Credo la maggioranza degli italiani non si renda conto di
come Confindustria sia complice, assieme ai politici nella creazione, di un
ambiente economico italiano fortemente ostile al lavoro, all’impresa,
all’iniziativa individuale e in definitiva alla creazione di ricchezza.
Di solito si sente dare per scontata l’equazione: privato =
liberista e pubblico = statalista, perché allora Confindustria è così ostile al
libero mercato?
La domanda sorge spontanea soprattutto ascoltando Radio 24,
l’emittente di Confindustria, dove troviamo un’unica trasmissione schierata
apertamente per il libero mercato, quella di Oscar Giannino, dove peraltro
vengono spesso invitati ospiti di ogni orientamento economico e tutte le altre
trasmissioni che, con varie sfumature, portano avanti idee antiliberiste,
stataliste e inflazioniste (queste ultime stampella indispensabile su cui si
reggono le prime due).
In realtà il quesito non è nuovo, già alcuni tra i primi
economisti avanzavano una spiegazione logica: quando uno è piccolo e deve emergere
ha convenienza ad avere la massima libertà di azione e le condizioni più
favorevoli, quando invece uno è grande (o lo è diventato), vuole mantenere la
propria posizione e trae vantaggio dal fatto che vi siano dei paletti o
difficoltà nell’attività di impresa, così non emergeranno concorrenti.
Questo schema spiega solo parzialmente la situazione
italiana. In effetti bisogna dire che il panorama dell’establishment economico
italiano è eccezionalmente stabile nei decenni, nel “salotto buono” ci sono sempre
le stesse facce, le stesse famiglie. Il sistema economico italiano
iperstatalista funziona bene nel mantenimento dello status quo, ma c’è
dell’altro.
I big riescono attraverso sussidi, commesse, concessioni,
appalti, ammortizzatori sociali e soprattutto conoscenze con chi conta ad
appropriarsi di una parte dell’abnorme fiume di denaro che passa nelle mani
dello Stato. Il potere politico in Italia non solo controlla metà di tutta la
ricchezza prodotta, ma decide che cosa si fa, chi lo fa, dispone di miriadi di
poltrone da assegnare, anche in società che formalmente vengono conteggiate
come private, ma in realtà sono controllate dal potere pubblico.
Ma, a mio avviso, il vero fortino che difendono
accanitamente sono le banche. Il sistema bancario italiano, che molti credono
“privato”, è per buona parte posseduto da fondazioni a loro volta controllate
gelosamente dai partiti politici. I grandi industriali italiani devono la loro
ricchezza dal fatto di avere un canale privilegiato di accesso al credito.
Quando si legge che il tal gruppo “investirà 100 milioni di euro”, non sono
soldi suoi, non sono capitali, sono prestiti che qualche banca concederà ed è
ovvio che quando ballano certe cifre il rapporto industriale – politico è
decisivo.
Non c’è quindi da stupirsi se gli industriali propongono
addirittura una patrimoniale pur di salvare lo Stato dal fallimento e il
sistema come lo conosciamo oggi.
Confindustria potrebbe ottenere facilmente meno tasse e
leggi meno punitive per le imprese, basterebbe mettere in busta paga ai loro
dipendenti il lordo dello stipendio, invece di versarlo al fisco e in 3 mesi il
Ministro del Tesoro dovrebbe fare una revisione della spesa vera, non quella
finta che stanno facendo adesso. Ma sarebbe una Rivoluzione! Molto meglio per
loro che tutto cambi affinché tutto resti immutato. Ogni tanto qualcuno becca
un ladro di galline un po’ patetico che con i soldi del partito si fa i
festini, lo gettano in pasto all’opinione pubblica e fanno credere che quelli
sono gli sprechi. Sì quelli sono sprechi, ma sono briciole di un’enorme torta
che i più furbi si mangiano senza farsi beccare, magari senza violare alcuna
legge, ma sicuramente a danno di tutti gli altri.