lunedì 29 settembre 2008

La crisi in Georgia. Cosa fare e cosa ci insegna.

L’intervento armato russo in Georgia ha messo in difficoltà i governi europei, indecisi su come rispondere e diviso le opinioni pubbliche, altrettanto dubbiose su come rapportarsi alla vicenda.
L a politica, in particolare quella internazionale, è fatta di chiaroscuri, quando poi si parla di Caucaso (o di Balcani…) orientarsi tra i torti e le ragioni è difficilissimo. Vediamo di separare un attimo gli elementi per poterli meglio giudicare.
Da un punto di vista giuridico l’Ossezia del Sud fa parte della Georgia e la Russia non aveva alcun titolo per intervenire. La Georgia è un paese più libero e democratico della Russia, aspira all’ingresso nella NATO e nell’UE, quindi non c’è dubbio che vada sostenuto.
Ci sono altri dati di fatto da considerare: dal 1991, cioè da quando l’URSS si è sciolta e la Georgia è indipendente, l’Ossezia del Sud si autogoverna e gli Osseti che vi abitano, cioè la maggioranza assoluta della popolazione, non hanno alcuna intenzione di far parte della Georgia. Tutti sapevano che qualunque tentativo di riprendere il controllo con la forza della provincia ribelle avrebbe provocato l’intervento dei Russi, i quali anzi, hanno provocato le condizioni perché avvenisse.
Altro punto da considerare: in pratica, di realistico, non c’è nulla che possiamo fare per costringere l’esercito russo a sgomberare l’Ossezia.
Quindi intransigenza o realismo? Credo che sia necessaria intransigenza nei rapporti generali con la Russia e che sia inevitabile un po’ di realismo nella questione particolare georgiana.
Con la Russia ci sono molte questioni aperte oltre la questione del Caucaso: l’Ucraina, la Transdnistria, i rapporti con l’Iran, quelli con l’Asia Centrale, gli oleodotti, i gasdotti, il commercio di armi e di tecnologia nucleare. Senza aspettare che scoppi la prossima crisi l’Europa e gli USA devono aprire un tavolo di discussione con Mosca che affronti i in modo globale tutte le questioni aperte. Bisogna capire fin dove vuole arrivare la politica imperiale di Putin, noi dobbiamo mettere i nostri paletti, i Russi metteranno i loro. Io mi auguro che i rapporti si possano normalizzare, che si possa collaborare e che la Russia cessi la propria involuzione autoritaria, ma senza fare chiarezza reciproca tutto questo non è possibile, né verificabile. Si dice che le sfere di influenza non possono tornare, ma forse possono invece tornare utili, a patto che la Nato dica chiaramente per il futuro ciò che è disposta a tollerare e ciò che non verrà tollerato.
Intanto in Georgia, prima di discutere di altro bisogna pensare ai georgiani che abitavano in Ossezia e che sono stati cacciati dalle loro case. Anche l’Ossezia del sud, come l’Abkhazia del resto, non sono omogenee etnicamente, dentro i loro confini ci sono villaggi georgiani e se gli Osseti non vogliono dipendere da Tbilisi, questi Georgiani non vogliono dipendere da Tskhinvali. Vediamo se riusciamo a dare un futuro a queste persone.
Questa potrebbe essere una questione su cui misurare le intenzioni russe. Perché la Russia oggi è una potenza, ma ha gravi debolezze strutturali che in pochi anni ne possono minacciare seriamente la posizione: la crisi demografica, un’economia dipendente totalmente dalle esportazioni di gas e petrolio, un isolamento internazionale imbarazzante… le forze armate hanno peso e numeri, qualche produzione di eccellenza, ma sono ormai un passo indietro rispetto a quelle della NATO.
Medvedev e Putin fanno la faccia cattiva con l’Occidente ma sanno bene che non è dalla NATO che verranno le minacce vere e quindi dubito che pensino di impostare come strategia di lungo termine uno scontro frontale a tutto campo con gli USA.
La vicenda georgiana deve essere l’occasione per una riflessione generale sulla nostra sicurezza e sul mondo in cui viviamo. La democrazia e la libertà sono molto più estese rispetto a vent’anni fa. Dittature chiuse ed ostili, in Europa dell’Est, ma anche in America Latina fanno oggi parte del mondo libero. Però nello stesso tempo i nemici si sono fatti più numerosi e più potenti. Il blocco sovietico aveva un potenziale nucleare immenso, ma era debole economicamente e minato al proprio interno da un diffuso malcontento e comunque la minaccia arrivava da un’unica direzione. Oggi abbiamo dittature che hanno moltissime risorse, nemici fanatici, facciamo un piccolo elenco assolutamente eterogeneo e privo di coerenza interna ma che può dare un quadro della situazione: Cina, Iran, Al Qaeda, Hezbollah, poi c’è l’ambiguo Pakistan, Corea del Nord, il Venezuela, la Somalia, tante forze come ho detto certamente divise e non assimilabili ma che se trovano dei punti di convergenza o degli interessi comuni rappresentano certamente per noi una minaccia cospicua, non dimentichiamoci che fin quando sanno di essere in inferiorità agiscono nell’ombra, ma non appena percepiscono la nostra debolezza non possiamo aspettarci clemenza o senso della misura, oggi Pechino ordina agli europei di non ricevere il Dalai Lama, domani potrebbe imporci di negargli asilo o di tappargli la bocca del tutto. L’Occidente deve darsi una strategia chiara e coerente per garantire la propria libertà ed indipendenza. Questa strategia deve prevedere anche come allargare i propri confini e le proprie alleanze ai popoli che desiderano stare dalla nostra parte.

lunedì 8 settembre 2008

8 settembre. Una data storica per l'Europa.




L’8 settembre è certamente una data storica per il nostro continente , infatti quel giorno dell’anno 1380, per la prima volta un esercito europeo sconfigge in battaglia i Mongoli e dà inizio alla riconquista dei territori da loro occupati.
I Mongoli unificati da Genghis Khan dopo aver conquistato e sottomesso i regni vicini ed il nord della Cina volsero le proprie mire verso Occidente, il primo scontro con i Russi avvenne nel 1223 e i principi russi sconfitti dovette accettare la supremazia, almeno formale del Khan mongolo. Dopo la morte di Genghis Khan, i territori occidentali vennero assegnati da suo figlio e successore Ogodai a Batu. Quest’ultimo procedette a al consolidamento dei suoi domini e proseguì le invasioni; nel 1240 distrusse Kiev, la capitale del primo Stato Russo, dopodiché divise la sua armata. Quella settentrionale annientò nel 1241 l’esercito di Enrico II di Slesia che comprendeva polacchi, tedeschi e cavalieri Teutonici, nella famosa battaglia di Liegnitz; due giorni dopo l’altra armata sconfisse gli Ungheresi, ponendo fine al loro regno, proseguendo nell’avanzata i Mongoli giunsero sull’Adriatico. A questo punto forse a causa della morte di Ogodei, o per il territorio poco adatto alla loro sterminata cavalleria, ripiegarono verso le posizioni di partenza, i principi russi rimasero comunque vassalli del Khan che fondò il regno dell’Orda d’Oro. Questo regno guidato da un’elite mongola aveva però reclutato nelle proprie armate buona parte delle popolazioni turche e centroasiatiche via via conquistate.
Durante le loro conquiste i Mongoli guadagnarono la fama di guerrieri terribili ed invincibili. Non senza ragione se pensiamo che le prime sconfitte avvennero praticamente ai due estremi del mondo: nel 1260 ad Ayn Jalut, non lontano dalle coste del Mediterraneo, sconfitti dai Mamelucchi e nel 1274, durante la fallita invasione del Giappone. Era dunque passato più di mezzo secolo dalla proclamazione di Temucin a capo di tutti i Mongoli.
La premessa è necessaria per capire che sfidare l’autorità del Khan non era una cosa semplice, chi compì l’impresa fu Demetrio principe di Mosca. Il suo attivismo nell’espandere il principato moscovita lo pose in attrito con Mamai il capo dell’Orda d’Oro. Quest’ultimo non riuscendo a rimettere in riga il proprio vassallo allestì una grande armata e puntò diritto verso il Don. Lo scontro fu deciso l’8 settembre 1380 nella battaglia campale di Kulikovo, nei pressi della confluenza della Nepradva nel Don. I russi misero in rotta il nemico, la liberazione fu però completata solo 100 anni più tardi con Ivan III. Infatti il successore di Mamai cioè Toqtamish, celebre per i suoi scontri con Tamerlano, ristabilì l’autorità dell’Orda d’Oro, ma ormai l’inerzia della Storia era cambiata e l’ondata inziata in Mongolia aveva iniziato il proprio riflusso.

venerdì 5 settembre 2008

"Le radici pagane dell'Europa" di Luciano Pellicani

Partiamo dal difetto principale del libro: non affronta mai il tema richiamato nel titolo, cioè cosa rimane nell’Europa di oggi dell’eredità culturale, delle idee, dei miti, delle istituzioni dell’Europa antica, pagana, greca, romana e ma anche celtica e germanica.
Il libro tratta invece del Cristianesimo e di come alcuni tratti del mondo contemporaneo, in particolare la tolleranza religiosa e la libertà di pensiero, si siano imposti lottando contro il Cristianesimo.

Difficile negare che i vertici della Chiesa, nei secoli, si siano adoperati in ogni modo per conservare ed ampliare il proprio potere temporale, usando la repressione e la persecuzione nei confronti degli eretici, però diciamo che Pellicani estremizza la sua tesi negando al Cristianesimo ogni merito nell’edificazione di quelli che oggi propugniamo come fiori all’occhiello della nostra civiltà: la democrazia ed i diritti umani. I Vangeli del resto non sono un testo organico, bensì un collage di resoconti, parabole, insegnamenti, per cui ognuno, da duemila anni, in buona fede o meno, ne estrapola le parti più utili ai propri scopi. Ai Vangeli facevano riferimento l’Inquisizione e San Francesco, Savonarola e Gregorio Magno, Arnaldo da Brescia, Nestorio, Ario, sant’Agostino e Madre Teresa e si potrebbe continuare all’infinito. E’ vero che la Chiesa di oggi è diversa da quella dell’Ottocento e da quella Medievale perché vi è stata costretta è però vero anche, a mio avviso, che l’Illuminismo stesso riprende temi ben presenti nel Cristianesimo, a partire dalla dignità e centralità dell’uomo.

Il libro è scritto in modo scorrevole e riesce a catturare spesso l’interesse, oltre che per i ragionamenti che propone e che stimolano il lettore, anche per il frequente ricorso a citazioni letterali.

Pellicani attacca anche a fondo la tesi secondo cui la Riforma Protestante abbia favorito lo sviluppo del Capitalismo, forza quest’ultima generatrice di modernità ed avversa alla tutela clericale sulla società. Pellicani dimostra in modo convincente come Lutero, Calvino, metodisti, puritani e via dicendo erano profondamente ostili ad ogni forma di modernità tanto quanto la Chiesa Cattolica, solo che il Papa poteva servirsi delle forze imperiali per soffocare ogni deviazione, mentre le varie chiese protestanti divise tra loro non riuscirono ad imporsi ai detentori del potere politico in Nordeuropa. Inoltre, in molte zone, le varie confessioni erano troppo numerose perché una potesse pensare di imporre la propria ortodossia a tutte le altre, quindi l’accettare che anche gli altri potessero esistere era l’unico modo di convivere.
Non c’è dubbio che un legame tra Rivoluzione Industriale e scristianizzazione dell’Europa ci sia, anche se è difficile da esplicitarne tutti i termini. Sicuramente già in epoca preindustriale la borghesia ogni volta che emergeva come forza sociale iniziava a reclamare il diritto a scegliere politicamente il proprio destino, cercando di sostituirsi all’ordine costituito. Venuta meno la possibilità per le autorità ecclesiastiche di imporre con la forza il credo ed aperta la strada alla libertà di coscienza è chiaro che molti cercano altre strade per rapportarsi con il divino. Questa scristianizzazione però non significa un automatico ritorno al paganesimo, anzi nel mondo odierno ravvisiamo elementi che gli Antichi non esiterebbero a condannare o comunque nuovi rispetto al loro universo culturale. E’ però vero che gli Umanisti, in particolare, si richiamavano all’esperienza dei Greci e dei Romani e sulla base della loro memoria criticavano il Cristianesimo “che pare abbia tenuto il mondo debole, e datolo in preda a uomini scellerati” e “ per avere effeminato il mondo e disarmato il cielo”.

L’autore non entra nel merito circa che cosa intedere in questo caso con il termine Capitalismo, perché in effetti alcune famiglie che avevano messo insieme enormi fortune con la crescita economica rinascimentale erano saldamente legate al potere papale (ad esempio i Medici) e non erano molto interessate a cambiare l’ordine della cose. Probabilmente è più l’insieme degli artigiani e dei commercianti che diedero vita alla rinascita comunale che vollero farsi arbitri del proprio destino, anche quelli che si schierarono dalla parte guelfa formando le celeberrime Leghe, avevano creato un precedente pericoloso per la concezione di potere medievale, compreso il potere temporale del Papa che stavano difendendo. Ecco una descrizione letterale di questo comportamento rivoluzionario degli abitanti dei Comuni: “si tassarono, elessero i loro magistrati, giudicarono, punirono, si riunirono per deliberare sui propri affari; fecero la guerra per proprio conto, contro il loro signore; ebbero nuove milizie. Per dirla in breve si governarono da sé”.

Pellicani riconduce gli aspetti negativi in cui si è storicizzato il Cristianesimo, come l’intolleranza e la teocrazia, alla sua origine giudaica. La religione ebraica risente culturalmente del contesto geografico in cui nasce e si sviluppa, cioè mediorientale e più in generale asiatico, dove assolutismo e dispotismo, sono caratteri culturali con radici molto antiche, sia a livello delle strutture politico-religiose, che in generale sociali, fino a quelle familiari, insomma tutto un ambiente dove rigide gerarchie ed obbedienza senza discussioni sono alla base di tutti i rapporti.
Fin qui mi trovo d’accordo,devo dire però che l’autore attribuisce a Gesù stesso un continuum con la tradizione ebraica che invece non mi sembra corrispondente al dettato evangelico. Sono più incline a considerare corretta l’analisi di Ida Magli che, nel suo libro “Gesù di Nazareth”, sottolinea il carattere di rottura che ha la predicazione di Gesù, rispetto alla legge giudaica.
E comunque l’essere a maggioranza di religione ebraica non ha impedito a Israele di avere una struttura politica e sociale analoga a quella europea. La modernità aveva fatto breccia anche nei ghetti.

La disputa sulle radici dell’Europa va avanti.

sabato 28 giugno 2008

La Battaglia di Antiochia

Per la rubrica accadde oggi: il 28 giugno 1098 l’esercito Crociato si scontrò con i Turchi sotto le mura di Antiochia. Tutte le battaglie portano con loro adrenalina ed emozioni inimmaginabili, la paura, la ferocia e la morte accompagnano chi combatte fin dai momenti che precedono lo scontro.
In questa battaglia però i sentimenti che scuotevano i crociati dovevano essere particolarmente intensi, perché la situazione che si era creata non lasciava loro che due strade: la vittoria o la morte.
La disperazione del momento, i più terreni bisogni fisici di tutti si mescolavano con le profonde convinzioni spirituali di altri e crearono i presupposti della vittoria. Alcuni strateghi pensano che questo tipo di situazione sia da ricercare, perché senza vie di fuga, con le spalle al muro, gli eserciti danno il massimo delle proprie possibilità.
Antiochia era stata presa dai crociati il 3 giugno, stante la debolezza e la disgregazione dei territori Selgiuchidi e l’ostilità che i Fatimidi d’Egitto nutrivano verso questi ultimi, la reazione musulmana prese corpo per l’iniziativa dell’atabeg di Mosul, Kerboga, in quel momento il capo musulmano più potente della zona, nonché il comandante più capace. Kerboga giunse sotto le mura di Antiochia il 7 giugno e la mise sotto assedio per riprenderla.
Il cibo era scarso, il saccheggio ed il massacro seguito alla presa dei crociati aveva esaurito quasi tutte le risorse della città. Rifornirsi era impossibile, l’unico modo per uscirne era rompere l’assedio, anche perché non c’erano aiuti che potessero arrivare in breve tempo, del resto questa Prima Crociata non vedeva due netti fronti contrapposti, il mondo cristiano era diviso, così come quello musulmano, il ruolo dell’Impero Bizantino era ambiguo ed i capi crociati diffidenti e spesso ostili reciprocamente.
La mattina del 28 Boemondo fece uscire l’esercito dalle mura e si schierò davanti al nemico, dividendo gli uomini in sei armate: la prima era formata dai Francesi e dai Fiamminghi, la seconda dai Lotaringi, la terza dai Normanni di Normandia, la quarta dai Provenzali, la quinta e la sesta dai Normanni d’Italia.
I Turchi cercarono di evitare lo scontro frontale e con la classica tattica dei cavalieri delle steppe, con rapide fughe per farsi inseguire e rapidi contrattacchi, cercavano di dividere i nemici. Il fronte crociato rimase però compatto, evitò l’accerchiamento e riuscì a caricare abbastanza velocemente da arrivare al contatto. A disgregarsi fu l’armata turca, alcuni alleati di Kerboga defezionarono, molti dei suoi uomini perirono, alla sera l’esercito assediante non c’era più. La Crociata continuava.

giovedì 27 marzo 2008

Perchè sì al partito unitario (e come dovrebbe essere)

Una piccola premessa è necessaria: nonostante l’abbondante offerta di partiti che si sono succeduti sulla scena politica italiana in questi anni, non c’è mai stato un partito che rappresentasse pienamente le mie opinioni. Io credo in un’economia libera e questo già restringe drammaticamente il campo, vista l’atavica diffidenza dei politici italiani per il libero scambio, la concorrenza e la libertà di impresa. Nello stesso tempo auspico una giustizia severa ed intransigente perché credo che la difesa dei propri cittadini sia il compito fondamentale dello Stato. Credo che la disciplina di bilancio sia la tutela migliore per il benessere comune, ma normalmente i parlamentari sono propensi ad andare in direzione opposta al pareggio di bilancio ed alla riduzione dell’apparato statale. Potrei continuare con la mia avversione verso ogni arrendevolezza nei confronti della droga. Sono contrario alle attuali istituzioni europee, ma favorevole allo spirito europeista e all’euro (nonostante gli effetti disastrosi nei primi anni dell’introduzione), credo che sia compito fondamentale dei nostri rappresentanti all’interno delle istituzioni difendere la nostra identità culturale e così via, ma insomma il concetto è che un partito che mi rappresenta non c’è. Per questo motivo un partito unitario all’interno del quale si possono manifestare le varie tendenze che ho espresso mi faciliterebbe molto la scelta. Naturalmente per rendere operativa una reale possibilità di scelta bisognerebbe che all’interno del partito fosse possibile poter sostenere il candidato che più si avvicina all’insieme delle proprie convinzioni. La semplificazione del quadro politico odierno restringe il campo del centrodestra a PDL, la Lega e la Destra. Anche così resta il fatto che ho buone ragioni per votare e per non votare ciascuno di questi. Di tutti certamente il PDL sembra poter diventare il contenitore adatto a raccogliere le istanze di una larga maggioranza, ma è quello che aspettavo? Diciamo che è un passo avanti, ma dipenderà molto dal tipo di organizzazione che deciderà di darsi. Costruire un nuovo partito potrebbe essere l’occasione per riscrivere le regole e creare quindi un movimento veramente aperto alla partecipazione dei cittadini; a dire il vero se guardiamo alla realtà è difficile immaginare un’evoluzione in questo senso: oggi i partiti politici, compresi quelli che hanno dato vita al PDL sono organizzazioni in cui tutto il potere decisionale è concentrato al vertice e l’influenza della base è praticamente nulla. Come si potrebbe organizzare un partito unitario siffatto? Secondo me dovrebbe far scegliere ai propri sostenitori (con o senza tessera) i candidati alle posizioni più importanti: sindaco, governatore di regione, presidente del consiglio. La base degli iscritti del Partito dovrebbe poter scegliere i vertici dell’organizzazione, si dovrebbe prevedere anche alcune rappresentanze a rotazione. Il partito dovrebbe avere come compito fondamentale quello di gestire il momento elettorale e quello di organizzare il rapporto con i rappresentanti eletti nei vari organi locali e nazionali. Il partito dovrebbe evitare l’omologazione e l’appiattimento delle idee, dovrebbe invece essere aperto al dialogo con tutte le forme associative nelle quali i cittadini possono esprimere la propria partecipazione politica, penso ad Azione Giovani, ai Circoli della Libertà, alle fondazioni, agli istituti di studio; un po’ come avviene negli USA, dove guardano al Partito Repubblicano i movimenti anti tasse, quelli a favore del possesso di armi, gli antiabortisti, il movimento conservatore, cioè sia associazioni che si concentrano su un unico tema particolare o territoriale, sia quelle che esprimono un ventaglio completo di valori ed opinioni; dal dialogo, dallo scambio di idee e dai dibattiti, i vari candidati propongono poi una sintesi di azione politica.
Insomma… tutto l’opposto di quello che avviene da queste parti.

martedì 25 marzo 2008

Passeggiata sul Monte San Giacomo






nell'ordine: Lavagna, Chiavari e sullo sfondo Portofino; il mio cane; la penisola di Sestri Levante; la Val Fontanabuona; la foce dell'Entella.

mercoledì 19 marzo 2008

Iraq, perchè la guerra non andava fatta

20 marzo 2003 cominciava la seconda guerra in Iraq, 5 anni in cui gli USA hanno visto rapidamente mutare davanti a sé il nemico: prima l’esercito di Saddam, poi la guerriglia dei nostalgici, di Al-qaeda e quella delle milizie sciite.

A mio avviso c’erano 3 buone ragioni per non iniziare quella guerra:

- La prima è che strategicamente conviene concentrare le forze: la guerra in Afghanistan non era (e non è) finita, ai Talebani si oppongono sparute forze Nato. Metà del contingente iracheno significherebbe un incremento tale delle forze in campo in Afghanistan da rendere possibile il controllo del territorio, in un paese che mal si presta ad essere occupato. Gli USA hanno uno strapotere di fuoco tale da poter annientare numerosi nemici contemporaneamente, ma se il progetto è sostituire i regimi che proteggono i terroristi con Governi non ostili, allora ci vogliono soldati, tanti soldati e tanta pazienza e non conviene cominciare un lavoro senza averne finito un altro.

- La seconda ragione è che non c’era un progetto definito sulla linea da seguire dopo la vittoria militare. L’unico progetto dichiarato è la creazione della prima democrazia del mondo arabo. Progetto ambizioso e comunque, di fatto, il più lungo da realizzare, soprattutto mantenendone l’unità territoriale; anche perché il primo requisito per una democrazia è che i suoi cittadini la vogliano e le guerre civili incrociate viste in Iraq gettano qualche dubbio in proposito.

- Terzo motivo: era chiaro a tutti che le tensioni tra Curdi; Sunniti e Sciiti potevano sfociare in un disgregamento della convivenza; è stato facile per i vicini, Siria e Iran, che si sono sentiti minacciati, fomentare le divisioni e destabilizzare il paese, allontanando da sé il pericolo di un intervento americano.

C’è poi il problema dei costi che va sempre tenuto presente ogni volta che si spende, in questo caso c’è da chiedersi: le stesse cifre potevano accrescere maggiormente la sicurezza nazionale impiegate in modo diverso?

Il Governo Americano, reagendo agli attacchi dell’11 settembre, disse che non avrebbe tollerato che degli Stati potessero dare asilo, finanziare, addestrare, proteggere gruppi terroristici e che la creazione di paesi democratici in Medio Oriente sarebbe stato l’unico antidoto all’estremismo islamico, il ragionamento è sensato e da appoggiare. Indubbiamente l’Iraq era uno Stato ostile, uno Stato che aveva risorse economiche e tecniche per essere molto pericoloso. Saddam aveva sviluppato ed usato armi di distruzione di massa contro gli stessi propri cittadini e nella nuova dimensione assunta dalla sfida di Al-qaeda all’Occidente c’era il rischio che trovasse una convergenza, anche temporanea con il terrorismo binladista, cedendo armi chimiche a coloro che non avrebbero problemi ad usarle nelle nostre città. Una volta iniziata la guerra il nemico ha dimostrato di essersi preparato per tempo predisponendo una strategia di logoramento simile a quella che incontrarono gli israeliani durante l’occupazione del Libano. Si è quindi palesato il rischio che il disfattismo avesse la meglio e che si giungesse, come in Vietnam, a perdere la guerra senza aver perso una battaglia.
Bisogna dire che se la strategia dei baathisti fatta di ordigni sul ciglio della strada poteva essere prevista, meno prevedibile la valanga di kamikaze che gli estremisti islamici hanno messo in campo, quasi sempre con bersaglio i civili iracheni.

Se la pistola fumante delle armi di distruzione di massa non è stata trovata (come era ovvio), l’Iraq ha dimostrato però che la “guerra al terrorismo” non è un’invenzione. Quasi ogni giorno, per mesi ed anni, i terroristi sono riusciti a mettere in campo almeno “un martire” pronto a portare morte ed accendere lo scontro.

Tenerli impegnati in Iraq li ha alleggerito il pericolo di attentati in Occidente?
Probabilmente sì, peraltro l’Europa è molto più esposta degli USA al rischio di essere infiltrata dai terroristi, eppure sembra riluttante a perseguire la strategia di tenere i fanatici concentrati su obiettivi al di fuori dei nostri confini.

Oggi sembra che il risultato di stabilizzare l’Iraq sia a portata di mano, la strategia promossa dal generale Petraeus sta avendo successo, la questione decisiva è capire quando il paese potrà mantenere una normalizzazione accettabile con le sole proprie forze. Le operazioni contro formazioni di insorti richiedono tempi molto lunghi, pensiamo ad esempio all’esercito britannico che ha operato in Irlanda del Nord per 38 anni prima di ritirarsi lo scorso anno.
Forse la guerra non andava iniziata, ma è necessario portarla a compimento con determinazione perché il nemico di oggi è altrettanto pericoloso del regime abbattuto e non è possibile ritirarsi lasciandogli campo libero.

sabato 15 marzo 2008

La seconda migliore intervista della storia del cinema

Pensandoci bene la seconda migliore intervista che ho mai sentito in un film è quella di "Bull Harley" in Over the Top, che potete rivedere alla fine del breve filmato.

venerdì 14 marzo 2008

Un pò di libri

Di seguito qualche consiglio per la lettura, con relativa votazione. In questo elenco ci sono diversi 5 stelle.

Giuseppe Antonelli - Storia di Roma antica *****

Giuseppe Antonelli - Catilina ****

John Micklethwait, Adrian Wooldridge - La destra giusta *****

Cyril Mango -La civiltà bizantina **

Paolo Alatri - Mussolini ***

Mino Monicelli -La Repubblica di Salò **

Bluche, Rials, Tulard - La Rivoluzione Francese ***

Sun-Tzu - L'arte della guerra *****

Plutarco - Come trarre vantaggio dai nemici ***

Plutarco - Le virtù degli animali ***

Federico Rampini - L'impero di Cindia ****

Giovanni Pettinato - Ebla ***

Max Gallo - Napoleone ****

Ferdianando Romano - La religione di Zarathustra ***

Alessandra Consolaro - I Veda. Introduzione ai testi sacri indiani **

Robert Stewart - I miti della creazione **

Anns Saudin, Costanzo Allione - Lo sciamanesimo siberiano ***

Cecil Woodham Smith - Balaclava. La carica dei 600 **

Silvio Bertoldi - Il re che tentò di fare l'Italia. Vita di Carlo Alberto di Savoia **

Pietro Citati - La luce della notte **

domenica 9 marzo 2008

Chi spinge a favore dell'immigrazione

Parlando dell’immigrazione è difficile trovare qualcuno che non sia preoccupato del fenomeno e che non ritenga problematico l’arrivo di milioni di immigrati nel nostro territorio. Mi sono chiesto perché, se l’opinione pubblica ha questo orientamento poi non cambia mai nulla e sono giunto alla conclusione che a molti l’immigrazione conviene e questa convenienza di una minoranza riesce a piegare la volontà della maggioranza.
I gruppi che accuso di collusione con coloro che sostengono scientemente l’immigrazione sono in primis gli imprenditori, che possono pagare stipendi più bassi rispetto ad un lavoratore italiano, poi l’immigrazione conviene ai sindacati che possono rimpolpare le proprie fila con forze fresche, conviene a quelli che affittano tuguri impresentabili, conviene forse anche alla Chiesa che ha lo stesso problema dei sindacati e naturalmente i partiti di sinistra che hanno visto inesorabilmente erodere il proprio consenso negli ultimi 30 anni. Con il tacito assenso e talvolta il consenso attivo di queste organizzazioni quindi, la propaganda di chi propugna la fine dei popoli europei può dispiegare tutti i suoi argomenti per cercare di convincere che dell’immigrazione non possiamo farne a meno. Peccato che nessuno di questi argomenti abbia un fondamento, vediamo i principali:

1- Anche noi eravamo migranti: è vero e ad un certo punto infatti i paesi di arrivo hanno posto dei limiti agli ingressi. In ogni caso il fatto di essere stati migranti ci impone moralmente di avere una sensibilità particolare verso coloro che arrivano, ma non di accettare un numero illimitato di persone. E comunque l’arrivo di nuovi immigrati peggiora la condizione degli stranieri che già risiedono in Italia, quindi se l’obiettivo è dare condizioni accettabili, l’obiettivo può essere perseguito solo a patto di fermare nuovi ingressi

2- Gli Italiani non vogliono fare certi lavori: questo argomento è falso, gli Italiani non fanno certi lavori a certe paghe perché non potrebbero mantenersi. Pagando adeguatamente, gli Italiani fanno qualunque lavoro ed in ogni caso anche accettando l’argomento dobbiamo chiederci di quanti immigrati avremmo bisogno. Mettiamoci d’accordo: quando i capitali investono all’estero si dice che si toglie lavoro agli Italiani, se restano pare che non ci siano Italiani disposti a lavorare….
I numeri dicono che il tasso di occupazione in Italia è più basso della media europea, cioè gli Italiani che lavorano sono pochi, l’idea di far venire altra gente a lavorare al nostro posto è meschina oltre che assurda. E’ solo l’ultima furbata autolesionista all’italiana. L’Italia esporta cervelli ed importa braccia, siamo sicuri che questo sia un modello di sviluppo giusto per il nostro futuro? Far affluire manodopera non specializzata ha l’effetto di impoverire i nostri lavoratori, che hanno più concorrenza sul posto di lavoro e vedono aumentare i disagi abitativi nei quartieri popolari e questa è la ragione che ha comportato al nord uno spostamento di voti operai dalla sinistra alla Lega.

3- Alcuni sono ben integrati: è certamente vero, anch’io ne conosco personalmente. Lavorano, rispettano la legge, si trovano bene. Ma non si può contrapporre ad un problema generale il caso del singolo, io pongo una questione di numeri, il fatto che ci siano migliaia di immigrati ben integrati non significa che possano automaticamente arrivarne altri milioni e trovarsi altrettanto bene.

4- L’immigrazione è un pedaggio che dobbiamo pagare per le colpe del passato (colonialismo) e per il fatto che l’Europa è ricca ed il resto del mondo è povero: pensare di rendere migliore la situazione africana favorendo l’immigrazione in Europa è grottesco, innanzitutto per i numeri coinvolti, l’Europa è piccola e i poveri sono miliardi, inoltre dai paesi d’origine emigrano i giovani in età da lavoro, cioè gli unici che potrebbero creare ricchezza a casa loro, infine perché fino a quando non ci saranno le condizioni economiche, culturali e politiche l’Africa non si svilupperà mai e le rimesse degli emigranti serviranno solo a stimolare ulteriormente la crescita della popolazione ed a pagare altri viaggi verso casa nostra.

5- La contrarietà all’immigrazione maschera il razzismo: rimasti a corto di argomenti i sostenitori della nuova Europa multirazziale ricorrono all’ultima risorsa disponibile: accusare chi la pensa diversamente di razzismo. Per quanto mi riguarda si tratta di un’accusa assurda: io non sostengo che un popolo sia superiore all’altro, semplicemente affermo che i popoli esistono, esistono le culture, le tradizioni e non sempre sono sovrapponibili come se niente fosse. Io esigo che qualunque straniero che arriva in Italia riceva il massimo del rispetto, che sia tutelato come persona, che abbia la possibilità di vivere dignitosamente. Esigo anche, però, che accetti le nostre leggi e le nostre abitudini, arrivare da noi è una sua scelta e non può pretendere di imporre comportamenti per noi non accettabili. Ciò che la nostra distratta ed assuefatta società non vuole affrontare è il fatto che quest’ultima affermazione vale solo fino a quando lo straniero è una minoranza, nel momento in cui diventa maggioranza non c’è via democratica per impedire di mutare i tratti della nostra comunità. Vi racconto una storia in proposito. Come si sa, gli inglesi nel XIX secolo avevano un vastissimo impero coloniale, siccome in alcune zone c’era bisogno di manodopera, mentre in altre era sovrabbondante, gli inglesi spostavano migliaia di persone da una parte all’altra del globo. In particolare di solito prendevano lavoratori in India, dove le persone non mancano, e li spostavano in America, in Africa ed in Oceania. Molti furono mandati ad esempio nelle isole Fiji, nell’Oceano Pacifico. Poi l’Impero finì ed i vari territori proseguirono la loro vita, la comunità indiana delle Fiji crebbe, anche in virtù del proprio maggiore tasso di natalità e dopo pochi decenni gli Indiani divennero la maggioranza della popolazione. Oggi nelle isole Fiji si susseguono i colpi di Stato, i militari composti dagli autoctoni melanesiani prendono il potere per impedire alla maggioranza indiana di esercitare il governo.
Non sto dando un giudizio morale, sto valutando il fatto che parlare di fratellanza è facile e si appare buoni e belli, ma la realtà dal Kosovo, al Kashmir, al Kenya, allo Sri Lanka, alla Palestina e via dicendo, dimostra che la realtà è molto più complicata da ricondurre ai buoni sentimenti enunciati da comodi divani dei salotti televisivi.

Non ho parlato di clandestini, non ho parlato di criminalità, non ho parlato di percentuali di detenuti, perché ho l’impressione che spesso i politici dicendo che vogliono combattere i clandestini evitino di prendere una posizione in merito all’immigrazione regolare. Io parlo genericamente di immigrati: è lecito sapere dai politici che percentuale ritengono adeguata alla nostra società? Il 5%, il 30%, il 51%, oppure è indifferente, chiunque lo desidera può arrivare? Stabilirsi in Italia è un diritto universale?

lunedì 3 marzo 2008

Commento al programma del Popolo della Libertà

Il programma si compone di 7 temi: rilancio dello sviluppo, famiglia, sicurezza e giustizia, servizi ai cittadini, sud, federalismo, finanza pubblica.
Complessivamente è un programma impegnativo, non sempre entra nei dettagli di come conseguire gli obiettivi prefissati, ma certamente delinea una salutare scossa alle disfunzioni italiane.

1- Rilancio sviluppo: le proposte per le imprese sono tutte positive e urgenti. Poco da aggiungere, salvo il fatto che anche l’Ires va ridotta e che per la semplificazione, tra le varie cose, si potrebbe provare ad uniformare i criteri civilistici e quelli fiscali.

Buoni anche altri aspetti legati al rilancio dello sviluppo, coraggiosa ed opportuna la riapertura di un’agenda nucleare che, unico tra i paesi sviluppati, abbiamo messo da parte da troppo tempo. Si parla anche di incentivi per forme alternative di energia, credo che l’incentivo migliore sarebbe quello di azzerare l’accise sull’etanolo prodotto dalla cellulosa (rifiuti, piante adatte a terreni non agricoli ecc). Unico appunto: si parla di liquidazione di società pubbliche “non essenziali”, vorrei un impegno più stringente da parte dei candidati a tagliare gli sprechi, perché fino ad oggi è stato considerato “essenziale” il mantenimento degli enti più assurdi che si possa immaginare.

2- Famiglia: per quanto riguarda la casa mi sembra ottimo lo scambio proposto nel “piano casa” tra terreni e licenze edilizie.

Bonus bebè: misura necessaria, si potrebbe erogare anche con un buono spendibile per determinati prodotti e servizi.

Utilizzo Poste: su questo sono critico, mi sembra un proposito che cela diversi pericoli di sperpero di risorse. Credo che la cosa migliore da fare con le Poste sia liberalizzare il servizio delel lettere(come è stato fatto per i pacchi) e privatizzarle.

Pratiche mediche assimilabili all’eutanasia: un’espressione un po’ ambigua, sono contrario all’eutanasia ma, se non creo pregiudizio a nessuno, credo sia mio diritto decidere se accettare o meno una terapia, anche se la rinuncia può comportare la morte.
Credito d’imposta per la trasformazione dei contratti: lodevole l’intenzione, ma quello che scoraggia l’assunzione a tempo indeterminato è il fatto che è un rapporto di fatto inestinguibile.

3-Giustizia e sicurezza: è necessario che l’inasprimento della pena sia effettivo, pesante e per numero maggiore di reati.

Si dovrebbe uscire in attesa di giudizio solo versando una cauzione: in attesa del giudizio si deve dare la possibilità di uscire dal carcere, ma solo previo versamento di una cauzione proporzionale alla gravità del reato contestato e alle possibilità economiche dell'inquisito. La fuga, l'inquinamento delle prove e l'arresto per un altro reato comportano la perdita definitiva della cauzione. Avremmo le carceri con meno detenuti in attesa di giudizio ed i delinquenti abituali che ripetutamente entrano ed escono dal carcere troveranno poco conveniente il loro comportamento. Dopo l'abbattimento delle aliquote e la semplificazione del sistema tributario anche l'evasione deve diventare penale, rendendo possibile tramite il sistema della cauzione recuperare effettivamente le somme sottratte al fisco, cosa che oggi è praticamente impossibile.

4- I servizi: discutibile la realizzazione di nuove strutture sanitarie, se non si chiudono quelle vecchie che non funzionano.

5- Sud: manca la misura che, con un po’ di fiducia nelle capacità di imprese e sindacati, potrebbe contribuire veramente a rilanciare il Mezzogiorno, cioè l’abolizione del Contratto Collettivo Nazionale, dando la possibilità di promuovere accordi territoriali ed aziendali.


6- Federalismo: quello che serve è far riscuotere un’imposta (meglio l’IRE) alle regioni che ne trattengono il 100% e ne stabiliscono le aliquote, l’imposta serve per pagare determinati servizi (ad esempio scuola e sanità). Lo Stato con le proprie entrate provvede agli altri servizi (sicurezza, giustizia ecc…). Il rischio è invece di dare il contentino alle Regioni concedendogli una potestà legislativa che finirà per sommergerci di migliaia di norme aggiuntive a quelle esistenti.

7- Piano straordinario per la finanza pubblica: sono in ballo cifre colossali, diciamo che passare al privato 150 miliardi di euro sarebbe un risultato ottimo.

Concludendo, il programma non è una rivoluzione liberista ma comunque mi piace, vorrei però un impegno preciso alla diminuzione della spesa corrente, alla sospensione dei sussidi e dei finanziamenti “filantropici” che servono solo a chi li riceve, troppi nostri soldi sono buttati in pozzi senza fondo improduttivi. E’ necessario quanto prima arrivare al pareggio del bilancio, non è più tempo di debiti, ne abbiamo già tanti pregressi da pagare. Purtroppo manca anche l’abolizione delle inutili strutture provinciali, però l’impegno ad abbassare la pressione fiscale al di sotto del 40% è esplicita e se si vuole conseguirla non credo ci siano a alternative a diminuire le spese.

sabato 1 marzo 2008

La miglior intervista della storia del cinema

Per la serie "le migliori scene del cinema" propongo oggi la migliore intervista della storia del cinema, tratta dal film "Invasion USA". Il solito giornalista chiede una dichiarazione al personaggio interpretato da Chuck Norris e lui, invece delle tipiche banali frasi di circostanza, lancia un messaggio preciso, sintetico, chiaro e, oserei dire, serenamente e pacatamente efficace.

giovedì 28 febbraio 2008

Con Veltroni nè ingenui, nè prevenuti

Da quando ha assunto la carica di segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni ha lanciato messaggi di pace verso il centrodestra. Berlusconi non è più il demonio e tra i due partiti maggiori ci devono essere normali rapporti istituzionali, si combatte sulle idee e sui progetti ma si riconosce la legittimità dell’avversario ad esprimere le proprie posizioni.
E’ tutto oro quel che luccica?
Io credo che non si debba eccedere né in ingenuità, ma neanche in cinismo. Mi spiego: sarebbe da ingenui credere che uno furbo come Veltroni non agisca in base a calcoli opportunistici. Veltroni non ha esitato a prendere le distante dal governo Prodi perché ritiene che questo possa servirgli a recuperare voti; ha detto di non essere mai stato comunista pur essendo stato lungamente iscritto al Partito Comunista, quindi figuriamoci se non è in grado di cambiare atteggiamento nei confronti del PDL se la cosa gli tornasse utile.
Detto questo, però, non bisogna mai disdegnare le azioni che vanno nella giusta direzione.
Abbiamo vissuto in un paese dove la violenza politica della sinistra è stata lungamente praticata, giustificata e talvolta esaltata. Ancora oggi qualcuno cerca di impedire con la forza e le minacce a Giampaolo Pansa di parlare, quindi ben venga il nuovo atteggiamento del PD, perché l’odio ed il disprezzo fratricida ha fatto già troppi danni nel nostro paese.
Certo l’impressione è che gli ex-comunisti stiano cercando di inseguire il paese che va a destra piuttosto che esprimere opinioni autentiche e sincere; anche perché tutti i cambiamenti fatti non sono mai preceduti da una seria autocritica. Oggi hanno l’audacia di posizioni liberalsocialiste, eppure fino al 1991 si richiamavano ancora al marxismo, certo apparentemente il paese è cambiato, immaginatevi un partito che venti anni fa proponesse le cose che va propagandando oggi Veltroni, per non parlare di Ichino, Letta o Nicola Rossi. Persino la vecchia DC appare più a sinistra del PD di oggi.
Il paradosso dell’Italia è che tutti i partiti tendono ad appropriarsi delle idee più popolari, ma poi questo non si traduce mai in qualche cambiamento, quasi tutti sono federalisti, chiedono un rafforzamento dell’Esecutivo, tutti vogliono abbassare le tasse, punire i fannulloni, tagliare gli sprechi, persino castrare i pedofili, però, fino ad oggi, non si è visto nulla; per il futuro chissà.
Qualcuno sospetta che il momentaneo fair play sia il tentativo di preparare il terreno ad una grosse coalition all’italiana, altresì detta inciucio. Io credo che le cose non stiano esattamente così, penso che Berlusconi abbia deciso una cosa molto semplice: o disporrà di una solida maggioranza, oppure non si avventurerà, come ha fatto Prodi, a governare con un senatore in più. Se al Senato uscirà un pareggio assisteremo quindi ad un accordo per governare insieme. Qualcuno pensa che sia più facile fare riforme impegnative se sono condivise da ampie maggioranze. Io ne dubito, un accordo del genere sarebbe un ripiego ed un paese così difficile da riformare come l’Italia non credo possa trarre giovamento da tale soluzione, però nelle aule parlamentari i numeri dettano legge e sarà una soluzione semplicemente inevitabile, se il centrodestra non ribalta, rispetto al 2006 almeno un paio di regioni. Le grandi riforme negli USA, in Gran Bretagna, in Spagna, non sono derivate da un compromesso, ma dall’azione decisa di alcuni leader, Reagan, la Thatcher, Aznar. Dopo di loro sono venuti governi di sinistra che si sono trovati il lavoro fatto e si sono ben guardati dal tornare indietro. Dopo 14 anni di tentativi, di alti e bassi, di successi ed errori, adesso per Berlusconi è l’ultima occasione per ripercorrere la strada di quei modelli ai quali ha sempre detto di ispirarsi e per farlo ha scelto il tutto per tutto, o gli italiani decidono di dargli una maggioranza ampia, chiara e coesa oppure, parole sue, se la saranno cercata.

venerdì 22 febbraio 2008

La promessa di controllare i prezzi

Ci sono cose che i politici non possono dire, perché sono complicate da spiegare, perché la gente reagisce d’istinto e perché forse non le sanno neanche loro.

Parliamo dei prezzi: tutti ci lamentiamo, giustamente, dei rincari del latte, della benzina, delle case e via dicendo. La cosa che un politico non può dire è che i prezzi non si possono controllare. Cioè non è che non si può per ragioni ideologiche, non si può perché è proprio impossibile. O perlomeno se fissiamo per legge un prezzo perdiamo il controllo di qualche altra variabile. Una notizia recente ci fornisce la conferma che questo non è solo un ragionamento astratto, ma che anche nella realtà nessuno ci è mai riuscito: l’inflazione in Cina ha superato il 7%. E pure le autorità cinesi considerano il controllo dei prezzi come una priorità e sappiamo bene che la severità nel far rispettare le leggi che c’è in Cina è difficilmente eguagliabile. Però in economia una regole è insuperabile: non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. I cinesi vogliono crescere al 10% l’anno, stimolano le esportazioni tenendo artificialmente basso il tasso di cambio, quindi è inevitabile che generino inflazione, cioè fino a quando l’aumento di produttività dei lavoratori che passano dalle campagne all’industria lo consente, l’inflazione è rimandata, ma poi arriva, io proverei a lasciare che la valuta sia negoziata liberamente, però non è affar mio.

Tornando in Italia mi sono fatto questo ragionamento: prendiamo un prodotto a caso, il vino. Fissiamo per legge che l’Amarone della Valpolicella debba essere venduto a 2 euro il litro. Grande consenso a questa meritoria legge, ma poi? Intanto, i primi giorni l’Amarone tenderà a sparire dagli scaffali, sì, perché i consumatori ne compreranno a man bassa, poi qualcuno che arriva sempre tardi al negozio e non ne trova mai andrà direttamente dal produttore e gli offrirà 3 euro, poi qualcuno con un po’ di soldi da parte andrà dal produttore e ne comprerà tutta la scorta per 3,5 euro (mercato nero) e lo rivenderà fuori dal circuito ufficiale. Supponiamo però che lo Stato imponga la legge con il pugno di ferro e metta a morte questi speculatori, ok il prezzo torna al livello fissato per legge, ma per quanto? Per un anno poi il produttore non potrà più produrre l’Amarone con le stesse procedure e dovrà (o preferirà per guadagnare di più) fornire un prodotto più scadente, oppure fallire e chiudere, insomma alla fine il risultato è che il prodotto sparisce. Questo è un esempio di fantasia, magari opinabile, ma è esattamente quello che succedeva nelle economie sovietiche: i prezzi erano fissati per legge, ma gli scaffali erano vuoti.

Allora non si può fare nulla? Si può fare moltissimo, ma più che sui prezzi sul potere d’acquisto. Non dimentichiamoci che anche dove si muore di fame, di solito non manca il cibo, mancano i soldi per comprarlo.
Quello che spendiamo è quello che produciamo, più produciamo, più possiamo spendere. Dobbiamo premiare il lavoro, favorire le imprese che fanno profitti ed investono e chiudere quelle che non stanno in piedi, dobbiamo pagare chi lavora e non i fannulloni, dobbiamo favorire chi assume, non penalizzarlo.
C’è poi il capitolo concorrenza: la possibilità di scegliere è la migliore garanzia per il consumatore.
E poi c’è l’informazione: su questo la pubblica autorità può prendere delle iniziative, perché magari un’alternativa conveniente esiste, ma il consumatore non lo sa. L’uso di internet diventa anno dopo anno di massa, può darsi che tra qualche anno vi siano dei portali territoriale dove i negozi potranno esibire online i propri listini e le proprie offerte, chissà…

E per finire c’è lo Zimbawe e la teoria quantitativa della moneta, ma a quello ci devono pensare Mugabe e la BCE.

domenica 17 febbraio 2008

La Dichiarazione D'Indipendenza del Movimento Conservatore

Il Conservative Political Action Conference è il più importante appuntamento annuale della destra americana. Il 9 febbraio è intervenuto Newt Gingrich con un discorso del quale riporto i passaggi a mio avviso più significativi. Gingrich lancia una Dichiarazione di Indipendenza del Movimento Conservatore, non per uscire dal Partito Repubblicano, ma per avere un proprio piano di programma e di azione, per essere coerenti con i propri principi anche quando si passa dalla protesta alla responsabilità di governo, per rimarcare l’indipendenza rispetto alla Presidenza, alle istituzioni di Washington, alle varie elite.
Nello stesso tempo non evita il confronto con la più stretta attualità e con cruda praticità afferma che preferisce avere come presidente McCain con il quale combatte il 20% del tempo piuttosto che Clinton o Obama con i quali combatte sul 90% delle questioni. Nel suo discorso peraltro denuncia una situazione pericolosa, perché vede una mobilitazione e una convinzione enorme in campo democratico che non ha riscontro tra i repubblicani.
La sua strategia è quella di sempre, puntare su quei temi di destra che sono condivisi da una larghissima maggioranza degli americani, il ragionamento è questo: noi cerchiamo il 51% dei consensi, ma alcune nostre proposte hanno il favore di oltre il 70% e quindi su queste bisogna puntare. Per il resto le sue battaglie sono rivolte a fenomeni che ben conosciamo in Italia: sprechi, burocrazie inutili, tasse, egemonia culturale della sinistra, solo che da noi sono amplificati per 100, cioè sentito dall’Italia, fa un po’ l’effetto che faccio io, quando mi lamento del freddo con i miei amici di Torino e mi chiedono quanti gradi ci sono? Io dico 9/10 e loro: qui siamo a -1….

Newt Gingrich:
Thank you all for that remarkable welcome. I’m deeply, deeply grateful, and Callista and I are delighted to be back here once again at the most important single meeting of the conservative movement in a historic time.
Many of you know that my background includes being a teacher, and I am going to try in the next few minutes to offer a little bit of a lesson. My Dad was a career soldier, served 27 years in the infantry, and when I was very young, he convinced me that leadership and courage and a willingness to think deeply are vital to the survival of a free country.
Between my freshman and sophomore years in high school, when we were stationed first in Orleans, France, and then in Stuttgart, Germany, I concluded that what we are doing here today is really, really important. It’s part of the dialogue by which a free people govern themselves. My dad was reassigned to Fort Benning, Georgia, and in 1960, I was a volunteer as a high school student in the Nixon-Lodge campaign. So I want to talk to you this afternoon from having spent what will be this August, fifty years studying and thinking about what it takes for America to survive. In many ways, they’ve been remarkable years. The Georgia I arrived at in 1960, was legally segregated and a one-party Democratic state. Today it is legally integrated and a two-party state with a Republican governor, two Republican senators, and a Republican legislature.
When I decided at the beginning of my sophomore year in high school that I would study national security and I would try to understand how we acquire the power legitimately from the people in order to implement the policies we need, the Soviet Empire was a real and a direct threat to the survival of freedom on this planet. Because of the courage persistence, clarity, and vision of one person, the Soviet Union does not exist today, and that person was Ronald Wilson Reagan.
Next month will be the 25th anniversary of two speeches: the speech in which he broke with the elite, morally neutral, real politik, accommodationist view, and described the Soviet Union as an “evil empire”, the beginning of the end of that evil
, and 13 days later, the speech in which he outlined a proposal for a science-and-technology-based, entrepreneurial approach to national security to develop a strategic defense initiative which would in effect bankrupt the Soviet Union and lead to its collapse. ....
…he (Ronald Reagan) made the first CPAC conference really important, because he came here at a time when we were in despair, when the Republican Party was crumbling under the weight of Watergate, when the Left was on offense, when the counterculture was in full steam, and he said in [March of 1975] that we must have a flag of bold colors, no pale pastels. [“Our people look for a cause to believe in. Is it a third party we need, or is it a new and revitalized second party, raising a banner of no pale pastels, but bold colors which make it unmistakably clear where we stand on all of the issues troubling the people?”—Ronald Reagan] …

…9 million, is the number of additional votes who came out to vote in 1994, the largest one-party increase in an off-year election in the history of the United States, brought out by a proud, positive, clear, and very, very bold Contract with America. I cite it to point out that when we stand clearly, simply, and directly for large-scale change, that year it was welfare reform, the first tax cut in 16 years, a balanced federal budget, accountability for the Congress, stronger national defense and intelligence. The American people responded. … we kept our word on the Contract, and we voted on every single item in the first 93 days, and people began to believe we were serious. ….

….I believe that this is a time for the conservative movement, to issue a declaration of independence. And let me explain what I mean by issuing a declaration of independence.
First of all, I think we need to get independent from a Washington fixation. There are 513,000 elected officials in the United States and the conservative movement should believe in a decentralized United States, where every elected official has real responsibility, and we should be developing a conservative action plan, at every level of this country, and not simply focused over and over again on arguments about the White House.
Second, I think we need to get independent from this leader fascination with the presidency. Remember Ronald Reagan rose in rebellion because Gerald Ford was negotiating the Panama Canal Treaty. I voted against two Reagan tax increases. I voted against George H. W. Bush’s 1990 tax increase. It is a totally honorable and legitimate thing to say I am going to support the candidate and oppose the policy. This idea [is] that I think we [did] President George W. Bush a grave disservice by not being dramatically more aggressive in criticizing when they were wrong, and being more open when they were making mistakes.
And I don’t think it helped them or the country.
I also think that we need to declare our independence from trying to protect and defend failed bureaucracies that magically become our’s as soon as we are in charge of them. We appoint solid conservatives to a department and within three weeks they are defending and protecting the very department that they would have been attacking before they got appointed. And this is a fundamental problem and I think it comes from some very great challenges. And I want to suggest to you, and I spent a lot of time since 1999 thinking about this. That’s the part of why I wrote the book Real Change, and why I have tried to lay out at American Solutions a fundamentally different approach to how we think about solving our problems.
I think that there are two grave lessons for the conservative movement since 1980.
The first, which we still haven’t come to grips with, is that governing is much harder than campaigning. Our consultants may be terrific at winning one election, they don’t know anything about governing. And unfortunately most of our candidates listen to our consultants. And so you end up with people who don’t understand briefing people who don’t know, and together they have no clue. ….
…The second thing that I think has been a very sobering surprise to me, and it really started when we won in 1994, and I thought that the Democrats would stop and say “Wow we just lost power that we had for forty years, I guess maybe we did something wrong.”
They didn’t say that at all. They said, “Gingrich must have cheated.” …
….But it is a deeper problem. I had no real understanding of how decisively and deeply entrenched our opponents are from every level. From the Marxist tenure faculty member running for the U.S. Senate in Minnesota, achieving the impossible, the only man in America who could be to the left of Al Franken, and a vivid reminder of how much our University campuses are filled with people who hate the very country that provides them their salary, that provides them their tenure, and provides them their freedom….
…Any of you who have listened to Ambassador John Bolton knows that we have a vast portion of the State Department deeply committed to defeating the policies of President Bush. We have a large proportion of the Intelligence community deeply committed to defeating the policies of President Bush. The fact that he is the elected Commander in Chief of the American people, the fact that the laws have been passed by the elected legislators of the American people, seems to be no matter to this bureaucratic elite, which arrogates to itself the right to do things that are stunningly destructive…..


…the conservative movement has to declare itself independent from the Republican Party.
Let me make very clear what I'm saying here. I am not saying there should be a third party – I think a third party is a dumb idea, will not get anywhere, and in the end will achieve nothing
I actually believe that any reasonable conservative will, in the end, find that they have an absolute requirement to support the Republican nominee for president this fall. And let me remind you, I say that in the context of personally believing that the McCain-Feingold Act is unconstitutional and a threat to our civil liberties. And I say that in the context of believing that the McCain-Kennedy amnesty bill was a disaster and was correctly stopped by the American people.
But I would rather, as a citizen, and I say this with Callista and I have two wonderful grandchildren. Maggie who is 8 and Robert who is 6. We think about their future. As a citizen, I would rather have a President McCain that we fight with 20% of the time, than a President Clinton or a President Obama that we fight with 90% of the time....

I believe the conservative movement has to think about reaching out to every American of every background. …
…what’s in this Platform of the American People is issues which are tripartisan. They get a majority of Democrats, a majority of Republicans, and a majority of independents.
Now it turns out when you develop a tripartisan platform, it's a center-right platform because this is a center-right country. The fascinating thing will be watching Senator Obama who is for “Real Change” and has “change” on all his slogans, and I am for it. We wrote the book Real Change last summer and I want to thank the people at Regnery for going along with the title, it turns out this February that it was really a good title. But it was also an obvious title. But here’s the question: Are you for the right change or the wrong change?....
…(Platform of the American People from American Solutions) isn’t the Gingrich Platform, this is the Platform of the American People. And by the way, we’re going to want your help when you go back home reaching out to Democrats and Republicans, to get them at your county, at your district, at your state, in both parties to adopt this platform. Everything in here has a majority Democrat support. It doesn’t have a majority elite support….
…And here’s my point. Let’s talk about the right change versus the wrong change. 85% of the American people believe we have an absolute obligation to defend America and her allies. So if we need to strengthen our intelligence capabilities, and strengthen our interdiction and surveillance capabilities, and strengthen our ability to win wars in Afghanistan and Iraq and elsewhere that would be the right change. But if we want to have weakness, under funding, and crippling of our departments of security that would be the wrong change. …
… 92% of the American people believe that for us to compete with China and India in an age of science and technology we have to dramatically improve math and science education. Now, I am prepared to change every bureaucracy in America that is failing our children until we get them to actually succeed, and I think the change should start today, because we shouldn’t lose a single child to prison who ought to be in college if only they had a decent school to go to. And the question for Senator Obama and Senator Clinton is simple. Are you prepared to put the children ahead of your (trade) union allies, and actually measure achievement rather than union dues as a primary success?
…87% of the American people believe English should be the official language of government.
Now, 87% means an absolute majority of Democrats favor English as the official language of government. An absolute majority of Republicans favor English as the official language of government. An absolute majority of independents favor English as the official language of government. An absolute majority of Hispanics favor English as the official language of government.
Both Senator Obama and Senator Clinton voted against 87% percent of the American people, but nobody knows it.
Well, it’s not their fault that nobody knows it, it’s our fault….

….The permanent bureaucracy is permanently liberal, permanently obsolete, permanently incapable of doing its job, and we need fundamental deep change from school board to city council to county commission to the sheriff’s office to the state legislature to the governor to Washington, D.C., and we are the movement of real change by this summer I suspect we will win one of the most cataclysmic elections in American history. Because the sad reality is that our friends on the Left are trapped by their allies, they’re trapped by the trial lawyers, they’re trapped by the unions, they’re trapped by the big city bureaucracies, they are trapped by their allies in tenured faculty, they are trapped by the Hollywood Left.
And if there is a clear choice of which change, we will win…..
…I’m here as somebody who has spent his entire life practically, since I was fifteen years old, trying to find a way for us. And we’ve had great successes. We cut taxes dramatically, we re-launched the American economy in the 1980s, we eliminated the Soviet Union. The fact is we won the Cold War. People are freer.

So we have had great successes. But we can’t rest on them. And so we need to go out dedicated to insist on real change now, on the right change now, and about making sure that every American, of every background, in every neighborhood, understands that their future, their children’s future, and their country’s future, rest on creating the kind of opportunities that we are building, and that that requires real change in the obsolete, expensive, and destructive bureaucracies we’ve inherited in the past.
With your help, at every level, starting with adopting the Platform of the American People, and moving on to encouraging every elected official you know to be active in the reform movement, we have a chance I think to set the stage for a dramatically better American future. Thank you, good luck, and God bless you.