvi con la politica c’è tempo.
lunedì 20 ottobre 2008
La crisi del secolo
Non ricordavo di aver mai visto perdere gli indici di borsa con doppia cifra. Si potrebbe dire che qui si fa la storia.
Ma com’è che è successo? Perché se non siamo d’accordo sulle cause, di certo si potrebbe anche somministrare la cura sbagliata, potremmo rifare gli stessi errori o peggiorare la situazione. Insomma di chi è la colpa?
Qui entriamo nel campo delle opinioni ed io vi dirò le mie che, se non altro, hanno il pregio di essere disinteressate e sincere e magari cercano anche qualche riscontro empirico. Sì perché dovete sapere che fin quando si resta alle teorie, soprattutto in economia, hanno tutti ragione.
Piccola ulteriore premessa: in economia ogni scelta di ciascuno influenza tutti gli altri, quindi sia nel bene che nel male l’economia mondiale è il risultato del comportamento di tutti gli abitanti del pianeta. Detto questo le scelte di alcuni hanno conseguenze un po’ più profonde di quelle degli altri. Quindi io come primo imputato metto sul banco degli imputati Alan Greenspan.
L’idea di voler influenzare l’economia reale e i corsi delle azioni attraverso i tassi di interesse è sbagliata e pericolosa. Negli USA si è inseguita l’idea di Keynes che lo sviluppo fosse trainato dai consumi e per mantenere alti i consumi valgono tutti i sistemi, dal deficit di bilancio ai tassi vicini allo zero. Quindi debito statale e debiti privati sono serviti per drogare una crescita evidentemente fittizia. Vi è una percezione generalizzata che il denaro facile porti comunque a fasi di sviluppo e di aumento di benessere, ma se poi i prezzi di case e materie prime triplicano, allora forse è una percezione da riconsiderare.
Si è discusso molto sulla scarsa propensione al risparmio degli americani, ma le persone rispondono agli stimoli che ricevono e si adattano all’ambiente in cui vivono. Con un’inflazione al 4% ed i tassi all’ 1% che stimolo al risparmio ci può essere? Mi pare che più di propensione culturale si possa parlare di scelta obbligata. La distruzione del risparmio degli americani mi sembra una grave responsabilità della FED ed è una debolezza strutturale che va modificata. Quindi abbiamo una prima cura alla crisi: gli americani dovrebbero iniziare a risparmiare. Meglio: devono essere messi in condizione di farlo. Quindi la politica monetaria americana deve cessare di essere inflazionistica.
Certo adesso siamo nel mezzo della bufera, bisogna evitare che la crisi travolga, assieme agli insolventi, anche le parti sane del sistema. Inoltre di fatto la crisi ha provocato una stretta creditizia pericolosa per il sistema, non si riesce a valutare l’affidabilità dei soggetti economici, aumenta il rischio di fare credito, i tassi interbancari sono aumentati e così via. Però presto o tardi arriverà il momento della stabilizzazione ed allora la scorciatoia di creare moneta illudendo di creare ricchezza deve essere abbandonata. Spero che sia così, però da sempre, non passa anno che, anche quando l’economia cresce, si trovano dei motivi per considerarsi in emergenza per giustificare politiche interventiste e poco lungimiranti.
Le scorciatoie in economia non funzionano mai. Qualcuno, forse, negli USA aveva pensato che fosse possibile tenere bassa l’inflazione anche con una crescita incontrollata di massa monetaria, importando merci a basso costo dalla Cina. Per un po’ ha funzionato poi, come sempre, gli effetti collaterali si sono manifestati. In parte quindi anche il boom cinese è stato finanziato dai debiti americani, ma non è stato solo questo a drogare la crescita cinese, anche il tasso di cambio artificiale ha fatto la sua parte. Questa crescita ha dato un contributo decisivo per alimentare l’aumento dei prezzi delle materie prime, ecco quindi che l’inflazione, fatta sparire da una parte te la ritrovi in casa. Il commercio internazionale è una cosa buona, ma va fatto a parità di condizioni. Si parla tanto di restrizioni di vario genere, mi sembra che la maggior parte delle idee siano o molto complicate o controproducenti. L’unica regola utile è anche di semplice attuazione: si commercia liberamente con gli Stati che non pongono restrizioni di tipo valutario, cioè lasciano fluttuare il proprio tasso di cambio. Abbiamo così un meccanismo che senza aggravio di costi ed in modo automatico va a sanare gli squilibri che si creano.
Come ho accennato l’aumento delle materie prime è un altro aspetto della crisi ed è quello, peraltro, che ha avuto l’impatto più forte sull’economia reale. La politica monetaria non è estranea a questo aumento, esistono però anche elementi strutturali, soprattutto nel comparto energetico che vanno affrontati. La disponibilità di energia è la prima condizione sine qua non per lo sviluppo economico, se vogliamo progettare il futuro è qui che bisogna lavorare. I Governi in questi giorni sembrano ossessionati dalle Borse e dalla recessione. Ma a parte il fatto che le Borse non obbediscono ai decreti, dobbiamo capire una cosa: le soluzioni a problemi di fondo non arrivano da un giorno all’altro, le migliori riforme sono quelle che dispiegano i propri effetti negli anni. Lo stesso discorso vale per la recessione, fare di tutto per evitare 6 mesi di recessione, magari rinviando solo la resa dei conti, non serve a niente. Più si ritarda la soluzione dei problemi più onerosa sarà la soluzione stessa. Meglio 6 mesi di recessione se però si gettano le basi per una crescita solida per gli anni a venire (l’esempio del Giappone mi sembra significativo).
Il rischio più grosso che corriamo, dicevo, è di non essere d’accordo sulle cause della crisi. Da una parte questo è dovuto a opinioni sinceramente diverse, dall’altra dal fatto che si può approfittare della crisi per gettato discredito sugli avversari politici, per qualcun altro può essere l’occasione per farsi dare un po’ di soldi o consolidare qualche privilegio immotivato.
Anche questa crisi, come tutte, è stata l’occasione per invocare “le regole”. Io posso anche essere d’accordo, però tenendo presente qualche piccolo suggerimento: da che mondo è mondo i migliori regolamenti sono quelli brevi, concisi, precisi. Non servono più regole, bisogna togliere quelle sbagliate e sostituirle. Pensiamo alle leggi italiane: sono migliaia, ovviamente nessuno le conosce, quindi la loro efficacia è minima. Mosè è sceso dal Sinai con 10 comandamenti, poi Gesù si è reso conto che erano comunque troppe da ricordare per l’uomo medio e quindi l’ha ridotte ad una. Non si pretende che i governanti abbiano lo stesso talento di Gesù, però…. Oltre tutto parliamoci chiaro, alla fine succede che c’è qualche nuovo organismo di controllo che serve a piazzare i conoscenti e che per prevenire le crisi ha un’utilità pari a zero. Quando se ne fa uno nuovo bisognerebbe chiuderne qualcuno di vecchio: ora sto proprio sconfinando nell’utopia.
Torniamo alla concretezza con l’ultima annotazione: sento dire che l’intervento degli Stati serve ad infondere sicurezza, che gli Stati non falliscono, che garantiscono depositi ecc…. Tutto bello, quasi troppo per essere vero, infatti, in realtà, mi risulta che non falliscono ma possono diventare insolventi (o l’Argentina non è uno Stato?). Quindi se vogliamo che gli Stati assolvano a questa funzione di garanzia è necessario che abbiamo i conti in ordine (leggi bilanci in pareggio e pochi debiti), perché altrimenti la loro affidabilità inizia ad essere minata. Certo oggi come oggi l’insolvenza delle principali economie non è certo all’ordine del giorno, anzi è qualcosa di difficilmente immaginabile, però, come ha mi ha detto un caro amico: fino al giorno prima mi parlavano di Fuld come si nomina un Dio in terra, poi l’incredibile, Lehman Brothers fallisce, adesso solo a nominarlo gli vomitano addosso di tutto. Quindi, come bisogna stare attenti a divinizzare le persone, attenzione a divinizzare lo Stato!!!
Ma com’è che è successo? Perché se non siamo d’accordo sulle cause, di certo si potrebbe anche somministrare la cura sbagliata, potremmo rifare gli stessi errori o peggiorare la situazione. Insomma di chi è la colpa?
Qui entriamo nel campo delle opinioni ed io vi dirò le mie che, se non altro, hanno il pregio di essere disinteressate e sincere e magari cercano anche qualche riscontro empirico. Sì perché dovete sapere che fin quando si resta alle teorie, soprattutto in economia, hanno tutti ragione.
Piccola ulteriore premessa: in economia ogni scelta di ciascuno influenza tutti gli altri, quindi sia nel bene che nel male l’economia mondiale è il risultato del comportamento di tutti gli abitanti del pianeta. Detto questo le scelte di alcuni hanno conseguenze un po’ più profonde di quelle degli altri. Quindi io come primo imputato metto sul banco degli imputati Alan Greenspan.
L’idea di voler influenzare l’economia reale e i corsi delle azioni attraverso i tassi di interesse è sbagliata e pericolosa. Negli USA si è inseguita l’idea di Keynes che lo sviluppo fosse trainato dai consumi e per mantenere alti i consumi valgono tutti i sistemi, dal deficit di bilancio ai tassi vicini allo zero. Quindi debito statale e debiti privati sono serviti per drogare una crescita evidentemente fittizia. Vi è una percezione generalizzata che il denaro facile porti comunque a fasi di sviluppo e di aumento di benessere, ma se poi i prezzi di case e materie prime triplicano, allora forse è una percezione da riconsiderare.
Si è discusso molto sulla scarsa propensione al risparmio degli americani, ma le persone rispondono agli stimoli che ricevono e si adattano all’ambiente in cui vivono. Con un’inflazione al 4% ed i tassi all’ 1% che stimolo al risparmio ci può essere? Mi pare che più di propensione culturale si possa parlare di scelta obbligata. La distruzione del risparmio degli americani mi sembra una grave responsabilità della FED ed è una debolezza strutturale che va modificata. Quindi abbiamo una prima cura alla crisi: gli americani dovrebbero iniziare a risparmiare. Meglio: devono essere messi in condizione di farlo. Quindi la politica monetaria americana deve cessare di essere inflazionistica.
Certo adesso siamo nel mezzo della bufera, bisogna evitare che la crisi travolga, assieme agli insolventi, anche le parti sane del sistema. Inoltre di fatto la crisi ha provocato una stretta creditizia pericolosa per il sistema, non si riesce a valutare l’affidabilità dei soggetti economici, aumenta il rischio di fare credito, i tassi interbancari sono aumentati e così via. Però presto o tardi arriverà il momento della stabilizzazione ed allora la scorciatoia di creare moneta illudendo di creare ricchezza deve essere abbandonata. Spero che sia così, però da sempre, non passa anno che, anche quando l’economia cresce, si trovano dei motivi per considerarsi in emergenza per giustificare politiche interventiste e poco lungimiranti.
Le scorciatoie in economia non funzionano mai. Qualcuno, forse, negli USA aveva pensato che fosse possibile tenere bassa l’inflazione anche con una crescita incontrollata di massa monetaria, importando merci a basso costo dalla Cina. Per un po’ ha funzionato poi, come sempre, gli effetti collaterali si sono manifestati. In parte quindi anche il boom cinese è stato finanziato dai debiti americani, ma non è stato solo questo a drogare la crescita cinese, anche il tasso di cambio artificiale ha fatto la sua parte. Questa crescita ha dato un contributo decisivo per alimentare l’aumento dei prezzi delle materie prime, ecco quindi che l’inflazione, fatta sparire da una parte te la ritrovi in casa. Il commercio internazionale è una cosa buona, ma va fatto a parità di condizioni. Si parla tanto di restrizioni di vario genere, mi sembra che la maggior parte delle idee siano o molto complicate o controproducenti. L’unica regola utile è anche di semplice attuazione: si commercia liberamente con gli Stati che non pongono restrizioni di tipo valutario, cioè lasciano fluttuare il proprio tasso di cambio. Abbiamo così un meccanismo che senza aggravio di costi ed in modo automatico va a sanare gli squilibri che si creano.
Come ho accennato l’aumento delle materie prime è un altro aspetto della crisi ed è quello, peraltro, che ha avuto l’impatto più forte sull’economia reale. La politica monetaria non è estranea a questo aumento, esistono però anche elementi strutturali, soprattutto nel comparto energetico che vanno affrontati. La disponibilità di energia è la prima condizione sine qua non per lo sviluppo economico, se vogliamo progettare il futuro è qui che bisogna lavorare. I Governi in questi giorni sembrano ossessionati dalle Borse e dalla recessione. Ma a parte il fatto che le Borse non obbediscono ai decreti, dobbiamo capire una cosa: le soluzioni a problemi di fondo non arrivano da un giorno all’altro, le migliori riforme sono quelle che dispiegano i propri effetti negli anni. Lo stesso discorso vale per la recessione, fare di tutto per evitare 6 mesi di recessione, magari rinviando solo la resa dei conti, non serve a niente. Più si ritarda la soluzione dei problemi più onerosa sarà la soluzione stessa. Meglio 6 mesi di recessione se però si gettano le basi per una crescita solida per gli anni a venire (l’esempio del Giappone mi sembra significativo).
Il rischio più grosso che corriamo, dicevo, è di non essere d’accordo sulle cause della crisi. Da una parte questo è dovuto a opinioni sinceramente diverse, dall’altra dal fatto che si può approfittare della crisi per gettato discredito sugli avversari politici, per qualcun altro può essere l’occasione per farsi dare un po’ di soldi o consolidare qualche privilegio immotivato.
Anche questa crisi, come tutte, è stata l’occasione per invocare “le regole”. Io posso anche essere d’accordo, però tenendo presente qualche piccolo suggerimento: da che mondo è mondo i migliori regolamenti sono quelli brevi, concisi, precisi. Non servono più regole, bisogna togliere quelle sbagliate e sostituirle. Pensiamo alle leggi italiane: sono migliaia, ovviamente nessuno le conosce, quindi la loro efficacia è minima. Mosè è sceso dal Sinai con 10 comandamenti, poi Gesù si è reso conto che erano comunque troppe da ricordare per l’uomo medio e quindi l’ha ridotte ad una. Non si pretende che i governanti abbiano lo stesso talento di Gesù, però…. Oltre tutto parliamoci chiaro, alla fine succede che c’è qualche nuovo organismo di controllo che serve a piazzare i conoscenti e che per prevenire le crisi ha un’utilità pari a zero. Quando se ne fa uno nuovo bisognerebbe chiuderne qualcuno di vecchio: ora sto proprio sconfinando nell’utopia.
Torniamo alla concretezza con l’ultima annotazione: sento dire che l’intervento degli Stati serve ad infondere sicurezza, che gli Stati non falliscono, che garantiscono depositi ecc…. Tutto bello, quasi troppo per essere vero, infatti, in realtà, mi risulta che non falliscono ma possono diventare insolventi (o l’Argentina non è uno Stato?). Quindi se vogliamo che gli Stati assolvano a questa funzione di garanzia è necessario che abbiamo i conti in ordine (leggi bilanci in pareggio e pochi debiti), perché altrimenti la loro affidabilità inizia ad essere minata. Certo oggi come oggi l’insolvenza delle principali economie non è certo all’ordine del giorno, anzi è qualcosa di difficilmente immaginabile, però, come ha mi ha detto un caro amico: fino al giorno prima mi parlavano di Fuld come si nomina un Dio in terra, poi l’incredibile, Lehman Brothers fallisce, adesso solo a nominarlo gli vomitano addosso di tutto. Quindi, come bisogna stare attenti a divinizzare le persone, attenzione a divinizzare lo Stato!!!
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