giovedì 27 marzo 2008

Perchè sì al partito unitario (e come dovrebbe essere)

Una piccola premessa è necessaria: nonostante l’abbondante offerta di partiti che si sono succeduti sulla scena politica italiana in questi anni, non c’è mai stato un partito che rappresentasse pienamente le mie opinioni. Io credo in un’economia libera e questo già restringe drammaticamente il campo, vista l’atavica diffidenza dei politici italiani per il libero scambio, la concorrenza e la libertà di impresa. Nello stesso tempo auspico una giustizia severa ed intransigente perché credo che la difesa dei propri cittadini sia il compito fondamentale dello Stato. Credo che la disciplina di bilancio sia la tutela migliore per il benessere comune, ma normalmente i parlamentari sono propensi ad andare in direzione opposta al pareggio di bilancio ed alla riduzione dell’apparato statale. Potrei continuare con la mia avversione verso ogni arrendevolezza nei confronti della droga. Sono contrario alle attuali istituzioni europee, ma favorevole allo spirito europeista e all’euro (nonostante gli effetti disastrosi nei primi anni dell’introduzione), credo che sia compito fondamentale dei nostri rappresentanti all’interno delle istituzioni difendere la nostra identità culturale e così via, ma insomma il concetto è che un partito che mi rappresenta non c’è. Per questo motivo un partito unitario all’interno del quale si possono manifestare le varie tendenze che ho espresso mi faciliterebbe molto la scelta. Naturalmente per rendere operativa una reale possibilità di scelta bisognerebbe che all’interno del partito fosse possibile poter sostenere il candidato che più si avvicina all’insieme delle proprie convinzioni. La semplificazione del quadro politico odierno restringe il campo del centrodestra a PDL, la Lega e la Destra. Anche così resta il fatto che ho buone ragioni per votare e per non votare ciascuno di questi. Di tutti certamente il PDL sembra poter diventare il contenitore adatto a raccogliere le istanze di una larga maggioranza, ma è quello che aspettavo? Diciamo che è un passo avanti, ma dipenderà molto dal tipo di organizzazione che deciderà di darsi. Costruire un nuovo partito potrebbe essere l’occasione per riscrivere le regole e creare quindi un movimento veramente aperto alla partecipazione dei cittadini; a dire il vero se guardiamo alla realtà è difficile immaginare un’evoluzione in questo senso: oggi i partiti politici, compresi quelli che hanno dato vita al PDL sono organizzazioni in cui tutto il potere decisionale è concentrato al vertice e l’influenza della base è praticamente nulla. Come si potrebbe organizzare un partito unitario siffatto? Secondo me dovrebbe far scegliere ai propri sostenitori (con o senza tessera) i candidati alle posizioni più importanti: sindaco, governatore di regione, presidente del consiglio. La base degli iscritti del Partito dovrebbe poter scegliere i vertici dell’organizzazione, si dovrebbe prevedere anche alcune rappresentanze a rotazione. Il partito dovrebbe avere come compito fondamentale quello di gestire il momento elettorale e quello di organizzare il rapporto con i rappresentanti eletti nei vari organi locali e nazionali. Il partito dovrebbe evitare l’omologazione e l’appiattimento delle idee, dovrebbe invece essere aperto al dialogo con tutte le forme associative nelle quali i cittadini possono esprimere la propria partecipazione politica, penso ad Azione Giovani, ai Circoli della Libertà, alle fondazioni, agli istituti di studio; un po’ come avviene negli USA, dove guardano al Partito Repubblicano i movimenti anti tasse, quelli a favore del possesso di armi, gli antiabortisti, il movimento conservatore, cioè sia associazioni che si concentrano su un unico tema particolare o territoriale, sia quelle che esprimono un ventaglio completo di valori ed opinioni; dal dialogo, dallo scambio di idee e dai dibattiti, i vari candidati propongono poi una sintesi di azione politica.
Insomma… tutto l’opposto di quello che avviene da queste parti.

martedì 25 marzo 2008

Passeggiata sul Monte San Giacomo






nell'ordine: Lavagna, Chiavari e sullo sfondo Portofino; il mio cane; la penisola di Sestri Levante; la Val Fontanabuona; la foce dell'Entella.

mercoledì 19 marzo 2008

Iraq, perchè la guerra non andava fatta

20 marzo 2003 cominciava la seconda guerra in Iraq, 5 anni in cui gli USA hanno visto rapidamente mutare davanti a sé il nemico: prima l’esercito di Saddam, poi la guerriglia dei nostalgici, di Al-qaeda e quella delle milizie sciite.

A mio avviso c’erano 3 buone ragioni per non iniziare quella guerra:

- La prima è che strategicamente conviene concentrare le forze: la guerra in Afghanistan non era (e non è) finita, ai Talebani si oppongono sparute forze Nato. Metà del contingente iracheno significherebbe un incremento tale delle forze in campo in Afghanistan da rendere possibile il controllo del territorio, in un paese che mal si presta ad essere occupato. Gli USA hanno uno strapotere di fuoco tale da poter annientare numerosi nemici contemporaneamente, ma se il progetto è sostituire i regimi che proteggono i terroristi con Governi non ostili, allora ci vogliono soldati, tanti soldati e tanta pazienza e non conviene cominciare un lavoro senza averne finito un altro.

- La seconda ragione è che non c’era un progetto definito sulla linea da seguire dopo la vittoria militare. L’unico progetto dichiarato è la creazione della prima democrazia del mondo arabo. Progetto ambizioso e comunque, di fatto, il più lungo da realizzare, soprattutto mantenendone l’unità territoriale; anche perché il primo requisito per una democrazia è che i suoi cittadini la vogliano e le guerre civili incrociate viste in Iraq gettano qualche dubbio in proposito.

- Terzo motivo: era chiaro a tutti che le tensioni tra Curdi; Sunniti e Sciiti potevano sfociare in un disgregamento della convivenza; è stato facile per i vicini, Siria e Iran, che si sono sentiti minacciati, fomentare le divisioni e destabilizzare il paese, allontanando da sé il pericolo di un intervento americano.

C’è poi il problema dei costi che va sempre tenuto presente ogni volta che si spende, in questo caso c’è da chiedersi: le stesse cifre potevano accrescere maggiormente la sicurezza nazionale impiegate in modo diverso?

Il Governo Americano, reagendo agli attacchi dell’11 settembre, disse che non avrebbe tollerato che degli Stati potessero dare asilo, finanziare, addestrare, proteggere gruppi terroristici e che la creazione di paesi democratici in Medio Oriente sarebbe stato l’unico antidoto all’estremismo islamico, il ragionamento è sensato e da appoggiare. Indubbiamente l’Iraq era uno Stato ostile, uno Stato che aveva risorse economiche e tecniche per essere molto pericoloso. Saddam aveva sviluppato ed usato armi di distruzione di massa contro gli stessi propri cittadini e nella nuova dimensione assunta dalla sfida di Al-qaeda all’Occidente c’era il rischio che trovasse una convergenza, anche temporanea con il terrorismo binladista, cedendo armi chimiche a coloro che non avrebbero problemi ad usarle nelle nostre città. Una volta iniziata la guerra il nemico ha dimostrato di essersi preparato per tempo predisponendo una strategia di logoramento simile a quella che incontrarono gli israeliani durante l’occupazione del Libano. Si è quindi palesato il rischio che il disfattismo avesse la meglio e che si giungesse, come in Vietnam, a perdere la guerra senza aver perso una battaglia.
Bisogna dire che se la strategia dei baathisti fatta di ordigni sul ciglio della strada poteva essere prevista, meno prevedibile la valanga di kamikaze che gli estremisti islamici hanno messo in campo, quasi sempre con bersaglio i civili iracheni.

Se la pistola fumante delle armi di distruzione di massa non è stata trovata (come era ovvio), l’Iraq ha dimostrato però che la “guerra al terrorismo” non è un’invenzione. Quasi ogni giorno, per mesi ed anni, i terroristi sono riusciti a mettere in campo almeno “un martire” pronto a portare morte ed accendere lo scontro.

Tenerli impegnati in Iraq li ha alleggerito il pericolo di attentati in Occidente?
Probabilmente sì, peraltro l’Europa è molto più esposta degli USA al rischio di essere infiltrata dai terroristi, eppure sembra riluttante a perseguire la strategia di tenere i fanatici concentrati su obiettivi al di fuori dei nostri confini.

Oggi sembra che il risultato di stabilizzare l’Iraq sia a portata di mano, la strategia promossa dal generale Petraeus sta avendo successo, la questione decisiva è capire quando il paese potrà mantenere una normalizzazione accettabile con le sole proprie forze. Le operazioni contro formazioni di insorti richiedono tempi molto lunghi, pensiamo ad esempio all’esercito britannico che ha operato in Irlanda del Nord per 38 anni prima di ritirarsi lo scorso anno.
Forse la guerra non andava iniziata, ma è necessario portarla a compimento con determinazione perché il nemico di oggi è altrettanto pericoloso del regime abbattuto e non è possibile ritirarsi lasciandogli campo libero.

sabato 15 marzo 2008

La seconda migliore intervista della storia del cinema

Pensandoci bene la seconda migliore intervista che ho mai sentito in un film è quella di "Bull Harley" in Over the Top, che potete rivedere alla fine del breve filmato.

venerdì 14 marzo 2008

Un pò di libri

Di seguito qualche consiglio per la lettura, con relativa votazione. In questo elenco ci sono diversi 5 stelle.

Giuseppe Antonelli - Storia di Roma antica *****

Giuseppe Antonelli - Catilina ****

John Micklethwait, Adrian Wooldridge - La destra giusta *****

Cyril Mango -La civiltà bizantina **

Paolo Alatri - Mussolini ***

Mino Monicelli -La Repubblica di Salò **

Bluche, Rials, Tulard - La Rivoluzione Francese ***

Sun-Tzu - L'arte della guerra *****

Plutarco - Come trarre vantaggio dai nemici ***

Plutarco - Le virtù degli animali ***

Federico Rampini - L'impero di Cindia ****

Giovanni Pettinato - Ebla ***

Max Gallo - Napoleone ****

Ferdianando Romano - La religione di Zarathustra ***

Alessandra Consolaro - I Veda. Introduzione ai testi sacri indiani **

Robert Stewart - I miti della creazione **

Anns Saudin, Costanzo Allione - Lo sciamanesimo siberiano ***

Cecil Woodham Smith - Balaclava. La carica dei 600 **

Silvio Bertoldi - Il re che tentò di fare l'Italia. Vita di Carlo Alberto di Savoia **

Pietro Citati - La luce della notte **

domenica 9 marzo 2008

Chi spinge a favore dell'immigrazione

Parlando dell’immigrazione è difficile trovare qualcuno che non sia preoccupato del fenomeno e che non ritenga problematico l’arrivo di milioni di immigrati nel nostro territorio. Mi sono chiesto perché, se l’opinione pubblica ha questo orientamento poi non cambia mai nulla e sono giunto alla conclusione che a molti l’immigrazione conviene e questa convenienza di una minoranza riesce a piegare la volontà della maggioranza.
I gruppi che accuso di collusione con coloro che sostengono scientemente l’immigrazione sono in primis gli imprenditori, che possono pagare stipendi più bassi rispetto ad un lavoratore italiano, poi l’immigrazione conviene ai sindacati che possono rimpolpare le proprie fila con forze fresche, conviene a quelli che affittano tuguri impresentabili, conviene forse anche alla Chiesa che ha lo stesso problema dei sindacati e naturalmente i partiti di sinistra che hanno visto inesorabilmente erodere il proprio consenso negli ultimi 30 anni. Con il tacito assenso e talvolta il consenso attivo di queste organizzazioni quindi, la propaganda di chi propugna la fine dei popoli europei può dispiegare tutti i suoi argomenti per cercare di convincere che dell’immigrazione non possiamo farne a meno. Peccato che nessuno di questi argomenti abbia un fondamento, vediamo i principali:

1- Anche noi eravamo migranti: è vero e ad un certo punto infatti i paesi di arrivo hanno posto dei limiti agli ingressi. In ogni caso il fatto di essere stati migranti ci impone moralmente di avere una sensibilità particolare verso coloro che arrivano, ma non di accettare un numero illimitato di persone. E comunque l’arrivo di nuovi immigrati peggiora la condizione degli stranieri che già risiedono in Italia, quindi se l’obiettivo è dare condizioni accettabili, l’obiettivo può essere perseguito solo a patto di fermare nuovi ingressi

2- Gli Italiani non vogliono fare certi lavori: questo argomento è falso, gli Italiani non fanno certi lavori a certe paghe perché non potrebbero mantenersi. Pagando adeguatamente, gli Italiani fanno qualunque lavoro ed in ogni caso anche accettando l’argomento dobbiamo chiederci di quanti immigrati avremmo bisogno. Mettiamoci d’accordo: quando i capitali investono all’estero si dice che si toglie lavoro agli Italiani, se restano pare che non ci siano Italiani disposti a lavorare….
I numeri dicono che il tasso di occupazione in Italia è più basso della media europea, cioè gli Italiani che lavorano sono pochi, l’idea di far venire altra gente a lavorare al nostro posto è meschina oltre che assurda. E’ solo l’ultima furbata autolesionista all’italiana. L’Italia esporta cervelli ed importa braccia, siamo sicuri che questo sia un modello di sviluppo giusto per il nostro futuro? Far affluire manodopera non specializzata ha l’effetto di impoverire i nostri lavoratori, che hanno più concorrenza sul posto di lavoro e vedono aumentare i disagi abitativi nei quartieri popolari e questa è la ragione che ha comportato al nord uno spostamento di voti operai dalla sinistra alla Lega.

3- Alcuni sono ben integrati: è certamente vero, anch’io ne conosco personalmente. Lavorano, rispettano la legge, si trovano bene. Ma non si può contrapporre ad un problema generale il caso del singolo, io pongo una questione di numeri, il fatto che ci siano migliaia di immigrati ben integrati non significa che possano automaticamente arrivarne altri milioni e trovarsi altrettanto bene.

4- L’immigrazione è un pedaggio che dobbiamo pagare per le colpe del passato (colonialismo) e per il fatto che l’Europa è ricca ed il resto del mondo è povero: pensare di rendere migliore la situazione africana favorendo l’immigrazione in Europa è grottesco, innanzitutto per i numeri coinvolti, l’Europa è piccola e i poveri sono miliardi, inoltre dai paesi d’origine emigrano i giovani in età da lavoro, cioè gli unici che potrebbero creare ricchezza a casa loro, infine perché fino a quando non ci saranno le condizioni economiche, culturali e politiche l’Africa non si svilupperà mai e le rimesse degli emigranti serviranno solo a stimolare ulteriormente la crescita della popolazione ed a pagare altri viaggi verso casa nostra.

5- La contrarietà all’immigrazione maschera il razzismo: rimasti a corto di argomenti i sostenitori della nuova Europa multirazziale ricorrono all’ultima risorsa disponibile: accusare chi la pensa diversamente di razzismo. Per quanto mi riguarda si tratta di un’accusa assurda: io non sostengo che un popolo sia superiore all’altro, semplicemente affermo che i popoli esistono, esistono le culture, le tradizioni e non sempre sono sovrapponibili come se niente fosse. Io esigo che qualunque straniero che arriva in Italia riceva il massimo del rispetto, che sia tutelato come persona, che abbia la possibilità di vivere dignitosamente. Esigo anche, però, che accetti le nostre leggi e le nostre abitudini, arrivare da noi è una sua scelta e non può pretendere di imporre comportamenti per noi non accettabili. Ciò che la nostra distratta ed assuefatta società non vuole affrontare è il fatto che quest’ultima affermazione vale solo fino a quando lo straniero è una minoranza, nel momento in cui diventa maggioranza non c’è via democratica per impedire di mutare i tratti della nostra comunità. Vi racconto una storia in proposito. Come si sa, gli inglesi nel XIX secolo avevano un vastissimo impero coloniale, siccome in alcune zone c’era bisogno di manodopera, mentre in altre era sovrabbondante, gli inglesi spostavano migliaia di persone da una parte all’altra del globo. In particolare di solito prendevano lavoratori in India, dove le persone non mancano, e li spostavano in America, in Africa ed in Oceania. Molti furono mandati ad esempio nelle isole Fiji, nell’Oceano Pacifico. Poi l’Impero finì ed i vari territori proseguirono la loro vita, la comunità indiana delle Fiji crebbe, anche in virtù del proprio maggiore tasso di natalità e dopo pochi decenni gli Indiani divennero la maggioranza della popolazione. Oggi nelle isole Fiji si susseguono i colpi di Stato, i militari composti dagli autoctoni melanesiani prendono il potere per impedire alla maggioranza indiana di esercitare il governo.
Non sto dando un giudizio morale, sto valutando il fatto che parlare di fratellanza è facile e si appare buoni e belli, ma la realtà dal Kosovo, al Kashmir, al Kenya, allo Sri Lanka, alla Palestina e via dicendo, dimostra che la realtà è molto più complicata da ricondurre ai buoni sentimenti enunciati da comodi divani dei salotti televisivi.

Non ho parlato di clandestini, non ho parlato di criminalità, non ho parlato di percentuali di detenuti, perché ho l’impressione che spesso i politici dicendo che vogliono combattere i clandestini evitino di prendere una posizione in merito all’immigrazione regolare. Io parlo genericamente di immigrati: è lecito sapere dai politici che percentuale ritengono adeguata alla nostra società? Il 5%, il 30%, il 51%, oppure è indifferente, chiunque lo desidera può arrivare? Stabilirsi in Italia è un diritto universale?

lunedì 3 marzo 2008

Commento al programma del Popolo della Libertà

Il programma si compone di 7 temi: rilancio dello sviluppo, famiglia, sicurezza e giustizia, servizi ai cittadini, sud, federalismo, finanza pubblica.
Complessivamente è un programma impegnativo, non sempre entra nei dettagli di come conseguire gli obiettivi prefissati, ma certamente delinea una salutare scossa alle disfunzioni italiane.

1- Rilancio sviluppo: le proposte per le imprese sono tutte positive e urgenti. Poco da aggiungere, salvo il fatto che anche l’Ires va ridotta e che per la semplificazione, tra le varie cose, si potrebbe provare ad uniformare i criteri civilistici e quelli fiscali.

Buoni anche altri aspetti legati al rilancio dello sviluppo, coraggiosa ed opportuna la riapertura di un’agenda nucleare che, unico tra i paesi sviluppati, abbiamo messo da parte da troppo tempo. Si parla anche di incentivi per forme alternative di energia, credo che l’incentivo migliore sarebbe quello di azzerare l’accise sull’etanolo prodotto dalla cellulosa (rifiuti, piante adatte a terreni non agricoli ecc). Unico appunto: si parla di liquidazione di società pubbliche “non essenziali”, vorrei un impegno più stringente da parte dei candidati a tagliare gli sprechi, perché fino ad oggi è stato considerato “essenziale” il mantenimento degli enti più assurdi che si possa immaginare.

2- Famiglia: per quanto riguarda la casa mi sembra ottimo lo scambio proposto nel “piano casa” tra terreni e licenze edilizie.

Bonus bebè: misura necessaria, si potrebbe erogare anche con un buono spendibile per determinati prodotti e servizi.

Utilizzo Poste: su questo sono critico, mi sembra un proposito che cela diversi pericoli di sperpero di risorse. Credo che la cosa migliore da fare con le Poste sia liberalizzare il servizio delel lettere(come è stato fatto per i pacchi) e privatizzarle.

Pratiche mediche assimilabili all’eutanasia: un’espressione un po’ ambigua, sono contrario all’eutanasia ma, se non creo pregiudizio a nessuno, credo sia mio diritto decidere se accettare o meno una terapia, anche se la rinuncia può comportare la morte.
Credito d’imposta per la trasformazione dei contratti: lodevole l’intenzione, ma quello che scoraggia l’assunzione a tempo indeterminato è il fatto che è un rapporto di fatto inestinguibile.

3-Giustizia e sicurezza: è necessario che l’inasprimento della pena sia effettivo, pesante e per numero maggiore di reati.

Si dovrebbe uscire in attesa di giudizio solo versando una cauzione: in attesa del giudizio si deve dare la possibilità di uscire dal carcere, ma solo previo versamento di una cauzione proporzionale alla gravità del reato contestato e alle possibilità economiche dell'inquisito. La fuga, l'inquinamento delle prove e l'arresto per un altro reato comportano la perdita definitiva della cauzione. Avremmo le carceri con meno detenuti in attesa di giudizio ed i delinquenti abituali che ripetutamente entrano ed escono dal carcere troveranno poco conveniente il loro comportamento. Dopo l'abbattimento delle aliquote e la semplificazione del sistema tributario anche l'evasione deve diventare penale, rendendo possibile tramite il sistema della cauzione recuperare effettivamente le somme sottratte al fisco, cosa che oggi è praticamente impossibile.

4- I servizi: discutibile la realizzazione di nuove strutture sanitarie, se non si chiudono quelle vecchie che non funzionano.

5- Sud: manca la misura che, con un po’ di fiducia nelle capacità di imprese e sindacati, potrebbe contribuire veramente a rilanciare il Mezzogiorno, cioè l’abolizione del Contratto Collettivo Nazionale, dando la possibilità di promuovere accordi territoriali ed aziendali.


6- Federalismo: quello che serve è far riscuotere un’imposta (meglio l’IRE) alle regioni che ne trattengono il 100% e ne stabiliscono le aliquote, l’imposta serve per pagare determinati servizi (ad esempio scuola e sanità). Lo Stato con le proprie entrate provvede agli altri servizi (sicurezza, giustizia ecc…). Il rischio è invece di dare il contentino alle Regioni concedendogli una potestà legislativa che finirà per sommergerci di migliaia di norme aggiuntive a quelle esistenti.

7- Piano straordinario per la finanza pubblica: sono in ballo cifre colossali, diciamo che passare al privato 150 miliardi di euro sarebbe un risultato ottimo.

Concludendo, il programma non è una rivoluzione liberista ma comunque mi piace, vorrei però un impegno preciso alla diminuzione della spesa corrente, alla sospensione dei sussidi e dei finanziamenti “filantropici” che servono solo a chi li riceve, troppi nostri soldi sono buttati in pozzi senza fondo improduttivi. E’ necessario quanto prima arrivare al pareggio del bilancio, non è più tempo di debiti, ne abbiamo già tanti pregressi da pagare. Purtroppo manca anche l’abolizione delle inutili strutture provinciali, però l’impegno ad abbassare la pressione fiscale al di sotto del 40% è esplicita e se si vuole conseguirla non credo ci siano a alternative a diminuire le spese.

sabato 1 marzo 2008

La miglior intervista della storia del cinema

Per la serie "le migliori scene del cinema" propongo oggi la migliore intervista della storia del cinema, tratta dal film "Invasion USA". Il solito giornalista chiede una dichiarazione al personaggio interpretato da Chuck Norris e lui, invece delle tipiche banali frasi di circostanza, lancia un messaggio preciso, sintetico, chiaro e, oserei dire, serenamente e pacatamente efficace.