Molte delle eterne
discussioni sulla politica economica italiana sono incentrate sul limite del 3%
di deficit, che i paesi dell’Unione Europea si sono impegnati a rispettare a
partire dagli accordi di Maastricht.
Partiamo da una domanda: perché hanno messo
questo limite?
Quelli che hanno progettato
l’Euro e l’Europa come la conosciamo oggi, avevano in testa (e hanno anche oggi)
un modello di società nel quale ci sono delle autorità centrali che controllano,
dispongono, organizzano, decidono, pianificano e soprattutto spendono, credendo
che l’economia e le persone siano come un software: basta programmare e tutto
funziona secondo i piani.
Perciò, invece di lasciare
libero ogni Stato aderente, di adottare la politica di bilancio che ritesse più
opportuna, hanno messo dei vincoli, il più discusso dei quali è quello sul
deficit di bilancio.
Il fatto di creare una moneta
comune, in realtà, non implicava affatto il dover porre tali limiti. La moneta
unica è stata usata come scusa per ampliare i poteri degli organi comunitari ed
imporre un modello di economia nel quale i dirigisti da Bruxelles manovrano
tutto il continente.
Gli Stati Uniti d’America
sono 50 Stati federati con una moneta unica, ma ciascun Stato è libero di
adottare le politiche fiscali che meglio crede. Idem in Svizzera.
Oltre al riflesso
condizionato di doversi occupare di ogni cosa, i politici avevano un’altra
ragione per mettere dei paletti: la cattiva coscienza e la sfiducia reciproca.
Questo è il punto importante:
i trattati non prevedevano che la Banca Centrale Europea dovesse intervenire
per salvare dal fallimento qualche Stato con i conti in disordine e non
prevedevano nemmeno che, ad esempio, la Germania dovesse intervenire per
salvare la Grecia.
Quindi l’irresponsabilità di
un membro non avrebbe provocato perdite agli altri.
Però i politici non si fidano
uno dell’altro, sapendo bene che le firme sui trattati e le promesse valgono
quel che valgono, cioè zero.
Del resto la storia economica
delle finanze pubbliche è sempre uguale: i governi spendono sistematicamente
più di quello che incassano, coprono i buchi indebitandosi e poi a un certo
punto falliscono; qualcuno come mossa disperata tenta, senza successo, di
salvarsi stampando moneta e poi si arrende all’evidenza: se consumi più di
quello che produci, fai una brutta fine.
Se si fosse scelto un modello
improntato alla libertà, non si sarebbe messo nessun limite, infatti, come ho
scritto altrove, uno dei fondamenti di un’economia libera è il fallimento e
questo, come dovrebbe valere per i privati, deve valere anche per gli Stati.
Libertà e responsabilità
devono andare di pari passo.
Torniamo a noi: non era quindi
previsto alcun meccanismo per cui la Germania avrebbe dovuto salvare gli altri,
ma siccome i tedeschi sospettavano che in caso di crisi, qualcuno avrebbe
bussato alla loro porta, hanno imposto il limite. Ironia del destino, poi,
neanche loro hanno rispettato il limite del 3%, e in alcuni anni l’hanno
superato.
In molti, convinti che la
ricchezza nasca dal fare debiti, attribuiscono a quel sforamento la solidità
economica tedesca… ma questa è un’altra storia.
Ricapitolando:
1 - se indebitarsi fa bene
all’economia, allora mettere un limite al deficit è controproducente.
2 - se invece si pensa che
fare deficit sia inutile e alla lunga dannoso, allora è superfluo mettere il
limite, perché uno non dovrebbe fare qualcosa che reputa dannoso.
Il problema è che fare tanto deficit a
qualcuno fa bene, ad esempio, a volte,
a chi specula sui debiti pubblici, ma
soprattutto a chi spende quei soldi, cioè i politici, perché così hanno a
disposizione più risorse per comprarsi il consenso elettorale.
La pochezza dei padri
costruttori dell’Euro si evince anche dal valore scelto: se proprio metti un
limite, mettilo in modo che raggiunga lo scopo che si prefigge, cioè salvaguardare
i conti pubblici. Ma se tu ti indebiti al ritmo del 3% all’anno, prima o poi
accumulerai un debito insostenibile!
Persino Keynes, che credeva
che il deficit stimolasse la crescita economica, prefigurava un sistema nel quale
durante gli anni buoni gli Stati mettessero da parte le risorse da impiegare
nei periodi di recessione; la famosa politica anticiclica, che, però, nelle
mani dei politici è diventata a senso unico: ogni anno sempre deficit, a
prescindere… per decenni.
Quindi, a meno che non
riesci, ogni anno, a far crescere l’economia di altrettanto, cioè del 3%, ti
troverai con un peso del debito sempre crescente.
Ma possono delle economie
mature crescere ad un tale ritmo? E’ molto difficile a livello nominale, praticamente
impossibile a livello reale.
Ma poi, in definitiva, 3% è tanto o poco? Dipende: se non hai debiti è poco, se hai già una
montagna di debiti è tanto. E’ un po’ come il discorso sul pareggio di
bilancio: per me è una cosa buona, ma se per raggiungerlo aumenti a dismisura
una pressione fiscale già insostenibile (come ha cercato di fare l’Italia nel
2012) ti stai solo suicidando. Non c’è un criterio per porre un valore
“giusto”, tanto meno se metti un valore unico per paesi in situazioni diverse.
Potevano mettere semmai un
limite flessibile: se tagli 1 euro di spesa corrente, puoi farne 2 di
investimenti, quindi ti puoi indebitare di 1; legando quindi il deficit agli
investimenti, cosa economicamente sensata. Mentre emettere un bond decennale
per finanziare spese a breve termine, tipico andazzo italico, è un
comportamento stupido.
Ma, finiti questi bei
discorsi, la realtà è che quelle menti sono state capaci di partorire solo il
sistema che conosciamo.
In effetti alla prova dei fatti,
tutto è andato diversamente da come
doveva funzionare: la BCE, contrariamente all’impostazione con cui è stata
fondata, è intervenuta e la Germania, principalmente a causa del suo fragile
sistema bancario coinvolto nei paesi in crisi, non si è affatto disinteressata
del destino dei paesi in difficoltà.
Insomma, come sempre i
pianificatori hanno fallito le previsioni e la realtà ha preso tutta un'altra
strada.
Se ne dovrebbero ricordare
quelli che ne invocano l’intervento per risolvere i problemi.
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