giovedì 10 maggio 2007

La dimora artica nei Veda

Il professore indiano Bal Gangadhar Tilak, soprannominato dai suoi connazionali Lokamanya, cioè “onorato da tutto il mondo”, scrisse “La dimora artica nei Veda” negli ultimi anni del XIX secolo.
Mi sembra giusto sottolineare questo dato, perché, come lui stesso non manca di rilevare, le conoscenze relative ad alcune materie trattate nel libro, in particolare la storia climatologia del nostro pianeta, muovevano allora solo i primi passi.
Tilak apparteneva alla casta sacerdotale dei Bramini, ma oltre a possedere una conoscenza dettagliatissima dei Veda e degli altri testi sacri Indù, mostra di essere uno studioso polivalente che coniuga con padronanza astronomia, linguistica e mitologia. La tesi fondamentale del libro è che nei Veda si riscontrano numerose e precise indicazioni del fatto che gli antenati degli Arii, invasori dell’India, abbiano vissuto nei pressi dell’artico o comunque all’interno del circolo polare. Già un secolo fa appariva chiaro che il clima aveva subito, nel corso dei millenni, cambiamenti drastici, ma rimaneva la difficoltà di datare la sequenza dei riscaldamenti e raffreddamenti terrestri, inoltre mancava completamente una cronologia affidabile riguardo la comparsa dell’uomo sulla terra, nonché delle sue migrazioni attraverso i continenti. Quest’ultimo problema è rimasto controverso praticamente fino ai giorni nostri, fino a quando, pur tra aspetti ancora da chiarire, grazie agli esami del DNA la teoria “out of Africa” è diventata largamente maggioritaria tra gli studiosi rispetto a quella “multiregionale”.

Ad un secolo di distanza cosa possiamo dire della teoria di Tilak? Non ci sono prove archeologiche che gli Ariani prima di invadere l’India e l’Europa provenissero dall’estremo nord, né peraltro ricerche approfondite in questo senso sono state fatte. Del resto a tutt’oggi le condizioni ambientali artiche restano proibitive. Possiamo però citare una serie di indizi che si accordano con essa. Prima di tutto un aspetto fisiologico delle popolazioni artiche attuali: gli Eschimesi presentano precise caratteristiche fisiche (e culturali) che mostrano un adattamento alle bassissime temperature. Cito ad esempio conformazione, distribuzione del grasso cutaneo, zone di sudorazione; inoltre sono in grado di sfruttare l’ambiente in un modo per cui la loro dieta risulta ricca di vitamina D a tal punto da non aver bisogno dell’irradiazione solare per sintetizzarla. Nulla di questo è presente nelle popolazioni europee che vivono alle latitudini più settentrionali. Non presentano adattamenti fisiologici particolari al freddo; presentano invece un accentuato sbiancamento della pelle che sappiamo avvantaggiare all’estremo nord in quanto permettendo ai deboli raggi del sole di penetrare negli strati sottocutanei consente la sintesi della fondamentale vitamina D. Da tutto ciò è logico supporre che gli antenati dei nordici europei abbiano vissuto all’estremo nord in periodi non particolarmente rigidi. Di questo ragionamento abbiamo una conferma storica nella vicenda della colonizzazione vichinga della Groenlandia. I Vichinghi giunsero sulle coste della Groenlandia verso la fine del X secolo, durante la fase calda medioevale, quando il clima, più mite dell’attuale, permise loro di sopravvivere con forme di agricoltura ed allevamento analoghe al nord Europa. Quando il clima iniziò a raffreddarsi i Vichinghi, che non avevano una cultura materiale adatta al clima artico, dovettero abbandonare la Groenlandia che non era più una Green Land, lasciandola agli Inuit.
Ci sono altre scoperte degli ultimi anni che ci parlano di migrazioni artiche e riguardano il popolamento delle Americhe. Quasi tutti i popoli autoctoni americani, che per comodità chiamerò Amerindi, discendono da tribù di cacciatori che dall’Asia sono passati in Alaska e da qui hanno popolato il continente. La migrazione principale è datata in modo incerto, ma l’ingresso viene continuamente retrodatato ed attualmente lo si ritiene sicuramente antecedente a 15.000 anni fa; un’altra migrazione più recente, sempre lungo la stessa direttrice, viene invece associata ai soli popoli parlanti le lingue della famiglia Na-Denè. Alcune ricerche hanno però evidenziato nella parte nordorientale del continente un antico apporto genetico da parte di popolazioni di razza caucasica. Questo dato è peraltro coerente con il ritrovamento dello scheletro dell’Uomo di Kennewick e dei reperti di punte di lance simili alla cultura Solutreana. Un’altra indizio in questo senso lo possiamo ricavare dalla ricerca derivante dal progetto Genographic. Questo progetto, portato avanti da National Geographic, con IBM e la Waitt Family Foundation sta analizzando il cromosoma Y di tutte le popolazioni mondiali per tracciare delle mappe delle antiche migrazioni umane. Uno dei marcatori genetici trovati, denominato con la lettera X è presente in Europa Occidentale ed in Nord America, ma non ha lasciato alcuna traccia nella Siberia settentrionale. Quindi l’unica spiegazione logica è che gli uomini portatori di questo gruppo siano giunti in America andando verso Ovest. Pur essendo assodato che anche nella preistoria la navigazione era praticata, è difficile pensare ad una navigazione oceanica in un’epoca così remota; forse questi pionieri di tanti millenni fa, hanno seguito un percorso artico in un momento climatico favorevole. A questo proposito dobbiamo considerare anche che le isoterme non seguono esattamente i paralleli: ad esempio ai giorni nostri, a parità di latitudine fa molto più freddo nella zona del Canale di Bering che non nella parte compresa tra Islanda e Norvegia. E’ possibile, ma direi probabile che ci siano state fasi in cui le correnti oceaniche abbiano prodotto una situazione capovolta. Durante la fase acuta della glaciazione più recente, terminata circa 10.000 anni fa, i ghiacci arrivavano fino al cuore della Francia, praticamente tutta l’Europa a nord delle Alpi aveva un clima polare. Questo immenso ghiacciaio arrivava, attraverso l’Atlantico fino a Terranova, la massa di acqua imprigionata era tale che il livello dei mari era più basso di circa 120/150 metri. Non so se dal lato dell’Oceano Pacifico il clima fosse ugualmente così freddo, ma se così non è, le terre emerse tra il nord dell’Alaska ed il nord della Siberia Orientale erano forse percorribili. In ogni caso di là sono arrivati e da qualche parte devono essere passati. Lo stesso problema si pone anche per gli Ainu; presenti da epoca remota nell'arcipelago giapponese, circondati da popolazioni di origine diversa, non è chiaro che percorso abbiano fatto per giungervi. Anche per loro una discesa da nord è un'ipotesi da esplorare.
Chiudendo con queste divagazioni ancestrali, tornando a epoche più vicine a noi ed alla dimora artica degli Ariani, da quello che sappiamo la fase calda che meglio si accorda con l’ipotesi del Tilak dovrebbe essere quella che copre grosso modo il periodo tra 5.000 e 3.000 anni Avanti Cristo. In questo periodo il clima era certamente più caldo dell’attuale e consentiva l’occupazione di terre all’estremo nord. Questo arco temporale è compatibile con la teoria espressa dalla Gimbutas, secondo cui, dopo alcune ondate più antiche, il grosso delle migrazioni che hanno portato i popoli di lingua indoeuropea verso l’India, l’Iran e l’Europa è datato intorno al 2.000 AC. Personalmente mi sembra che le prove che vedono l’epicentro di questo sommovimento nelle pianure eurasiatiche tra i fiumi Volga e Ural siano molto consistenti e suffragate anche in questo caso dalle indagini genetiche (Vedi la mappa sintetica dell’Europa ricostruita dai valori della terza componente genetica principale, rif: “Storia e geografia dei geni umani” di Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza ). Se queste tribù, associate alla cultura Kurgan, sono giunte sulle sponde del mar Caspio discendendo il corso del fiume più lungo d’Europa, spinti dal diluvio di ghiaccio descritto nell’Avesta rimane per ora una congettura, ma una cosa è certa: dopo più di un secolo la tesi proposta dal libro è ancora aperta e questo è un punto a favore per consigliarne la lettura.

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