lunedì 29 settembre 2008

La crisi in Georgia. Cosa fare e cosa ci insegna.

L’intervento armato russo in Georgia ha messo in difficoltà i governi europei, indecisi su come rispondere e diviso le opinioni pubbliche, altrettanto dubbiose su come rapportarsi alla vicenda.
L a politica, in particolare quella internazionale, è fatta di chiaroscuri, quando poi si parla di Caucaso (o di Balcani…) orientarsi tra i torti e le ragioni è difficilissimo. Vediamo di separare un attimo gli elementi per poterli meglio giudicare.
Da un punto di vista giuridico l’Ossezia del Sud fa parte della Georgia e la Russia non aveva alcun titolo per intervenire. La Georgia è un paese più libero e democratico della Russia, aspira all’ingresso nella NATO e nell’UE, quindi non c’è dubbio che vada sostenuto.
Ci sono altri dati di fatto da considerare: dal 1991, cioè da quando l’URSS si è sciolta e la Georgia è indipendente, l’Ossezia del Sud si autogoverna e gli Osseti che vi abitano, cioè la maggioranza assoluta della popolazione, non hanno alcuna intenzione di far parte della Georgia. Tutti sapevano che qualunque tentativo di riprendere il controllo con la forza della provincia ribelle avrebbe provocato l’intervento dei Russi, i quali anzi, hanno provocato le condizioni perché avvenisse.
Altro punto da considerare: in pratica, di realistico, non c’è nulla che possiamo fare per costringere l’esercito russo a sgomberare l’Ossezia.
Quindi intransigenza o realismo? Credo che sia necessaria intransigenza nei rapporti generali con la Russia e che sia inevitabile un po’ di realismo nella questione particolare georgiana.
Con la Russia ci sono molte questioni aperte oltre la questione del Caucaso: l’Ucraina, la Transdnistria, i rapporti con l’Iran, quelli con l’Asia Centrale, gli oleodotti, i gasdotti, il commercio di armi e di tecnologia nucleare. Senza aspettare che scoppi la prossima crisi l’Europa e gli USA devono aprire un tavolo di discussione con Mosca che affronti i in modo globale tutte le questioni aperte. Bisogna capire fin dove vuole arrivare la politica imperiale di Putin, noi dobbiamo mettere i nostri paletti, i Russi metteranno i loro. Io mi auguro che i rapporti si possano normalizzare, che si possa collaborare e che la Russia cessi la propria involuzione autoritaria, ma senza fare chiarezza reciproca tutto questo non è possibile, né verificabile. Si dice che le sfere di influenza non possono tornare, ma forse possono invece tornare utili, a patto che la Nato dica chiaramente per il futuro ciò che è disposta a tollerare e ciò che non verrà tollerato.
Intanto in Georgia, prima di discutere di altro bisogna pensare ai georgiani che abitavano in Ossezia e che sono stati cacciati dalle loro case. Anche l’Ossezia del sud, come l’Abkhazia del resto, non sono omogenee etnicamente, dentro i loro confini ci sono villaggi georgiani e se gli Osseti non vogliono dipendere da Tbilisi, questi Georgiani non vogliono dipendere da Tskhinvali. Vediamo se riusciamo a dare un futuro a queste persone.
Questa potrebbe essere una questione su cui misurare le intenzioni russe. Perché la Russia oggi è una potenza, ma ha gravi debolezze strutturali che in pochi anni ne possono minacciare seriamente la posizione: la crisi demografica, un’economia dipendente totalmente dalle esportazioni di gas e petrolio, un isolamento internazionale imbarazzante… le forze armate hanno peso e numeri, qualche produzione di eccellenza, ma sono ormai un passo indietro rispetto a quelle della NATO.
Medvedev e Putin fanno la faccia cattiva con l’Occidente ma sanno bene che non è dalla NATO che verranno le minacce vere e quindi dubito che pensino di impostare come strategia di lungo termine uno scontro frontale a tutto campo con gli USA.
La vicenda georgiana deve essere l’occasione per una riflessione generale sulla nostra sicurezza e sul mondo in cui viviamo. La democrazia e la libertà sono molto più estese rispetto a vent’anni fa. Dittature chiuse ed ostili, in Europa dell’Est, ma anche in America Latina fanno oggi parte del mondo libero. Però nello stesso tempo i nemici si sono fatti più numerosi e più potenti. Il blocco sovietico aveva un potenziale nucleare immenso, ma era debole economicamente e minato al proprio interno da un diffuso malcontento e comunque la minaccia arrivava da un’unica direzione. Oggi abbiamo dittature che hanno moltissime risorse, nemici fanatici, facciamo un piccolo elenco assolutamente eterogeneo e privo di coerenza interna ma che può dare un quadro della situazione: Cina, Iran, Al Qaeda, Hezbollah, poi c’è l’ambiguo Pakistan, Corea del Nord, il Venezuela, la Somalia, tante forze come ho detto certamente divise e non assimilabili ma che se trovano dei punti di convergenza o degli interessi comuni rappresentano certamente per noi una minaccia cospicua, non dimentichiamoci che fin quando sanno di essere in inferiorità agiscono nell’ombra, ma non appena percepiscono la nostra debolezza non possiamo aspettarci clemenza o senso della misura, oggi Pechino ordina agli europei di non ricevere il Dalai Lama, domani potrebbe imporci di negargli asilo o di tappargli la bocca del tutto. L’Occidente deve darsi una strategia chiara e coerente per garantire la propria libertà ed indipendenza. Questa strategia deve prevedere anche come allargare i propri confini e le proprie alleanze ai popoli che desiderano stare dalla nostra parte.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

freeman sei noioso come al solito....mai un bel articolo sul main coon nano! ti userò come sonnifero...

Freeman ha detto...

lo so, il mio è un blog per pochi intimi insonni e in questo ultimo articolo non ho dato il meglio, adesso preparo quello sul maine coon nano, perchè il mondo deve sapere!!!