lunedì 3 dicembre 2007

La precarietà è un problema

Un mese fa il corteo, poi la mobilitazione dell’estrema sinistra è finita, il Governo non ha fatto nulla ed il lavoro precario continua ad esserci. Intendiamoci: da un lato meglio così, visto che le ricette proposte dai partiti comunisti renderebbero peggiore il problema; però le normative che riguardano i rapporti di lavoro sono uno dei fattori decisivi per il benessere di un paese e sarebbe più che giusto assistere ad una discussione pubblica su come rendere migliore il nostro sistema.
Il riordino contenuto nella Legge Biagi ha consentito l’emersione di una fetta consistente di lavoro sommerso, ma il mercato del lavoro ha ancora bisogno di essere migliorato. Innanzitutto ci vuole un po’ di verità: promettere un sistema in cui vengono applicate a tutti le attuali norme del contratto a tempo indeterminato significa illudersi ed illudere, o più semplicemente mentire. Siccome non si è voluto o potuto modificare tale normativa, l’unico modo per consentire agli esclusi di avere un lavoro in regola è stato quello di inventare altre forme contrattuali estremamente flessibili.
Ciò che rende deboli oggi noi lavoratori è la mancanza di un mercato dinamico: oggi il lavoratore non ha alternative al proprio posto, questa mancanza, oltre a complicare il progredire della propria professionalità, rende drammatiche le scadenze dei contratti a termine. Non solo, ma anche l’indissolubilità del contratto a tempo indeterminato diventa illusoria quando un’azienda entra in crisi e deve chiudere. In quest’ultimo caso assistiamo alle proteste disperate dei lavoratori, ai colloqui quasi sempre inutili dei sindacati ed ai giornalisti che cercano il colpevole. Ma le crisi si combattono prima, si prevengono, costruendo un sistema in cui le aziende sane possano crescere e quindi anche assumere. Abbiamo un fisco punitivo, una giustizia lentissima, energia cara, scuola e università inadeguate e pretendiamo che le imprese, in un impeto di ottimismo assumano le persone a vita! Il contratto a tempo indeterminato, almeno per i nuovi assunti va rivisto, così come il sistema di protezione sociale per chi perde il lavoro, perché è chiaro che in un sistema flessibile l’indennità di disoccupazione diventa lo strumento centrale di intervento.
L’obiezione che esce fuori a questo punto è sempre la stessa: ma così torniamo indietro, inseguiamo il modello cinese… ma, dico io, forse Londra sta in Cina o nel Terzo Mondo. Il problema di questi che agitano lo spettro cinese è che hanno la coda di paglia, perché loro la Cina l’hanno inseguita e propagandata fino ad ieri, quando il modello era quello maoista.
E’ il loro modello mentale che è incorreggibile, pensano sempre che basti fare una legge più restrittiva, più coercitiva per risolvere i problemi, come se una volta che la formula magica è iscritta nella Gazzetta Ufficiale per incanto la realtà si ridisegna automaticamente. Un po’ come è avvenuto per la sicurezza sul lavoro: chi rispetta le regole ha più costi, tempi più lunghi e tonnellate di carta da compilare; per chi lavora in nero non cambia nulla: stessa emarginazione, stessi rischi sul lavoro, stessa precarietà.

4 commenti:

Massimo ha detto...

Ottima analisi. Ne desumo che anche tu sia un lavoratore dipendente (e vorrei ricordare che tali sono tutti quelli che appartengono alle 4 categorie: dirigenti, quadri, impiegati e operai).
Purtroppo troppo spesso parlano e operano sul lavoro, sul diritto del lavoro, sul mercato del lavoro personaggi che non sanno proprio cosa significhi lavorare.

Freeman ha detto...

grazie Massimo. sono un lavoratore dipendente, impiegato ed anch'io sentendo pontificare certi signori in tv credo proprio che non sappiano cosa significhi lavorare, ocercare lavoro, ma neanche assumere qualcuno, o chiedere un fido in banca, pagare un fornitore ecc. e soprattutto non sanno la differenza tra un'attività con 2 o 3 dipendenti ed una con 2 o 3 mila

Anonimo ha detto...

La politica nell'ultima campagna elettorale si è spellata la lingua nel dichiararsi contro la precarietà nel mondo del lavoro ed ha dichiarato di voler ABOLIRE tale barbarie sociale.
Noi giovani che probabilmente siamo un pò più intelligenti di certi politicanti e di certi comici che parlano per slogan di cose che nemmeno conoscono, forse abbiamo un’idea leggermente diversa sul tema:
dichiarasi a favore o contro la flessibilità nel mondo del lavoro è da idioti perché non si possono avere posizioni aprioristiche su tale tema.
Faccio un paio di esempi:
1) in un’economia che funziona, flessibilità molto spesso è sinonimo di riallocazione immediata della forza lavoro nei settori produttivi che si dimostrano in un determinato momento più trainanti rispetto ad altri ( se oggi tira più la produzione di bulloni, il contabile, l’operaio ed il magazziniere si riallocheranno immediatamente in tale settore)
Al contrario in un’economia come quella italiana, la flessibilità è solo un voler trasferire il rischio d’impresa sui lavoratori ( se io sono un imprenditore e sono tartassato dalle tasse, vendo poco o voglio più utili, basta cacciare un pò di precari e così torno competitivo);
2) In un certo senso la flessibilità ha dato una mano ai giovani alle prime armi nei primi approcci con il mondo del lavoro permettendo di entrare sicuramente con rapporti instabili nelle aziende ma altrettanto sicuramente di riempire un curriculum che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.

Da questi due esempi si evince che non ci sono crociate da fare sulla flessibilità ma semmai bisognerebbe orientarsi ad avversare quei meccanismi che trasformano la flessibilità in una sorta di precariato cronico e di lunga durata; in altri termini bisogna solo porre degli argini alla legge 30… e vabbè che devo fare esperienza ma non mi puoi farmi fare l’atipico a vita !!!
Ma analizziamo meglio le cose:
La progressiva diffusione dei contratti cosiddetti "atipici” ha ormai assunto, nel bene e nel male, un ruolo di rilievo nella dinamica dell’occupazione tanto che si può far risalire la ripresa occupazionale italiana all'inizio del 1998 con l’adozione del pacchetto Treu, che favoriva l’utilizzo di forme di lavoro a termine e a tempo parziale.
La riforma Maroni non ha fatto altro che proseguire nella deregulation iniziata nel ’98.
Da allora, infatti, la quota dei lavoratori impiegati a part time sul totale dei dipendenti è passata dal 7% a oltre il 12% nell’intera economia, arrivando a oltre il 16% nel settore terziario privato(Dati del 2003).
Anche i lavoratori a tempo determinato sul totale dei dipendenti salgono a loro volta, negli ultimi quattro anni, dal 7% a oltre il 12% se si escludono gli addetti all’agricoltura e al settore turistico-commerciale, dove è sempre stata alta l’incidenza dei lavoratori stagionali. Più elevata è, inoltre, la quota delle donne con contratti a termine e, soprattutto, quella dei giovani con meno di trent’anni, che raddoppia rispetto alla media degli occupati.
Ma è significativo anche l’aumento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato e a tempo pieno, la cui dinamica nel corso del 1999-2003 ha chiaramente beneficiato degli incentivi (credito d'imposta) introdotti dalla Finanziaria 2001 per i nuovi occupati a tempo indeterminato e in seguito parzialmente confermati.
Se l’occupazione flessibile e precaria è considerata un fattore in grado di influenzare positivamente le statistiche, ritengo che sia fattore in grado soprattutto di influenzare negativamente la vita di tutti quei giovani che, accettando all’inizio della loro carriera lavorativa la flessibilità come buon modo per affacciarsi al mercato del lavoro, ne sono rimasti pian piano intrappolati.

La situazione complessiva del sistema Italia è abbastanza deludente e la lunghezza del ciclo economico negativo ha avvolto il nostro Paese in una spirale stagflattiva dalla quale difficilmente ci si potrà sottrarre se non con la radicale inversione di tendenza delle strategie economiche del nostro Paese.
Gli artifici finanziari dei Governi succedutesi negli anni capaci solo di fare cassa, le manovre non strutturali sui conti pubblici ed il mancato aggancio della ripresa economica mondiale, difficilmente permetteranno a questo Governo come altri Governi di liberare risorse fresche, utili ad intervenire nei settori nevralgici del malessere Italiano.
Certo se si evitassero demagogie e si indirizzassero i vari tesoretti alla riduzione del debito Pubblico, beh forse qualche risorsa fresca e strutturale la si riuscirebbe a recuperare.
L’economia reale del nostro Paese soffre la scarsa competitività nel settore dei servizi ove c’è poca concorrenza e la dinamica dei prezzi contribuisce massicciamente all’aumento dell’inflazione, elemento che più di ogni altro frena i consumi interni nel nostro Paese ed inficia la fiducia dei mercati e delle famiglie.
Se il sistema produttivo italiano, lungi dall’avere regali fiscali per giunta indirizzati quasi esclusivamente alle grandi imprese, avesse ottenuto dai Governi un concreto e generalizzato sgravio del costo del lavoro, forse avrebbe guadagnato in termini di competitività sui mercati esteri ed interni, avrebbe controllato la dinamica dei prezzi ed avrebbe raggiunto risultati lusinghieri in termini di occupazione stabile senza puntare sulla precarietà selvaggia.
Chiaramente, oltre all’inflazione cavalcante le famiglie hanno risentito di questa ondata di flessibilità selvaggia e miope che ha funzionato più come slogan che come moltiplicatore sull’occupazione.
La flessibilità, infatti, non è elemento che può aprioristicamente rendere virtuose le dinamiche occupazionali, non tanto dal punto di vista quantitativo quanto qualitativo.
In Italia, infatti, i contratti atipici hanno contribuito ad aumentare in termini meramente contabili il saldo occupazionale ma hanno diffuso un’incertezza ed un malessere sociale che ha paralizzato il sistema Paese.

Una politica del lavoro che non argini il ricorso sistematico e l’abuso del del precariato lavorativo per i giovani è definibile come liberismo selvaggio, far west e macelleria sociale.
Parimenti una politica del lavoro che miri ad abrogare la Legge Biagi, sarebbe definibile come demagogica e dannosa.
Per porre in essere una politica del lavoro che venga incontro alle esigenze delle nuove generazioni e della famiglia, forse sarebbe corretto non abolire tutte le forme di lavoro flessibile, ma correggerne le storture.
La legge 30 va emendata in modo che siano ben definiti e ristretti gli ambiti di applicazione del lavoro precario di cui oggi si abusa e che ad un aumento dell’insicurezza lavorativa corrisponda il giusto contrappeso in termini di ammortizzatori sociali e retribuzione..
E’ necessario che si limiti il pericolo del precariato cronico impedendo con sanzioni pesanti ai datori di lavoro di contrattualizzare perpetuamente lo stesso lavoratore a tempo determinato ricorrendo a semplici tecniche di elusione delle norme.
Sarebbe forse efficace incentivare le imprese ad assumere precari attraverso sgravi sul costo del lavoro proporzionali all’anzianità di precariato del lavoratore che assorbono con un contratto a tempo indeterminato e scoraggiando nel contempo il precariato perpetuo attraverso la progressività degli oneri a carico azienda calmierata sempre sull’anzianità di precariato del lavoratore.
Il Governo dovrebbe sostenere con maggiore forza il programma di riduzione del costo del lavoro rimodulando al rialzo gli oneri contributivi sul lavoro flessibile ed al ribasso quelli sui nuovi assunti stabilmente…. Invece per abolire lo scalone ha fatto l’esatto contrario !!!
E’ necessario riformare la Legge Biagi inserendo gli opportuni meccanismi di protezione sociale sui lavoratori espulsi dai processi produttivi aiutandoli nel loro iter di riconversione e riqualificazione e nella ricerca di una nuova occupazione.
Sarebbe anche importante che il Governo emendasse la Legge Biagi prevedendo pene più severe sul lavoro nero e sull’elusione delle norme come ad esempio il meccanismo del contratto a tempo determinato con successiva proroga, poi stacco di 20 giorni e successivo contratto a tempo determinato.
Tale meccanismo è attualmente consentito ed è il principale responsabile del cosiddetto precariato cronico.
Si tratta di tecniche che andrebbero scoraggiate oltre che vietate.

Urge riordinare un settore come quello delle norme in materia di diritto del lavoro, deturpato da una corrente di pensiero trasversale in base alla quale quanto maggiore è la flessibilità tanto più si sviluppa il mercato del lavoro.
L’incertezza sul futuro manifestata a più riprese dai giovani è li a dimostrare che tale assioma è errato se non prevede un argine a tali meccanismi.
L’ instabilità del lavoro, oggi più che mai costituisce il principale elemento frenante per la formazione di nuove famiglie, per la natalità, per la dinamica dei consumi e quindi per lo sviluppo del nostro Paese..

Non posso non ricordare inoltre che recenti studi hanno messo in evidenza nessi di causalità tra salute e stabilità lavorativa evidenziando che chi gode di forme contrattuali e retributive migliori, si sottopone più frequentemente a controlli medici e terapie preventive .
Allora smettiamo di credere alla favole di chi ci racconta che la flessibilità è un male e di chi ci viene a dire l’esatto contrario; sono le solite semplificazioni di una classe politica buona solo a sculettare in televisione.

http://leopinionidigeronimo.blogspot.com/

Freeman ha detto...

X Geronimo:
concordo sul fatto che il sistema come è oggi rappresenta una distorsione, perchè i contratti tipo co.co.pro o a tempo determinato dovrebbero essere forme transitorie a cui il lavoratore ricorre nel momento in cui entra nel mondo del lavoro o nel momento in cui sta cambiando lavoro, invece attualmente c'è una divisione per cui una parte di lavoratori sono all'interno del fortino del posto fisso e gli altri sono perennemente sottoposti a contratti a scadenza. Il problema è che una legge che vieta le forme flessibili non fa automaticamente entrare i lavoratori esclusi nel gruppo di quelli sicuri, ma probabilmente li fa diventare disoccupati o in "nero". Una limitazione del ricorso ai precari ha un senso solo se contemporaneamente si rivede le attuali regole del tempo indeterminato, perchè è fondamentale che le aziende che vogliono crescere non abbiano remore ad assumere qualcuno in pianta stabile ed oggi non è così.
Sono d'accordo con te che questo problema si ripercuote sulla natalità e che comunque da solo non si può risolvere pienamente senza mettere mano agli altri punti dolenti: debito pubblico, fisco, servizi concorrenziali... aggiungo anche una adeguata formazione perchè siamo al paradosso che quando le aziende cercano qualcuno per un posto ricevono 100 curriculum ma nessuno con le capacità richieste!