lunedì 26 novembre 2007

Sarkozy vende due reattori ai Cinesi

Niente di meglio di un esempio per chiarire un ragionamento ed allora colgo una notizia di oggi per ricollegarmi al mio post del 14 novembre su Tremonti ed il mercatismo. La notizia è che il presidente francese Sarkozy ha firmato accordi commerciali in Cina che prevedono, tra l'altro, la vendita di 160 Airbus, nonchè di due reattori nucleari di terza generazione. Solo quest'ultima operazione vale 8 miliardi di euro. Era proprio questo che intendevo quando scrivevo che la crescita economica cinese non è solo una minaccia, ma può portare con sè anche delle opportunità e dipende solo da noi essere in grado di coglierle. Pensiamoci, prima di invocare dazi protezionistici, perchè in un futuro molto prossimo potremmo essere noi italiani ad aver bisogno del loro mercato più di quanto i cinesi non avranno bisogno del nostro.

martedì 20 novembre 2007

Le due facce di Berlusconi

Quella dell’entusiasmo in piazza San Babila, quella scura nella conferenza stampa del giorno dopo.
Forse bastano le espressioni del volto per comprendere una mossa a sorpresa (ma sicuramente preparata a lungo) che cambia lo scenario e mette fine (per il momento?) alla Casa delle Libertà così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.
Berlusconi spiega ai giornalisti il nuovo partito ed accenna ai motivi positivi che spingono all’unità, ricorda le vittorie elettorali, la manifestazione del 2 dicembre 2006, ma in modo serio ed un po’ amaro spiega che le ragioni che l’hanno spinto a questo passo sono più che altro negative: la fatica di trattare con gli alleati, un sistema politico che non è maturo per il bipolarismo. Il partito unitario lui l’ha sempre promosso, ma dalla faccia che aveva si capisce che non avrebbe voluto farlo nascere con uno strappo così traumatico.
L’apertura a sorpresa al proporzionale puro assomiglia molto ad una fine del sogno, ad un ritorno a quell’Italia che dal ’48 a Tangentopoli ha convissuto con un sistema di partiti che facevano il bello e cattivo tempo a prescindere dagli elettori. Certo la transizione verso un sistema più democratico non è riuscita anche perché, senza cambiare la Costituzione, si possono provare tutte le leggi elettorali del mondo ma non avremo mai Governi veramente stabili e responsabili; però dal ’94 ad oggi gli italiani hanno provato la sensazione di scegliere il proprio capo del Governo e non voglio credere che si possa semplicemente tornare indietro al tempo in cui si votava e poi si aspettavano gli esiti degli incontri riservati dentro e fuori il Quirinale. Da inguaribile appassionato di storia devo trovare un parallelo ed allora mi viene in mente il Congresso di Vienna dove si pensò di risistemare tutto com’era un quarto di secolo prima, ma la storia non si cancella con una firma su un trattato. Spero che, allo stesso modo, chi ha creduto nella possibilità di un centrodestra che si candida unitariamente alla guida del paese continui a lavorare in questo senso, anche se milita nei partiti che stanno rifiutando la proposta di Berlusconi.
Il passaggio più interessante è quello in cui sottolinea che nel futuro partito ci sarà un forte collegamento tra la base ed il vertice e che gli incarichi dovranno essere elettivi. Non ci vuole molta malizia per notare che implicitamente è un riconoscimento che Forza Italia fino ad oggi non ha funzionato in questo modo, si tratta comunque di una lodevole intenzione in un panorama italiano dove la prima preoccupazione dei dirigenti di partito è quella di bloccare sul nascere l’emergere di qualche intruso.
Berlusconi ha fatto molti errori, ma ha anche subito molte scorrettezze dai suoi alleati per cui, oggi, trovare i colpevoli ed attribuire le colpe di questa rottura della CDL è un’impresa difficile e tutto sommato poco utile e comunque ci vorrebbe un libro intero.
L’unica cosa certa adesso è che la situazione è nuova, fluida, nessuno sa quando voteremo, con che sistema elettorale e quali partiti si presenteranno, vorrei che però fossimo tutti consapevoli di una cosa: prima si inizia a discutere (e magari litigare) di quali scelte concrete ha bisogno il paese, meglio è. (ma inizieranno mai???).

mercoledì 14 novembre 2007

Tremonti, il mercatismo e la globalizzazione

Giulio Tremonti nelle sue apparizioni televisive concentra i propri interventi su alcuni argomenti economici di portata generale: la globalizzazione, le nuove potenze economiche asiatiche, il libero commercio. Le sue considerazioni e le sue ricette appaiono abbastanza eretiche rispetto all’ortodossia liberista.
Semplificando il discorso, Tremonti imputa alla crescita economica asiatica, le difficoltà e l’impoverimento della nostra economia e propone di ripensare il libero commercio internazionale stabilendo delle norme che rendano più difficile per le economie emergenti fare concorrenza grazie al basso costo della manodopera ed all’assenza di regolamenti in tema di ambiente, tutela dei lavoratori, sicurezza ecc….
Esporrò per prime le mie perplessità su questo schema, per finire invece con gli aspetti che reputo meritevoli di essere sostenuti.
La prima obiezione è che i problemi denunciati sono piuttosto peculiari della situazione italiana, le difficoltà della nostra economia sono molto più accentuate rispetto alla realtà dei nostri partner europei, che soffrono molto meno di noi le conseguenze della globalizzazione. Non è necessario inventare nulla di trascendentale, è sufficiente guardare ai punti di forza dei paesi simili al nostro e possiamo trovare dei modelli in grado di invertire la decadenza del nostro paese: Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna sono stati in grado di aumentare il proprio benessere anche in questa epoca di concorrenza globale.
Il “mercatismo”, inteso da Tremonti come il dogma che impone il libero commercio, è visto come il meccanismo che ci fa “importare povertà”. In realtà la delocalizzazione delle strutture produttive e l’acquisto all’estero di merci a buon mercato di per sé non significa automaticamente una diminuzione del livello di vita nei paesi economicamente maturi. Il problema è di avere una struttura dinamica in grado di adattarsi, mutando il genere di lavoro svolto ed il genere di impresa. Sappiamo che l’euro ha introdotto una rigidità importante: abbiamo un tasso di cambio prefissato verso l’Europa e non possiamo svalutare verso il resto del mondo quindi è necessario flessibilizzare gli altri fattori.
Il governo dell’Euro segue logiche più o meno discutibili, ma certamente non tarate sulle nostre necessità; questo aspetto non deve però essere enfatizzato: l’Italia è un paese economicamente disomogeneo ed anche governando la lira si doveva tenere insieme esigenze inconciliabili, basti pensare allo squilibrio nord-sud.
Tutto il nostro sistema è debole e deve essere rafforzato sotto tutti i punti di vista: formazione dei lavoratori, evasione fiscale, ammortizzatori sociali…. Tutto deve essere tarato per rendere il sistema competitivo ed in grado di generare benessere diffuso.
Si parla tanto di globalizzazione, ma non bisogna dimenticare che il commercio mondiale è molto lontano dall’essere un sistema di libero scambio e che il liberismo o il neoliberismo va per la maggiore in teoria, ma è poco applicato nella pratica, soprattutto nel nostro paese.
Le economie più libere sono quelle più sviluppate, questo è il dato da cui non si può prescindere. Prima di parlare di dazi o di guerre doganali riflettiamo attentamente: noi dipendiamo disperatamente dalle esportazioni, soprattutto negli ultimi anni la nostra economia ha saputo crescere solo grazie alle esportazioni, rischiamo di scatenare guerre commerciali che ci vedrebbero come i più danneggiati. Altro aspetto da tenere presente in questa ottica: siamo terribilmente piccoli, non illudiamoci di poter imporre la nostra visione o i nostri modelli; negli anni '60 eravamo ancora uno dei paesi più popolati, ma oggi moltissimi paesi ci hanno superato, rappresentiamo meno dell’1% della popolazione mondiale e con un’economia ferma.
La Cina, paese-simbolo degli emergenti percepiti come una minaccia, inonda il mondo con merci a basso costo e spesso scarso valore, ma sta diventando una potenza e lo sviluppo di settori avanzati è dietro l’angolo.
Detto questo è giusto aggiungere che gli squilibri denunciati da Tremonti sono reali, in particolare il deficit commerciale e l’indebitamento privato degli USA sono gravi e possono generare crisi profonde.
Quindi ha ragione su questo: studiare bene la struttura dell’interscambio, il vantaggio che deriva dal commercio internazionale c’è se si importa la stessa merce ad un prezzo inferiore, non se si importa roba di scarsa qualità. In altre parole che vantaggio abbiamo ad importare giocattoli da 1 euro, che si rompono dopo una settimana o bianchetti precotti surgelati che vengono rivenduti da ristoranti alla moda come fossero pesce fresco.
Inoltre il sistema finanziario e monetario appare inadeguato, un mercato funziona bene se c’è un accesso paritario e regole comuni, soprattutto per quello che riguarda i movimenti di capitali, la convertibilità delle valute, le emissioni e l’accessibilità ai titoli. Qui c’è molto da fare e non bastano certi i dazi a metterci al riparo dalle bolle speculative innescate dalla marea di liquidità che circola.

mercoledì 7 novembre 2007

U.R.S.S. e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Uno degli aspetti più oscuri della Seconda Guerra Mondiale è il rapporto tra Giappone e URSS. Formalmente appartenenti ai due blocchi contrapposti, nonostante fossero confinanti si sono praticamente ignorati per quasi tutta la durata della guerra.
In realtà, il primo episodio bellico di vasta portata tra le potenze della II Guerra Mondiale coinvolse proprio questi due paesi. Nell’agosto del 1939 infatti, nella regione di Nomonhan, sul confine tra Mongolia e Cina, i sovietici guidati dal generale Zukov si scontrarono con i giapponesi, sconfiggendoli duramente. Questa battaglia, ricordata come la battaglia del fiume Khalkha, ha posto fine agli scontri sporadici che perduravano nella zona dall’anno precedente. Da allora il Giappone, che già aveva invaso la Cina nel 1937, rivolgerà la propria attenzione verso sud e verso il Pacifico.

La prima osservazione che viene in mente è l’assoluta mancanza di coordinamento delle forze dell’Asse, che durerà per tutta la guerra e che sarà uno dei motivi che le porterà alla rovina: mentre il Giappone si scontra con l’URSS in Estremo Oriente, la Germania firma il patto di non aggressione Ribbentrop- Molotov, con cui si spartisce la Polonia; nel 1941 invece di concentrare le forze contro gli inglesi in Nord Africa per espellerli dal Mediterraneo, i tedeschi invadono l’Unione Sovietica, nello stresso anno giapponesi firmano un trattato di pace con i sovietici ed attaccano gli USA; questi sono gli esempi più eclatanti, per tacere dell’assurda invasione della Grecia da parte dell’Italia….
In realtà nei primi anni di guerra gli assetti delle alleanze non erano così rigidi come sembrò successivamente, vi furono ad esempio le forti tensioni tra Regno Unito e Francia, ci fu anche l’invasione della Finlandia da parte dell’Armata Rossa che sembrò scatenare la reazione degli inglesi, poi però Churchill scelse la priorità: abbattere Hitler e la perseguì ad ogni costo, mettendo tutto il resto in subordine.

L’attacco agli USA da parte della marina nipponica è l’evento che determinerà la sorte finale del conflitto; al momento dell’entrata in guerra gli Stati Uniti sono, in confronto alle altre potenze, un paese praticamente smilitarizzato, ma il loro potenziale industriale li mette in brevissimo tempo in condizione di produrre più armamenti di tutto il resto del mondo messo assieme.

Nel periodo tra il ’39 e il ’45, mentre la guerra infuria su tutti i fronti, l’URSS ed il Giappone rispettano la propria tregua, le ostilità riprendono solo nell’agosto del 1945, Stalin ha il tempo di trasferire le sue forze in oriente e dichiarare guerra: il Giappone ormai stremato e sotto lo choc dei bombardamenti atomici , non opporrà praticamente resistenza, cedendo tutti i territori sul continente.
Così il destino di questi due strani contraenti non belligeranti è opposto: uno perde non solo l’effimero impero conquistato, ma diventa praticamente un paese a sovranità limitata, l’altro si prende ben oltre quanto fosse immaginabile.
Grazie all’arrendevolezza di Roosvevelt i sovietici fagocitano mezza Europa, grazie all’intransigenza di Truman nel Pacifico si prendono anche la Manciuria.

giovedì 1 novembre 2007

Libri

John Keegan - La grande storia della guerra *****
Kenneth O.Morgan (a cura di) - Storia dell'Inghilterra ***
Ludovico Gatto - Il Feudalesimo ***
Ludovico Gatto - Le invasioni barbariche **
Plutarco - Vita di Coriolano e Alcibiade ***
Romolo Staccioli - Gli Etruschi **
Aurelio Lepre - Mussolini l'Italiano ***
Hans Georg Behr - I Moghul imperatori dell'India ***
Steven Pressfield - Le porte di fuoco *****
Tom Clancy - Ogni uomo è una tigre ***
Viviana Zabro - Storia del Far West **
Richard Fletcher - El Cid storia del nobile cavaliere Rodrigo Diaz ***
Le Goff - Il Medioevo. Alle origini dell'identità europea **
Bjorn Kurten - Il primo uomo **
Sabatino Moscati - Italia punica **
Aldo Schiavone - La storia spezzata. Roma antica e Occidente moderno ***
Gianni Granzotto - Annibale ****
Henry Troyat - Alessandro I. Lo zar della Santa Alleanza **
Peter Brown - La formazione dell'Europa cristiana **
Colin Wells - L'Impero Romano **