domenica 25 marzo 2007

Guerra e pace, missioni e conferenze

Missioni di pace, conferenze di pace, bandiere della pace, marce della pace, cannabis della pace, pace, pace, pace…. Esiste una parola più abusata, più usata a sproposito, più sputtanata di questa?
In Afghanistan c’è una guerra, piaccia o no è così, le milizie talebane vogliono tornare al loro posto e per riuscirci fanno la guerra. Il loro era un regime spaventoso, ma questo non è il punto; il punto è che reclutavano, proteggevano, addestravano terroristi da tutto il mondo, terroristi pronti a portarci la loro guerra in casa; rispetto a questo fatto non abbiamo molta scelta, o combattiamo o ci arrendiamo.

La conferenza di pace è un insulto all’intelligenza, prima di tutto perché coloro che la propongono sanno perfettamente che si tratta di una mossa ad uso interno, mossa a cui può credere solo qualche loro elettore particolarmente incline a credere alle favole; in secondo luogo ai talebani non interessa minimamente parteciparvi; terzo punto: che cosa abbiamo da offrire? E’ chiaro che, in qualsiasi trattativa, le parti coinvolte, in base ai rapporti di forza, cedono qualcosa per addivenire ad un compromesso. Nel nostro caso i paladini della pace non ci hanno detto che cosa possiamo offrire ad un tavolo di trattativa, anche perché l’unica cosa che possiamo offrire è la resa, che del resto è il minimo che ci viene chiesto dai talebani.

La forze NATO nel paese sono incredibilmente esigue, ad esempio, per la campagna volta alla riconquista di Musa Qaleh sono impegnati 4500 soldati dell’Alleanza, un numero ridottissimo, anche paragonato alle guerre più recenti, dove solitamente l’impiego di soldati sul terreno è il minimo indispensabile. L’entità delle forze schierate è il segno del cortocircuito in cui si è cacciato l’Occidente: facciamo la guerra a metà, mandiamo i soldati ma devono sparare il meno possibile, con il risultato che le crisi si trascinano senza far intravedere una via d’uscita. Se pensiamo che quella con i talebani è una guerra da fare, va fatta con tutti i mezzi di cui disponiamo, altrimenti se non usiamo la forza che abbiamo vuol dire che non è una guerra da combattere ed allora stiamocene a casa, tutto il resto è ipocrisia. Se non serve usare le armi perché mandiamo soldati? La guerra è una realtà terribile, siamo d’accordo, ma la pace non arriva come la manna dal cielo, arriva invece in due modi: quando tutte le parti in causa la perseguono, oppure quando uno dei contendenti è sconfitto; per il momento il caso afgano non rientra in nessuno dei due.

mercoledì 21 marzo 2007

Marxismo 2, funzionamento e disfunzioni

Nel 1989 le televisioni mostrano ad un Occidente sorpreso e quasi incredulo l’assalto e l’abbattimento del Muro di Berlino. Il crollo del Muro simbolo del crollo dei regimi sovietici, una Guerra Fredda, che sembrava dover perdurare indefinitivamente, cessa quasi all’improvviso con la vittoria del fronte atlantico. Come si sa quando una guerra, un’impresa, un progetto va male è difficilissimo attribuirne la paternità a qualcuno, tutti si defilano dichiarando “io non volevo, non è colpa mia, io l’avevo detto…”, invece le vittorie hanno molti padri ed aspiranti tali.
Generalmente le due figure cui più di frequente si riconduce questa paternità sono Ronald Reagan e Giovanni Paolo II. Certamente la fermezza, senza cedimenti, con la quale si sono opposti al regime sovietico ne fa meritatamente i capofila di questa vittoria storica, ma credo che si debba onestamente accettare il fatto che il sistema sovietico è crollato perché non stava più in piedi. Il sistema economico, burocratico, sociale dell’URSS e dei suoi satelliti non produceva ricchezza; produceva molte armi, e di ottima qualità, ma per sostenere l’industria bellica sacrificava materialmente la vita dei suoi abitanti riducendola ai minimi termini, creando così una situazione in cui c’erano solo due vie di uscita: la guerra o un cambio si sistema.
L’aspetto su cui mi preme ragionare è questo: nessun regime comunista ha mai funzionato, può mai funzionarne qualcuno?
Secondo me no e vi spiego perché. Innanzi tutto chiarisco che, per funzionante, intendo un sistema che realizzi almeno due presupposti che dichiara di perseguire e cioè l’uguaglianza e l’eliminazione della povertà.
Per perseguire l’uguaglianza il Comunismo proibisce la proprietà privata dei mezzi di produzione, attribuendola allo Stato. Qui nasce il primo problema perché chi intraprende una qualsiasi attività economica lo fa al fine di vendere un bene od un servizio, partendo dal presupposto (a volte giusto a volte sbagliato) che ci sia qualcuno disposto a comprarlo, lo Stato Comunista deve decidere cosa produrre e, per fare tutti uguali, darne a tutti. Esempio: lo Stato fabbrica automobili, un unico modello e ne dà una a tutti. E’ chiaro che ci sarà qualcuno che ha bisogno dell’auto o a cui quella auto piace un sacco che sarà soddisfatto, qualcun altro che non ne ha bisogno o non ha la patente che non se ne fa nulla e quindi già l’uguaglianza va a farsi benedire. Allora c’è una soluzione: si dà uno stipendio uguale a tutti e poi ognuno compra quello che gli pare, in questo caso nasce una difficoltà e cioè che per soddisfare esigenze particolari, ad esempio produrre tavole da surf o strumenti musicali, bisogna distogliere forze produttive da altri consumi di massa. Il problema più grosso è però un altro: e se io mi accontento di metà stipendio per andare mezza giornata al mare? Bene è una scelta personale non saremo più tutti uguali ma pazienza, peccato che se questa scelta diventa numerosa il totale della produzione diminuisce e quindi si potrà garantire sempre meno prodotti da distribuire; magari c’è qualcuno che si offre di lavorare il doppio: ma allora bisogna pagarlo di più, si arricchisce questo non è più Comunismo.
Sono esempi estremi ed elementari, certo non stiamo parlando di teorie economiche, ma dimostrano come non si può avere uguaglianza se non livellando verso il basso.
C’è poi l’aspetto più importante: i lavori non sono tutti uguali, chi stabilisce chi fa cosa?
Se dobbiamo guadagnare tutti la stessa cifra io preferisco fare ad esempio quello che testa le apparecchiature delle beauty farm, degli alberghi, delle palestre oppure se proprio ci devono essere solo fabbriche preferisco fare il dirigente, perché dovete sapere che anche in URSS c’era la classe dirigente e sapete come veniva selezionata? Semplice i comunisti comandavano, peccato che dopo aver eliminato fisicamente tutti gli avversari politici, gli alleati, i dissidenti, Kulaki, prigionieri di guerra e minoranze etniche, sono rimasti solo comunisti, tutti iscritti, ma dell’uguaglianza neanche l’ombra, ecco l’unico modo in cui il Comunismo può funzionare: mantenere una buona percentuale di non comunisti su cui comandare e giustificare così con la formula ipocrita di dittatura del proletariato la mancanza di uguaglianza.
L’ultima cosa che ci dovrebbero spiegare i comunisti è perché non dovrebbe esserci miseria in un società dove non c’è alcun stimolo a creare ricchezza. Se trattiamo di attività economiche significa che lo scopo è conseguire un profitto, o guadagnarsi uno stipendio, se eliminiamo questo stimolo di base non c’è più senso ad impegnarsi in qualcosa che ci viene imposto dall’alto.

lunedì 12 marzo 2007

SICUREZZA primo punto del programma

Credo che la sicurezza dovrebbe essere il primo punto del programma di coloro che vogliono rappresentare i nostri valori nelle istituzioni pubbliche.
La sicurezza dei cittadini è il primo compito e vero scopo di esistere dello Stato.
Lo Stato ha il compito di difendere dai pericoli interni ed esterni la vita e i beni dei propri cittadini, è questo il motivo per cui ognuno di noi rinuncia all’uso della forza, vi è un patto: è allo Stato che si delega e si riconosce la facoltà di usare la forza per garantire la sicurezza.
Quando lo Stato viene meno a questo suo compito viene meno la sua credibilità, viene violato il patto di civiltà, si torna a forme tribali di giustizia, alle faide, alla giungla.
Eppure mentre lo Stato si assume compiti sempre maggiori e titanici, mentre vuole determinare ogni misura della nostra vita, dall’economia, al tempo libero, ha perfino l’ambizione di poter modificare il clima del nostro pianeta, sembra aver perso di vista o comunque disinteressarsi del suo compito primario.
Sulla sicurezza dobbiamo insistere perché l’impunità e l’arroganza criminale ha raggiunto nel nostro paese dei livelli intollerabili. Vi sono intere categorie di reati gravi che restano impuniti, non perché se ne ignorano gli autori, ma perché di fatto il carcere non è previsto, o meglio si entra qualche giorno e poi per sconti, attenuanti, condizionali, domiciliari e via dicendo si esce per ricominciare subito a delinquere.
Hanno giustificato l’indulto dicendo che nelle carceri c’è posto solo per quarantamila detenuti, cioè, faccio notare, meno che in qualunque altro paese europeo, ma potevano almeno fargli versare una cauzione, o inventarsi qualcos’altro, potevano fargli smaltire un po’ di tonnellate di quei rifiuti ammassati sulle strade dove non funziona la nettezza urbana, così a livello simbolico, tanto per non far sembrare questo provvedimento uno schiaffo in faccia ai cittadini onesti che devono subire i furti, gli scippi, le rapine…
Ci hanno detto che il sovraffollamento delle celle è uno scandalo, che dalla condizione delle carceri si misura il grado di civiltà di un popolo: va bene, ma si misura anche da come riesce a garantire sicurezza e giustizia ai cittadini che rispettano la legge. Se non c’è posto che li mettano nelle tende da campeggio o nei container, ci stavano i terremotati, possono starci benissimo anche i delinquenti.

lunedì 5 marzo 2007

Legge elettorale: il vero scontro politico

Non è l’Afghanistan, non è l’economia, non è il lavoro, non è l’Alitalia, non sono i CPT o la criminalità, il vero scontro in corso oggi tra le forze politiche è la legge elettorale. E’ un po’ triste ma è comprensibile perché da questa legge dipende l’assetto dei partiti ed il modo in cui possono influenzare la gestione del potere.
I due cambiamenti su cui c’è un accordo sostanziale sono: introduzione delle preferenze e unificazione delle regole tra Camera e Senato (Costituzione permettendo).
Queste due modifiche non cambiano la sostanza della legge attuale ed infatti lo scontro è su un altro unico punto fondamentale: i partiti di centro, UDC in testa, vogliono una legge proporzionale, anche con sbarramento, ma senza premio di maggioranza, cioè il cosiddetto modello tedesco. In questo modo è evidente che dopo le elezioni, indipendentemente dall’esito delle stesse, essi avranno la possibilità comunque di essere decisivi per raggiungere la maggioranza alle Camere e quindi di far parte del Governo. Uno sbarramento al 5 per cento non fa paura a nessuno, l’estrema sinistra si può aggregare e superarlo, Mastella si può mettere in lista con Casini.
Una modifica in senso opposto, caldeggiata dal nascente comitato referendario, sarebbe quella di attribuire il premio invece che alla coalizione più votata, alla lista più votata; in questo modo il potere dei piccoli partiti verrebbe attenuato fortemente, infatti i leader di questi ultimi avrebbero due scelte: candidarsi in uno dei due listoni e sperare di avere abbastanza preferenze da risultare eletti, oppure presentarsi da soli ma restare quasi sicuramente all’opposizione.
L’attuale legge può essere modificata o con un largo accordo o con una legge della maggioranza.
Un largo accordo tra i quattro partiti maggiori andrebbe in direzione di un rafforzamento del bipolarismo ma provocherebbe l’opposizione strenua dei piccoli partiti e probabilmente la caduta del Governo, per questo motivo Prodi ha già mandato segnali ostili contro il comitato referendario.
I partiti dell’attuale maggioranza si possono trovare d’accordo solo sul modello tedesco, che verrebbe votato anche dall’UDC. In questo caso il progetto del Partito Democratico non vedrebbe mai la luce, mi auguro che i suoi sponsor se ne rendano conto.
La mia opinione è che il sistema bipolare vada preservato, i cittadini devono poter scegliere prima da chi vogliono essere governati.