domenica 19 dicembre 2010

Tommaso Padoa Schioppa. Preferisco ricordarlo così.

Tommaso Padoa Schioppa resterà nella memoria collettiva per la sua breve parentesi di Governo, che molti, me incluso, considerano infelice e per alcune ben note e discutibili esternazioni giornalistiche. Ma la realtà è sempre molto più complessa delle banali e interessate semplificazioni dei media e siccome in questo blog si va sempre contro corrente e si mette in luce quello che i professionisti dell’informazione nascondono sotto il tappeto, io lo ricordo per un’intervista del 2005 che cito testualmente e di cui condivido in gran parte il contenuto: “«Se noi avessimo difeso Kodak e Ford, la Microsoft sarebbe sorta non in America ma in un altro Paese», osservava qualche settimana fa un amico economista americano. Si limitava a ricordare quel carattere del mercato concorrenziale, che si chiama distruzione creativa. Carattere, a vero dire, non del solo mercato ma della vita stessa. «Muori e diventa» (stirb und werde) dice un verso di Goethe; per non ricordare il passaggio delle Scritture sulla necessità che il seme muoia perché la pianta nasca. In astratto è una legge che conosciamo, ma ogni giorno vediamo quanto sia difficile accettarla per la nostra impresa, il nostro posto di lavoro.
L’ economia italiana non riprenderà vigore senza un combinarsi di costruzione e distruzione: imprese o settori che declinano e scompaiono, altri che nascono e prosperano. Le periodiche statistiche de Il Sole 24 Ore mostrano che mobile, scarpa, macchine utensili crescono in certe regioni o distretti, calano in altri. L’ impresa più capace di indovinare il prodotto che piacerà, di contenerne il costo, di organizzarne la vendita porta via clienti all’ impresa meno capace; se confrontiamo le due, vediamo che nella prima gli operai di solito non sono più meritevoli che nella seconda, ma sono più bravi il padrone, il sindacalista, il progettista.
È quasi impossibile che la costruzione proceda tanto in fretta da evitare la pena della distruzione: posti di lavoro perduti, aziende che chiudono. L’ avvio del nuovo difficilmente comincia prima che morda il bisogno. La necessità aguzza l’ ingegno. La straordinaria crescita industriale della provincia di Reggio Emilia iniziò, oltre quaranta anni fa, dalla riconversione in imprenditori di maestranze rese senza lavoro dalla chiusura delle Officine meccaniche reggiane.

Chi stabilisce che cosa distruggere e che cosa costruire? Noi, non lo Stato o il sindacato; noi, quando scegliamo tra un volo Easy Jet e un volo Alitalia, tra un Cd Naxos e uno Sony. A Stato e sindacato, invece, compete di organizzare quella solidarietà sociale pubblica che è vanto della civiltà europea contemporanea e che permette alla distruzione creativa di compiersi col minore sacrificio.”

sabato 18 dicembre 2010

Camminata fino al Kuhleiten

Con qualche mese di ritardo propongo questa camminata: partenza dalla Malga Taser (mt 1450) nel comune di Scena, dove si può arrivare con una funivia. Dopo circa un’ora di strada senza particolari dislivelli si arriva alla baita Streitweider (mt 1560), da qui comincia una salita praticamente ininterrotta che dopo un’ora e mezza conduce al rifugio Kuhleiten (mt 2360).








lunedì 6 dicembre 2010

Afghanistan. Anche le armi biologiche vanno inserite in una strategia coerente.

Le armi e le azioni intraprese in una guerra devono essere coerentemente inserite nella strategia prescelta e funzionali al conseguimento degli obiettivi finali, altrimenti è un inutile spreco di risorse.

Le cronache di questi ultimi mesi segnalano un crollo della produzione afghana di oppio, le stime per il 2010 parlano di un calo interno al 50% rispetto all’anno precedente. Sulle cause non c’è univocità ma molte fonti riferiscono di una malattia che ha attaccato le piante facendo diminuire la resa per ettaro. Sappiamo che da anni vengono portate avanti ricerche per mettere a punto armi biologiche (nello specifico funghi) che possano distruggere le colture dalle quali si ricava droga.
Le malattie che colpiscono le piante sono spesso molto difficili da contrastare e con le tecnologie oggi disponibili dovrebbe essere possibile creare microorganismi in grado colpire selettivamente alcune colture. C’è quindi il sospetto che questo calo possa essere dovuto all’impiego di qualcuno di questi agenti patogeni. Già gli antichi sapevano che affamare il nemico è la forma più efficace di combattimento e, come è noto, una delle più importanti fonti di finanziamento dei Talebani sono gli introiti derivanti dalla coltivazione e dal commercio dell’oppio, di cui l’Afghanistan è il principale produttore mondiale.
Ogni arma però va inserita e coordinata nella strategia globale che si intende perseguire ed in questo caso la scelta di annientare i raccolti deve essere accompagnata da altre mosse, per non risultare controproducente.

Lo scarso raccolto sta facendo impennare i prezzi e questo potrebbe indurre quegli agricoltori che hanno abbandonato la produzione di oppio a tornare sui propri passi. In alcune province le forze occidentali hanno finanziato il passaggio ad altre colture comunque remunerative (ad esempio lo zafferano), per non vanificare questi sforzi la percentuale di distruzione deve essere mantenuta molto alta, perché è ovvio che nessun coltivatore punterebbe sull’oppio se sapesse che corre il rischio di perdere il 90% del raccolto.

Veniamo da anni in cui la produzione era cresciuta moltissimo.
I grandi raccolti delle ultime stagioni avranno provocato un aumento delle scorte da parte dei trafficanti, scorte che ora possono essere rivendute ad un prezzo maggiore. Quindi una strategia volta a soffocare le fonti di finanziamento dei Talebani deve per forza di cose avere una durata pluriennale, solo con l’esaurirsi delle scorte gli introiti crolleranno. Un solo anno non avrebbe invece un impatto significativo.

Il problema fondamentale poi è che la strategia perseguita dalla coalizione prevede un approccio che cerca il consenso della popolazione, mentre la distruzione dell’economia del nemico si accompagnerebbe (in teoria) meglio ad una strategia più simile alle guerre balcaniche, con pulizia etnica e annientamento in massa, (cosa che ovviamente la NATO non può fare). Bisogna mettere in conto quindi delle azioni per gestire la fase di transizione nelle aree controllate dai Talebani, soprattutto per evitare che il tracollo economico spinga frange della popolazione verso la lotta armata.
Parte delle forze talebane sono persone che si arruolano per denaro, prosciugare le fonti di finanziamento nemiche è funzionale al tentativo di far cambiare campo a queste forze, sapendo però che gli elementi irriducibili non cesseranno comunque di opporsi con ogni mezzo disponibile alla normalizzazione del paese.

mercoledì 1 dicembre 2010

il Manifesto dei Conservatori

Il libro “Manifesto dei Conservatori” di Roger Scruton, ha lo scopo di fare il punto su che cosa significa e cosa dovrebbe significare oggi essere Conservatore, naturalmente inteso nel senso anglosassone del termine.
Il primo spunto che merita di essere citato testualmente è una definizione di lealtà nazionale, alla quale ognuno può arrivare riflettendo autonomamente, ma che oggi sembra volutamente ignorata dai media: “noi in qualità di cittadini di stati-nazione siamo vincolati da obblighi reciproci a tutti coloro che possono vantare la nostra nazionalità, indipendentemente da famiglia o religione” “la nostra legge si applica ad un territorio definito, i nostri legislatori sono scelti fra coloro che l’abitano…” “I simboli di lealtà nazionale non sono né aggressivamente attivi, né ideologici: sono immagini pacifiche di madrepatria, del luogo al quale apparteniamo”…”non si trova alcuno di questi elementi positivi in quegli stati che siano fondati sul noi tribale o sul noi della fede” “sin da quando il poeta latino Terenzio Afro ha posto la domanda semiseria: Quis custodiet illos custodes? Il problema della responsabilità è sempre stato primario…per quanto un monarca, la classe dirigente o il partito di avanguardia possano essere benevoli non è probabile che lui o lei o loro lo rimangano a lungo se possono permettersi di rendere conto solo a se stessi… ciò significa saper mobilitare la pubblica opinione contro i governanti al punto da arrivare ad esautorarli, ma questo può accadere solo se i cittadini sono pronti a difendere il diritto di tutti alla protesta” (e all’opinione aggiungo io). “la lealtà nazionale è la roccia su cui si fondano queste posizioni… permette alla gente di vivere in una società depoliticizzata in cui gli individui hanno sovranità sulle loro vite ma, al tempo stesso, sanno che vi sarà unità nel difendere le loro libertà, anche se perseguono politiche opposte”, tutto questo è chiaramente ben applicabile all’Inghilterra, forse anche agli USA, meno alle esperienze del nostro Paese, da secoli terreno di battaglia per potenze ed ideologie provenienti dall’esterno, però suggerisce un’idea di stato-nazione svincolata dall’etnia, ma non dalla cultura, ponendo paletti molto concreti: quando la fedeltà alla tribù, alla religione o all’ideologia supera quello alla patria, la convivenza e la pace sono in pericolo.
Merita un plauso il capitolo sull’Oicofobia, termine che l’autore usa nel senso di paura della propria cultura: “nessuno….può permettersi il lusso di non essere consapevole della compiaciuta derisione rivolta alla nostra lealtà nazionale da parte di chi non avrebbe nemmeno la libertà di critica se gli inglesi, anni fa, non fossero stati pronti a morire per il proprio paese” “il ripudio dell’idea nazionale è il risultato di un particolare stato d’animo che si è sviluppato nel mondo occidentale a partire dalla Seconda Guerra Mondiale e che prevale tra le élite intellettuali e politiche….la tendenza in qualunque situazione conflittuale a schierarli con loro contro di noi e il bisogno irrefrenabile di denigrare usi e costumi , cultura istituzioni che siano tipicamente nostri” “da un punto di vista psicologico l’oicofobia è una fase tipica e normale della mente degli adolescenti, mentre negli intellettuali tende a divenire permanente”: non avrei saputo descrivere meglio, quell’odio per la nostra cultura che nel mondo dei media ci invade quotidianamente e ossessivamente, tutti i mali del mondo discendono in ordine di importanza: dagli USA, dal nostro modo di vivere, dall’Occidente in genere; la cosa buffa è che questi professionisti dell’autoinfangamento non si rendono nemmeno conto di usare tutte categorie di pensiero nate e tipiche dell’Occidente, il terzomondismo, il bolivarismo ecc. sono tutte categorie di pensiero occidentali ed inculcate altrove.
Immancabile il passo sul Relativismo: Scruton non fa altro che mettere in luce quella contraddizione che chiunque può verificare, cioè il Relativismo culturale dovrebbe mettere tutti sullo stesso piano ed invece diventa il più intollerante degli approcci, cerca in ogni modo di convincerci che la cultura occidentale è razzista, patriarcale, etnocentrica, prevaricatrice e chi non si allinea al pensiero dominante su famiglia, immigrazione, guerra e pace è un criminale. Dopo aver eliminato la religione dalle proprie vite e dalla vita pubblica, aver negato qualunque valore al sacro, al magico, i movimenti “progressisti” ne hanno assunto la forma mentis diventando intransigenti, con uno zelo missionario ed una fede nelle proprie convinzioni che non ammette prove contrarie per quanto razionali: che la battaglia sia contro il consumo di carne o riguardi temi economici oppure etici, lo zelo è da setta religiosa, infatti le tesi contrarie sono eresie o frutto di qualche potere malvagio e occulto che compra e corrompe le coscienze. Invece il senso di umorismo, autoironia o scetticismo risulta assolutamente assente, del resto in ballo c’è la salvezza dei giusti e del mondo! (peraltro secondo costoro la specie umana è responsabile di ogni male quindi non si capisce perché la vogliano salvare dai disastri e dalle apocalissi prossime venture, insomma in questo almeno San Giovanni era più coerente).

Mi sono dilungato abbastanza sugli aspetti più condivisibili del libro e da agnostico, paganeggiante e razionalista lascio l’ultima citazione a questa massima che mi è piaciuta molto, su cui ognuno farà la sua riflessione notturna: “le menzogne della fede religiosa ci consentono di percepire le verità che contano, le verità della scienza, investite di autorità assoluta, nascondono quelle che contano e rendono impercettibile la realtà umana”.

giovedì 25 novembre 2010

Salviamo la Cultura dai suoi salvatori


L’ultima parola d’ordine per mobilitare il senso civico degli italiani è SALVIAMO LA CULTURA. Così si fa un calderone in cui si mescolano manifestazioni a favore del cinema sussidiato, tesori artistici in rovina e studenti che difendono eroicamente la peggior fabbrica di ignoranza presuntuosa, disoccupazione politicizzata e fancazzismo impegnato dell’Occidente, cioè il nostro sistema scolastico. (per la cronaca si segnalano invece solo flebili voci contro il peggior provvedimento dell’anno: la “riforma” forense).

I salvatori della cultura hanno aggiunto questa battaglia epocale agli altri salvataggi in corso: salvataggio del pianeta, dei poveri, della pace, del buon gusto….
Infatti intellettuali, opinionisti, editorialisti da qualunque scampolo di carta stampata non perdono occasione di martellarci con il PENSIERO UNICO “PROGRESSISTA” fatto di ogni genere di mistificazioni, censure rigorose su quello che non fa comodo e una riga di insulti su quelli che la pensano diversamente. Se ne potrebbero citare a migliaia, anche perché la loro caratteristica principale è invadere ogni spazio, sia che si parli di sport, tempo libero, moda, vacanze, dietologia, reincarnazione, fumetti, insomma di quello che vi pare, loro invariabilmente la buttano in politica.
Oppure invitano e intervistano solo quelli omologati al mainstream.

Potrei quindi commentare le banalità quotidiane delle varie Rodotà, Spinelli, Sarzanini, ma punto invece più in alto: mi è capitata tra le mani una copia di Io Donna nella quale, prendendo spunto dal crollo della Casa dei Gladiatori, si chiede a 8 membri dell’Accademia dei Lincei delle idee per superare il difficile momento odierno.
Parla Maurizio Brumori “già professore di Biochimica alla Sapienza di Roma”, ha la foto più simpatica di tutte e magari è solo scivolato su un po’ di luoghi comuni, quindi oggi prendo di mira lui, anche se magari non lo merita, perché ci fornisce troppi spunti che necessitano un commento. La sua intervista parte con: “L’anomalia italiana è che non si sono mai fatti progressi contro l’evasione fiscale… anch’io ho un po’ di azioni ma perché devo pagare solo il 12%?” ; prima frase, prima castroneria: si lamenta dell’evasione fiscale e dice che bisogna alzare le aliquote, così quelli che le pagano sono ancora più vessati e gli evasori ci guadagnano ancora di più! Sorvolo sugli effetti perversi della tassazione delle rendite e che si tratta di redditi già tassati, mi concentro solo sulla logica intrinseca della dichiarazione: se il professore ritiene di dover destinare una quota maggiore dei propri dividendi a finalità pubbliche è liberissimo di farlo, oppure possiede così poca autostima da ritenere che i nostri politici utilizzerebbero quei fondi in modo più oculato di quello che farebbe lui stesso?
Prosegue: “demagogico e sbagliato è stato anche tagliare l’ICI a quelli che se lo potevano permettere e per di più due mesi prima che arrivasse la grande crisi”: secondo lui possedere la casa nella quale si abita vuol dire potersi permettere di pagare, come se automaticamente avere una casa (sottolineo una) comportasse qualche genere di entrata…. E poi la crisi cosa c’entra? Servivano più tasse per finanziare quelle manovre stile Zapatero invocate dall’opposizione e rivelatesi ovviamente controproducenti?
Come perla finale arriva la citazione di Padoa-Schioppa sostenendo che “le tasse sono una cosa bellissima”…”sono l’unico bacino di entrata per sostenere altre attività… per risollevare la cultura, il nostro patrimonio artistico…”, va bene però il nostro patrimonio artistico fu creato nelle epoche passate quando le tasse erano molto più basse di oggi e inoltre se la Casa del Gladiatore fosse stata di proprietà di qualche privato interessato all’arte e alla storia, sicuramente non sarebbe stata lasciata crollare. E poi perché non usare quei soldi per mandare l’uomo (magari qualche accademico) su Marte?

Mettiamo i puntini sulle i:

- le tasse sono una cosa necessaria, ma in uno Stato che si è fatto prestare negli anni (e deve restituire) oltre milleottocentomiliardi di Euro (corrispondenti a oltre tremilioniquattrocentoottantamilamiliardi di lire) sostenere che mancano le risorse perché non si alzano le tasse è ridicolo
- alzare le tasse non significa aumentare il gettito complessivo, soprattutto in un paese dove le piccole attività imprenditoriali subiscono aliquote che vanno ben oltre il 50%
- è di cattivo gusto che chi ha percepito reddito grazie ai soldi dei contribuenti, mentre rilascia interviste alla carta stampata, che si regge a sua volta sui soldi dei contribuenti venga a reclamare ulteriori spremiture.

Tutto queste polemiche in realtà non fanno che proseguire il filo conduttore scalfariano: c’è un’ Italia colta che legge e vota a sinistra e un’Italia cafona e disonesta che vota Berlusconi. Sì ma che cosa legge l’Italia colta? Siete mai entrati in una libreria? Quella spazzatura esposta in primo piano come fosse verdura al mercato sono opere culturali? (resta sottointeso che c’è molta più poesia in un carciofo della piana di Albenga che nella maggior parte delle opere letterarie di cui parlo). Basta cercare qualche testo che esula dal solito tran tran e per scoprire che nel 90 per cento dei casi non l’hanno nemmeno tradotto in italiano: o te lo leggi in inglese, o francese, oppure niente. Preciso che leggere fa sempre bene e va bene leggere qualsiasi cosa, ma da qui a farne un discrimine di erudizione per giustificare la superiorità antropologica della sinistra ce ne corre.
E sarebbero cultura quei deprimenti film italiani dove si fa l’elogio dello sfigatismo, dove il solito ultratrentenne si comporta come un ragazzino, inebetito dagli spinelli, alle prese con una società ingiusta perché non gli dà la garanzia di bighellonare a vita?

Tutti possono e debbono esprimere le proprie opinioni, anche il nostro accademico dei Lincei, (e devo dire che se mi avventurassi in giudizi sui cromosomi telocentrici le mie argomentazioni sarebbero un altrettanto facile bersaglio per lui) ma sarebbe bello ogni tanto vedere pubblicate anche altre opinioni e non sempre le stesse. In un paese dove le aule scolastiche, dalle elementari fino all’Università, vengono usate per fare politica, dove il predicozzo parte senza contradditorio in ogni occasione, dal concerto alla sfilata, dal film all’omelia, dallo show alla recensione, ricordiamo che la cultura è prima di tutto confronto e non indottrinamento.

P.S.
A chi si autoproclama produttore di cultura non resta, per concludere, ricordare che un vero rappresentante di questa categoria non reputò necessario vantare i propri meriti artistici, ma il proprio valore in battaglia e chiese che sulla propria tomba si scrivesse semplicemente:

Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela produttrice di grano, questo monumento ricopre: il bosco di Maratona potrebbe raccontare il suo glorioso valore, e il Medo dalle lunghe chiome, che lo conosce.

lunedì 22 novembre 2010

Chi erano i Kuruzoc? Google non lo sa!


Chi erano i Kuruzoc? Google non lo sa! E questa già è una notizia, perché oggi non c’è praticamente parola, per quanto strana, della quale non si riesca ad avere notizie in internet. La curiosità di questa ricerca mi è venuta vedendo la legenda della cartina, infatti in alto a destra si vede scritto: “incursioni dei Kuruzoc” e “trincea contro i Kuruzoc”.
Non ne avevo mai sentito parlare, ma ero certo che la Rete mi avrebbe aiutato… e invece niente! Digitando la parola non esce nulla di pertinente in nessuna lingua. Ho provato a cambiare qualche vocale, qualche consonante, a scrivere le sillabe staccate: nessuna notizia dei Kuruzoc.

Mi ero già praticamente rassegnato quando, con una ulteriore serie di ricerche basate sugli eventi salienti del periodo, sono finalmente giunto ad una conclusione: Kuruzoc (sempre che non sia un errore di stampa o di traduzione) è il nome ribelli Ungheresi che combatterono contro gli Asburgo, nella fattispecie in particolare quelli che diedero vita alla rivolta negli anni tra il 1703 ed il 1711. Sono comunemente chiamati Kurucs. In nessuna fonte che ho trovato vengono accostati al nome “Kuruzoc”, né quest’ultimo è mai menzionato, ma tutto fa pensare siano la stessa cosa.

lunedì 18 ottobre 2010

Consumismo contro Capitalismo

Il periodo di crisi economica che stiamo vivendo ha molte conseguenze, tra le quali un aumento degli esperti economisti che dall’ultimo blog fino ai più alti livelli istituzionali, paventano (…e spesso auspicano) la fine del “Consumismo Capitalista”, talvolta definito “Capitalismo Consumistico”.

Peccato che tutti quanti usino questi due ossimori senza rendersi conto di avere le idee confuse fin dalle definizioni.

Capitalismo è l’accumulazione di beni capitali, che conduce nel tempo ad una maggiore capacità produttiva. Capitalista d’altro canto è il proprietari dei beni capitali o beni di produzione.
Consumismo, può avere molti significati, ma comunque riconducibili ad un eccesso di acquisti di beni finali. Il consumatore diventa tale nel momento in cui usa il proprio reddito per acquistare un bene prodotto.

Dovrebbe essere evidente che l’eccesso dell’aspetto Consumo va a discapito del Capitale erodendolo. I beni capitali, che siano macchinari o immobili, si usurano dopo un certo numero di anni vanno sostituiti, se ogni anno non si risparmia una parte del reddito per questo scopo alla fine non si può produrre un bel niente.
Quindi “Consumismo Capitalistico” è una contraddizione in termini.

Che poi i miglioramenti tecnologici degli ultimi due secoli, unitamente a determinate condizioni sociali e giuridiche, abbiamo portato ad una disponibilità di beni enormemente superiore al passato non fa venir meno la contraddizione. Consumare tutto ciò che si è prodotto erode il Capitale, risparmiarne una parte è invece il presupposto per mantenerlo ed accrescerlo.

Certo, subissati dai media che ripetono il mantra circa “stimolare i consumi”, si è indotti a credere il contrario, ma è sufficiente riflettere un attimo per capire che prima di consumare bisogna produrre e per produrre ci vogliono i mezzi di produzione. Se mi mangio tutto il grano prodotto, non avrò nulla da seminare per l’anno nuovo. Del resto, come ho scritto altre volte, gli Stati Uniti hanno conosciuto in questi anni una percentuale di consumi addirittura superiore al reddito e questo non solo non ha evitato la crisi ma ne ha costituito un presupposto.

Eppure la pervicace convinzione che il consumismo sia la molla della crescita economica pervade i media in ogni occasione, dai disastri naturali che secondo i commentatori di turno fanno aumentare il PIL, ai filosofi del “far girare i soldi”…. ma in fondo il problema non è farli girare, ma quale direzione (leggi tasche) fargli prendere!

giovedì 14 ottobre 2010

Non c'è più il Vaticano di una volta.

Sono stato un paio di giorni a Roma e ne ho approfittato per fare una visita alle catacombe.
Un cartello posto all’ingresso avverte che si sta entrando in proprietà privata, la zona infatti è di proprietà del Vaticano.
Le guide dei vari gruppi sono tutti preti. Cito, in ordine sparso, alcune delle affermazioni della nostra guida:
le catacombe sono state saccheggiate da Goti, Vandali e Longobardi, perché siccome il centro di Roma era inespugnabile, hanno dovuto ripiegare su quello che si trovava fuori le mura (e Alarico? e Genserico?...).
Secondo lui poi le iscrizioni che troviamo all’interno delle catacombe sono in greco, perché a Roma si parlava greco! Quindi, viste le insegne dei ristoranti, traggo la conclusione che oggi a Roma si parla cinese.
All’inizio ci spiega che, contrariamente a quello che si crede, i cristiani non andavano sottoterra per nascondersi, ma solo per pregare e seppellire i morti, poco dopo dice che le catacombe smettono di essere usate a seguito dell’Editto di Costantino che concedeva loro la libertà di culto….
Sibillino afferma che i cristiani seppellivano nelle catacombe anche i bambini pagani, lasciando intendere che questi ultimi non lo facevano, però io, leggendo Seneca, avevo inteso diversamente .
Più volte viene ribadito che le amene scene campestri rappresentano il Paradiso, perché il Paradiso era inteso come un luogo bello, però non ho capito perché sottolineare questa cosa, come se non fosse di logica immediata: mica puoi rappresentare il Paradiso come un letamaio.
Mi è sembrata un po’ debole anche la dissertazione teologica, quando afferma che all’epoca i credentisi potevano definire cristiani senza ulteriori specificazioni, perché c’era solo una cristianità, invece oggi c’è la divisione con protestanti e ortodossi (a me pare invece che nei primi secoli la cristianità fosse parecchio divisa….).
Penso possa bastare per fare qualche riflessione: il prete in questione era simpatico, molto garbato, amorevole, sorridente, a modo, appariva sinceramente emozionato nel raccontare innumerevoli storie di martiri e poi ha anche ammesso di non essere molto preparato dal punto di vista storico, però non mi sembrava proprio il ruolo migliore dove metterlo, mi sorge quindi una perplessità cui non riesco a rispondere, infatti il Vaticano da fuori appare come un’organizzazione ferrea, tetragona, organizzata, che passa indenne attraverso i secoli; mi immagino che non sia un posto com’era la naja, dove funzionava così: “tu, che mestiere fai?” “il cuoco” “allora vai in officina”, “tu, invece?” “io faccio il muratore” “ok vai in cucina”. Oltretutto il prete me lo immagino studioso, anche perché ha meno distrazioni delle altre persone, cioè se uno ha la vocazione ma non vuol studiare può fare il missionario, ma se fai il pastore di anime devi saperne più del gregge….
Saranno forse a corto di preti, oppure la storia non è materia molto approfondita in seminario, chissà, comunque l’impressione è che non c’è più il Vaticano di una volta….

mercoledì 15 settembre 2010

15 settembre. 60 anni fa la Battaglia di Incheon.

Oggi è il sessantesimo anniversario della battaglia più famosa della Guerra di Corea: la Battaglia di Incheon o, per dirla con il suo nome in codice l’Operazione Chromite.

La situazione sul campo vedeva le forze comuniste del nord occupare quasi tutta la penisola coreana, dopo l’invasione iniziata il 25 giugno, con l’eccezione di una piccola area nel sud est del paese, intorno a Busan, dove erano attestate le forze americane. In questo contesto il generale Douglas MacArthur, comandante supremo delle forze ONU incaricate di respingere le forze nordcoreane, concepì l’idea di sbarcare presso Incheon, prendere il porto e utilizzarlo come testa di ponte per un’armata che tagliasse in due le forze nemiche.




L’idea era decisamente audace, per non dire avventata, e come tale avversata dagli alti comandi delle forze USA. I motivi per considerare uno sbarco a Incheon un azzardo erano molti: il porto era fortificato, l’accesso obbligato è attraverso un piccolo canale (Flying Fish Channel) facilmente difendibile, il rifluire della marea impedisce l’accesso alle navi durante buona parte del giorno,




la presenza di alte dighe foranee, senza considerare che la zona si trova dalla parte opposta a Busan, inoltre in quei primi giorni di settembre due tifoni avevano rallentato significativamente le operazioni navali tra Giappone e Corea. Insomma difese naturali ed artificiali facevano considerare la zona imprendibile, così la pensavano anche i Nordcoreani e quindi la sorpresa ebbe successo.

I fatti: all’alba del 15 settembre i marines al comando di Arthur Dewey Struble sbarcano sulla “Green Beach” nel nord dell’isoletta di Wolmi-Do e riescono a sopraffare le forze presenti che non si aspettavano un attacco in forze. I marines si mettono in posizione difensiva perché devono resistere 12 ore prima che l’alta marea consenta lo sbarco dei rinforzi.
L’operazione viene portata avanti con due altri sbarchi nelle spiagge denominate “Blue Beach” e “Red Beach”.






Quel primo giorno 13.000 uomini presero possesso della zona ed insieme a quelli che li seguiranno riusciranno a tagliare le linee di comunicazione del nemico ed a riprendere la vicina Seul occupata dai comunisti. Parte delle forze che assediavano Busan furono costrette ad intervenire alleggerendo la pressione sulle truppe ONU che poterono così cominciare a riconquistare territorio marciando verso nord.

Come giudicare l’operazione? E’ stata solo la fortuna ad aiutare MacArthur ed è stato solo il suo ego smisurato a voler andare contro un prudente buonsenso?
Non si può dare una risposta definitiva, certo è che, pur se rischiosa, l’operazione aveva una sua razionalità: gli stessi uomini e mezzi impiegati all’interno del perimetro circondato di Busan non avrebbero avuto lo stesso impatto sul nemico, l’inverno era vicino e per ribaltare la situazione in poco tempo bisognava guadagnare terreno e spiazzare le forze nemiche, cosa che solo uno sbarco in profondità alle spalle poteva conseguire. Probabilmente il generale cercava anche un colpo ad effetto per risollevare il morale delle forze anticomuniste che non poteva essere più depresso.

Il giorno dopo, in una comunicazione al presidente Truman, il generale Frank Lowe, consulente militare alla presidenza scrive “Sono stato testimone di un miracolo, niente di meno”… tanto per capire lo stato d’animo in quelle ore.

Dobbiamo considerare che l’operazione è stata messa in piedi in poche settimane, senza satelliti, raccogliendo forze eterogenee, alcune dalla sacca di Busan, altre fatte arrivare dal Giappone, da questo punto di vista quindi la fama mi sembra giustificata.

Dopo la Battaglia di Incheon la guerra è durata altri tre anni, fino al cessate il fuoco provvisorio che dura tutt’oggi. Il paese diviso ha conosciuto due destini completamente diversi, in un equilibrio che risulta difficile da spezzare: la presenza del regime al nord giustifica la presenza di un’imponente forza americana nell’Asia nord orientale, obbliga Corea del Sud e Giappone ad una vicinanza non conflittuale; dal canto suo la Cina preferisce avere un confinante dove ha voce in capitolo, piuttosto che una Corea riunificata alleata agli Stati Uniti. La Corea del Sud non vuole la guerra, è un paese ricco che avrebbe molto da perdere, inoltre Seul è abbastanza vicina al confine da essere sotto il tiro dei nordcoreani; nelle poche settimane necessarie ad abbattere il regime del nord, quest’ultimo potrebbe fare abbastanza danni da scoraggiare il tentativo. Insomma la Corea del Nord sa che gli è sufficiente non tirare troppo la corda per sopravvivere ancora, salvo lotte intestine di successione o una carestia così grave da non poter essere superata nemmeno con l’aiuto dei “nemici”.
Ma di queste cose possiamo occuparci altri giorni, oggi limitiamoci a ricordare quelli che sulle coste di Incheon hanno lasciato la vita.

mercoledì 4 agosto 2010

Libri

vado avanti con i voti ai libri che ho letto, in questa infornata ci sono diversi 5 stelle:

Ernesto Roli - La caduta dell'Impero Ittita e la Guerra di Troia ***
Warren Treadgold - Bisanzio e il suo esercito 284-1081 ***
Andrea Frediani - I grandi generali di Roma Antica ***
Francesco Carbone - Prevedibile e inevitabile *****
Alessandro Montosi - Ufo Robot Goldrake - Storia di un erooe nell'Italia degli anni ottanta *****
Niccolò Machiavelli - Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio ****
Flavio Claudio Giuliano - Uomini e Dei ****
George Dumezil - Gli Dei dei Germani ***
Mircea Eliade - Trattato di storia delle religioni ****
Cormac Mc Carthy - La strada ****
Andy Mc Nab - Fuoco di copertura ***
Robert Howard - Conan il Conquistatore **
Pietrangelo Buttafuoco - Le uova del drago ***
Giocchino Volpe - Medio Evo italiano ***
Ida Magli - Omaggio agli Italiani ***
Bianca Maria Giannatasio - I Liguri e la Liguria **
Giordano Bruno Guerri - Filippo Tommaso Marinetti *****
Daithi O Hogan - L'isola sacra **
Murray Rothbard - Contro Adam Smith ****
Claudio Rendina - I capitani di Ventura ***

domenica 25 luglio 2010

"La guerra dopo la guerra" di Fabio Mini

Il sottotitolo “Soldati, burocrati e mercenari nell’epoca della pace virtuale” dice molto sull’oggetto del libro e ne costituisce il motivo di interesse. Che cosa è oggi la guerra, come si sviluppa e dove porta? Mi sembra un argomento cruciale soprattutto in Italia dove la discussione si ferma al fatto se quella in Afghanistan è una guerra oppure no. Come se mettere un’etichetta, una definizione potesse per magia cambiare ciò che avviene sul campo. Secondo i criteri classici del XX secolo non è una guerra, considerando che uno scontro frontale con la NATO è impossibile direi che quella è certamente una guerra. Dove i nostri soldati stanno facendo egregiamente il proprio dovere e sarebbe bello che venisse riconosciuto loro, se poi la nostra Costituzione vieta il genere di missione che stanno compiendo, non saprei giudicare, certo sarebbe una ragione in più per aggiornare la nostra Legge Fondamentale.
La partenza del libro è stata abbastanza choc perché praticamente la penso in modo diametralmente opposto su ogni concetto espresso nell’introduzione. Si parla in modo discutibile di imperialismo, quando credo che semplicemente e concretamente avviene che in ogni epoca qualche paese o gruppo esprime una superiorità militare, tecnologica, economica, scientifica o anche di pensiero, questa superiorità finisce per tracimare i confini nazionali e va inevitabilmente ad influenzare i paesi vicini e lontani. Questo prescindere dalla volontà di potenza del popolo o delle classi dirigenti che esprimono queste superiorità. In ogni caso serve a poco stigmatizzare un imperialismo (in questo caso americano) se la valutazione prescinde dalle alternative espresse in un dato momento a livello mondiale, insomma possiamo forse davvero compiacerci del fatto che la Birmania viene lasciata nella sfera di influenza cinese?
Anche dal punto di vista economico gli argomenti addotti mi sembrano più dichiarazioni di principio che vere e proprie analisi. Abbastanza curioso il passaggio in cui, dopo aver tinteggiato a tinte fosche i liberi mercati, afferma che “la legge del libero mercato e della libera competizione non ha senso se sul mercato esiste uno più forte di tutti o uno più competitivo perché appoggiato da un sistema di privilegi”, ma, dico io, è certo che è proprio così, quando uno ha dei privilegi rispetto agli altri il mercato non è libero, quindi l’esempio portato smentisce proprio la tesi che voleva dimostrare! Forse l’autore voleva stigmatizzare l’ipocrisia dei politici che a parole fanno i paladini del mercato e poi vanno in direzione opposta, ma dalle pagine precedenti non sembrerebbe.
Molto discutibile anche mescolare colonialismo e terrorismo, d’altra parte nel XIX secolo praticamente tutto il mondo era un dominio coloniale europeo, quindi qualunque fenomeno descriviamo può essere sovrapposto geograficamente a quei domini; peraltro uno dei concetti più interessanti del libro è quello della motivazione al combattimento, per cui in certe circostanze l’obiettivo della guerra è semplicemente la guerra stessa. Mi sembra che questa definizione calzi bene su molti militanti islamici, per i quali fare la guerra è già una finalità in sé che non richiede il raggiungimento di obiettivi politici. Basti ricordare gli adolescenti iraniani che correvano verso le trincee dell’Iraq per raggiungere il martirio; i responsabili della Repubblica Islamica dovettero moderare il loro indottrinamento convincendo i ragazzi del fatto che prima di raggiungere le vergini in paradiso sarebbe stato opportuno far fuori qualche nemico. Quindi presentare il terrorismo come risposta all’imperialismo mi sembra discutibile, più ragionevole vederla come risposta asimmetrica dovuta alla sproporzione di forze in una guerra convenzionale.
Quando poi dai discorsi molto astratti e di sistema si passa ad analisi più operative e militari mi trovo più vicino a quanto espresso dal generale Mini. Interessante e derivata dalla sua esperienza sul campo la parte relativa al fatto che oggi non ci sono più occupazioni militari, appena cacciato il nemico subentrano l’ONU, personaggi locali, civili di varia estrazione, creando i presupposti per instabilità e crisi a tempo indeterminato.
Molto bello il capitolo intitolato “Elogio del guerriero” in cui si afferma tra l’altro che “per essere guerrieri bisogna occorre una particolare cultura che porti il combattente a essere consapevole di poter uccidere e di rischiare di morire; inoltre i guerrieri non si limitato a uccidere e morire: devono decidere se uccidere o non uccidere e badare alla propria sopravvivenza… la decisione di uccidere o non uccidere sono responsabilità di ciascun guerriero. La guerra alla quale sono chiamati i militari può cambiare di nome, ma non di sostanza. Le stesse operazioni di pace o quelle definite diverse dalla guerra, se richiedono l’uso delle armi e della forza presentano tutti i rischi della guerra. Eliminare i guerrieri nella presunzione che la guerra in senso tradizionale sia finita, significa ignorare la realtà, fingere e non disporre più di un elemento culturale prima che operativo, che ha un rapporto etico e tecnico ben definito e prevedibile con la guerra, con la pace, con la morte e con il potenziale avversario o alleato, qualsiasi snaturazione dell’identità del guerrieri porta alla snaturazione del rapporto tra uomo e guerra e quest’ultima viene poi fatta lo stesso, ma con altre regole e da persone con motivazioni e riferimenti etici diversi o imprevedibili e, per questo, pericolose ”…”Tra gli uomini i Guerrieri sono persone normali. Non necessariamente appartengono agli eserciti. Ci sono guerrieri tra i civili e le forze dell’ordine. Sono uomini normali che hanno una missione da compiere che condividono un compito da portare a termine, che ritengono accettabile. Sono uomini normali che sono coscienti dei rischi e dei mezzi a disposizione. I guerrieri sono fatti per la guerra. Qualunque guerra. A differenza dei non-guerrieri, dei tecnocrati e dei burocrati che comunque possono essere coinvolti nelle guerre, essi sanno benissimo che prendendo parte alla guerra, essi hanno assunto il rischio di uccidere e di morire”.

domenica 11 luglio 2010

Il libero mercato non funziona

Nelle discussioni sui massimi sistemi, coloro che avversano il libero mercato inevitabilmente giungono alla frase per cui il mercato non funziona, i danni sono sotto gli occhi di tutti e la mano invisibile non esiste.
Da queste affermazioni deduciamo che gli statalisti non hanno capito alcune semplici cose:

1 - i mercati, comunque li vogliate definire, non sono mai in equilibrio, non c’è equilibrio tra domanda ed offerta, non vi sono prezzi di equilibrio, la stabilità non c’è mai stata nel passato, non c’è nel presente e non ci sarà nel futuro.

2 – i mercati producono ed allocano risorse. Beni, servizi, risparmi, debiti e così via. Lo fanno in modo efficiente? A volte sì, a volte no, comunque mai in modo perfetto e comunque ogni soggetto coinvolto in questi processi ha una propria idea personale diversa dagli altri su cosa sia l’allocazione perfetta delle risorse.

Perché questo accade?
Perché quello che noi chiamiamo mercato è la somma dei comportamenti individuali di tutti gli abitanti della Terra. E siccome gli esseri umani sbagliano, perseguono uno scopo ma provocano l’effetto opposto, cambiano idea, insomma sono imperfetti, è ovvio che anche i mercati “sbaglino”.
Cioè distruggono ricchezza invece di crearla.

Il problema è che l’intervento dello Stato può solo peggiorare le cose.
Ed è semplice da comprendere: ognuno di noi nell’arco di una giornata compie moltissime decisioni economiche, ad esempio se lavorare tanto o poco, o licenziarsi, se un cliente è affidabile oppure no, dove comprare, cosa comprare, oppure regalare o risparmiare, investire o piantare l’insalata sul terrazzo, stare in affitto o vivere in roulotte, accendere la luce o le candele. Da queste miliardi di scelte scaturisce il risultato dei mercati.
Se incarichiamo il Governo di sostituirci in queste scelte al fine di raggiungere un risultato migliore, allora i componenti del Governo, oltre ad essere animati da buone intenzioni… dovrebbero avere capacità sovraumane!

A questo piccolo problema aggiungiamo che il fatto di creare sovrastrutture di intervento statale, ha dei costi e che l’esperienza ci dice che i soldi dati in mano ai politici ci rendono molto meno di quelli che gestiamo direttamente. Infatti, tante famiglie con mille euro ci vivono, un Comune magari ci paga a malapena i fazzoletti di carta per asciugarsi le lacrime (di coccodrillo). Perché invariabilmente quello che acquista lo Stato, o peggio il parastato costa sempre di più.

Il fatto che i mercati sono instabili, costituisce un punto di forza, perché c’è un processo continuo di correzione degli errori. I mercati tendono ad autolimitarsi. Facciamo un esempio concreto: se troppi imprenditori credono in un prodotto, vi sarà o una discesa di prezzo oppure dell’invenduto e qualcuno dovrà uscire, se però interviene lo Stato l’errore si perpetua (vedi automobili), l’intervento crea aspettative, distorce le valutazioni e spesso blocca l’evoluzione di prodotto e di processo; oppure ipotizziamo che un istituto faccia dei mutui a chi non li può pagare, quando qualcuno se ne accorge, i tassi salgono ed il fenomeno si arresta, se però il tasso di interesse non si forma su un libero mercato, ma è imposto di autorità, il fenomeno si può continuare a gonfiare, fino a rendere fallite le banche (vedi: tutti i quotidiani degli ultimi 3 anni).

Il libero mercato è dunque il peggior modo di creare ricchezza, se si escludono tutti gli altri!

PS. Ho ragionato a prescindere da due non trascurabili corollari:

1- Attualmente siamo lontani come non mai da qualunque concetto di libero mercato, la politica interviene in una parte sproporzionatamente grande dell’economia, in altre parole se non è socialismo quando più della metà della ricchezza nazionale passa per lo Stato… a quanto dobbiamo arrivare per definirlo tale, forse al 99%? …beh quello è marxismo.

2- C’è un piccolo cortocircuito logico nel ragionamento statalista per cui io non sono in grado di badare a me stesso, ma ho bisogno di qualcuno che pensi al mio benessere; nello stesso tempo però sono abbastanza intelligente e capace da poter scegliere correttamente quel qualcuno, eleggendolo!

domenica 30 maggio 2010

La pagella al Governo

Dopo 2 anni di lavoro possiamo dare un po’ di voti:


ECONOMIA: i parlamentari di ogni epoca sono assetati di sussidi e aver evitato l’assalto alla diligenza in occasioni delle leggi di bilancio deve essere stata una faticaccia apprezzabile. Però non è sufficiente, le attività economiche che reggono in piedi l’Italia hanno bisogno di ossigeno, il Governo non è riuscito a promuovere, e non ne ha nemmeno l’intenzione, politiche in grado di farci esprimere tutte le nostre potenzialità. L’Italia ha retto meglio di altri solo perché non ha dovuto salvare le banche, poi grazie agli italiani che conservano un’alta propensione al risparmio ed al fatto che il settore privato è meno indebitato rispetto all’estero, nulla di questo dipende dall’azione dello Stato. Nel campo dell’occupazione una mini riforma sull’arbitrato, nessuna idea e nessuna voglia di superare l’assetto attuale dei rapporti di lavoro, per il resto non ci sono state liberalizzazioni significative, non c’è stata diminuzione della spesa pubblica, né della pressione fiscale. Il declino del paese è innegabile, gli Italiani sono sempre meno e più poveri, si è promessa la rivoluzione, la rinascita, abbiamo avuto storie da basso impero. VOTO 5.

ESTERI: la miscela italiana di idealismo e realismo è a volte poco comprensibile, capisco dover blandire il libico, mi risulta più difficile comprendere il bielorusso, però apprezzo il fatto che non ci si nasconde dietro ad un dito, in fondo non siamo una superpotenza e non possiamo fare guerra al mondo, inoltre rispetto alle altre democrazie facciamo alla luce del sole quello che gli altri fanno nel sottoscala. Sorprende positivamente l’appoggio esplicito ad Israele, pur mantenendo una giusta autonomia di giudizio, posizione piuttosto isolata nel panorama europeo e la fermezza nella lotta in Afghanistan. VOTO 6.

DIFESA: la classe politica è molto lontana dal mondo militare, dalle sue logiche, dalla sua etica. Il Governo non è riuscito a promuovere una modernizzazione delle Forze Armate, non ha una visione chiara di come riformarle e migliorarle, si approfitta del fatto che i militari non scioperano e non protestano, non fanno colpi di Stato e quindi vengono adoperati per gli scopi più disparati. L’impegno all’estero è sovradimensionato rispetto alle nostre possibilità, dispersivo e talvolta ambiguo. La mini naja non è lo strumento sufficiente a perseguire gli scopi, condivisibili, che si prefigge. In un’epoca in cui lo Stato si vuole occupare di ogni cosa, di ogni aspetto della nostra vita e quindi spende e spande a piene mani, l’unico settore dove si mostra avaro è la Difesa, curiosamente una delle sue funzioni esclusive. VOTO 5.

SICUREZZA: qualche operazione di facciata ma di scarso impatto come le ronde e i militari in strada, qualche intervento energico ma in ritardo, i risultati migliori arrivano dalla cattura dei latitanti, funzione per la quale evidentemente esiste una struttura professionale ed efficiente; in generale si intuisce uno sforzo notevole di intelligence ed una certa volontà di mostrare discontinuità con il passato. VOTO 6.

ENERGIA: di solito i Governi vanno controcorrente solo quando non possono farne a meno. L’unica materia dove il Governo ha preso una posizione coraggiosa, mettendosi contro l’opinione pubblica riguarda le centrali nucleari. Non so se ne vedremo mai una funzionante, però aver sfidato l’allergia italiana verso la tecnologia e la scienza merita un bel VOTO 7.

ISTRUZIONE: i passi fatti vanno nella giusta direzione, non sono sufficienti ed il traguardo è lontano ma almeno qualcosa si è mosso. VOTO 7.

GIUSTIZIA: resta uno dei settori più inefficienti del paese ed una delle sue cause di arretratezza, i magistrati nascondono le proprie inadeguatezze dietro le icone degli eroi morti, il Governo non ha la forza né l’autorità per sanare la situazione. VOTO 5.

lunedì 10 maggio 2010

La risposta europea peggiorerà la crisi e aiuta la speculazione

C’erano una volta dei padri di famiglia che avevano dei pollai con cui nutrire i propri figli. Si sa però che le galline non sono eterne, ogni tanto bisogna fare in modo che qualche uovo diventi gallina in modo da sostituire quelle che muoiono; purtroppo i padri di famiglia consumavano tutte le uova e siccome non ne avevano abbastanza, ne prendevano a prestito delle altre per consumarne ancora di più. Un bel giorno uno di questi padri, che chiameremo Elleno, rimase con una sola gallina e si rese conto che le uova della gallina non gli bastavano e neppure poteva restituire le uova che aveva preso a prestito. Gli altri padri di famiglia avevano qualche gallina in più di Elleno, ma non molte, perché da molti anni non sostituivano quelle che morivano, ma preferivano mangiarsi tutte le uova. Quindi gli altri padri di famiglia non hanno le uova per aiutare Elleno ma fanno finta di sì, facendo pure la predica al povero Elleno ed imponendogli di fare tutte quelle cose che loro non hanno la forza di fare: risparmiare qualche uovo per avere la gallina domani.

Le decisioni prese non salveranno l’Euro, ancora una volta si è scelto l’uovo oggi, ma l’unico modo di salvare l’Euro e il nostro futuro è smettere di indebitarsi e smettere di stampare moneta. Le perdite che abbiamo oggi non si possono eludere: qualcuno dovrà pagare il conto, più le rinviamo più diventano grandi, lo so è triste, sarebbe bello credere che non sia così, ma purtroppo le uova sono già state mangiate!

Ho letto che le misure metteranno un freno alla speculazione. Perché secondo voi una borsa che fa -10% è speculazione mentre una che fa +10% non lo è? O forse mi vengono a dire che quelli che oggi hanno operato (e guadagnato) davanti ai terminal non sono gli stessi che venerdì operavano e guadagnavano. Per piacere non insultiamo così spudoratamente il buon senso.

Esiste solo un meccanismo antispeculazione che funziona: spendere i soldi che ci sono e non coprire le perdite indebitandosi. In questo modo nessuna speculazione è possibile sui Titoli di Stato e sulla valuta. Nessun politico vuole però rinunciare alla possibilità di spendere oggi quello che lo Stato incasserà negli anni futuri e quindi continueremo a peggiorare la situazione. Le misure prese dall’Europa servono solo a rinviare nel futuro la resa dei conti ed a impoverirci tutti, perché l’acquisto da parte della BCE dei Titoli di Stato è un modo di monetizzare il debito, anche perché con in conti in disordine non sarà possibile alcuna sterilizzazione, in parole povere ancora una volta, esattamente come negli ultimi decenni, pagheranno lavoratori e imprese, continuando a perdere potere d’acquisto.
ATTENZIONE! NOTA BENE: quando parlano di stimoli monetari o fiscali e sparano cifre di miliardi di Euro dicono di farlo per aiutare l’Economia, ma è falso. Stanno solo aiutando le banche ed i propri amici. Se ci volessero aiutare, quei soldi li metterebbero a disposizione sui nostri conti correnti, per quale ragione farli transitare dalle banche o fare lavori pubblici? Se un lavoro pubblico è utile, e si hanno le risorse, ha senso farlo; invece se si decide di farlo per stimolare allora è una scusa per prendere i soldi ai contribuenti (cioè imprese e lavoratori, cioè quelli che si vorrebbe aiutare!) e darli a qualcun altro.
In alcuni dialetti italiani c’è un proverbio che dice “la toppa è peggio del buco”, in genovese c’è un’unica parola per esprimere il concetto: tappullo, cioè una riparazione che durerà sì e no 5 minuti, ecco queste sono le misure prese. Chi urla contro la speculazione, Capi di Stato inclusi, se è convinto di quello che dice dovrebbe acquistare titoli di Stato greci ed il problema sarebbe risolto.

Ho scritto abbastanza, rinvio quindi la dimostrazione che gli squilibri all’interno dell’area Euro e la mancanza di unità politica sono falsi problemi, tanto, potete scommetterci, avrò molte altre occasioni per scriverne.

martedì 27 aprile 2010

I pollici di Alonso e le banalità dei giornali

Alonso si è assicurato i pollici x 10 milioni di euro, grazie ad un prodotto innovativo di una nota banca europea! Adesso vi do una notizia io: milioni di italiani hanno i pollici assicurati, senza bisogno di alcun prodotto innovativo (è sufficiente essere coperti dall’INAIL). Capisco che le sponsorizzazioni sono care e bisogna sfruttarle per farsi pubblicità, ma perché i giornali si prestano al giochino in modo così piatto? Se ti sembra una notizia degna di nota fai la fatica di approfondire: dimmi almeno quanto ha pagato di premio assicurativo! Così mi faccio un’idea se ne valeva la pena oppure no. Sparano la cifra con i milioni per catturare l’attenzione, ma vi sembra una notizia? Cioè, voglio dire, secondo voi Alonso si doveva assicurare i pollici per 100 euro? Ecco quella sarebbe stata una notizia, perché significherebbe che Alonso è rincretinito, ma che si assicuri per 10 milioni, che sarà nell’ordine di grandezza di quello che guadagna ogni anno mi sembra normale, logico, di buon senso. Pure io se riuscissi a risparmiare qualcosa mi farei una polizza infortuni. So bene che il 90% di chi ha letto la notizia si taglierebbe subito il pollice in cambio di un tale indennizzo, ma parliamo di banche, mica di fessi….