sabato 29 dicembre 2012
Perchè Monti è "invotabile"
martedì 18 dicembre 2012
La Costituzione più bella del mondo e il comico dei luoghi comuni
martedì 11 dicembre 2012
La redistribuzione del reddito è un'illusione
giovedì 6 dicembre 2012
Stanno risolvendo la crisi???
PS ...e scommettiamo che per salvare il Monte dei Paschi di Siena non faranno come consigliato nel video?
giovedì 15 novembre 2012
I sindacati dovrebbero scioperare contro se stessi
lunedì 29 ottobre 2012
Voto ai libri
lunedì 8 ottobre 2012
Perchè Confindustria è contro il libero mercato
lunedì 2 luglio 2012
2 luglio 1993 attacco agli italiani
mercoledì 23 maggio 2012
La memoria tradita di Falcone e Borsellino
martedì 8 maggio 2012
Qualcosa è cambiato. Tutto è possibile.
venerdì 4 maggio 2012
Scuola Diaz, il massacro degli utili idioti
domenica 29 aprile 2012
Il mio voto a questi libri
domenica 22 aprile 2012
22 aprile 1970 Operazione Okean
Il 22 aprile 1970 in occasione del centenario della nascita di Lenin iniziò l’operazione Okean, che si concluderà il mese successivo.
L’operazione Okean fu la più grande esercitazione navale mai condotta dall’Unione Sovietica e la più grande mobilitazione di una marina militare dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Si svolse contemporaneamente nell’Atlantico, nel Baltico, nel Mediterraneo e nel Pacifico coinvolgendo oltre 200 navi, sottomarini e forze aeree partite dalle basi terrestri. Furono simulati attacchi a flotte nemiche, dispiegamento di forze, operazioni anti sommergibili, sbarchi.
L’URSS pur avendo ben cinque flotte ed essendo attivamente presente nei Caraibi e nell’Oceano Indiano, resterà sempre una potenza più orientata sulle forze terrestri e corazzate in particolare. La politica di espansione che vedeva nel Terzo Mondo il nuovo campo di confronto con gli USA imponeva però l’ampliamento delle capacità navali. Ma forse c’erano altre ragioni, come sempre le dimostrazioni di forza possono essere lette in molti modi: era diretta ad impressionare la NATO? O forse doveva rassicurare i nuovi alleati, oppure minacciare i vecchi. In Europa gli alleati del Patto di Varsavia non potevano sfuggire alla forza dell’Armata Rossa, tra l’altro eccetto la Bulgaria e la DDR erano tutti direttamente confinanti con l’URSS, mentre dove non vi era continuità territoriale le cose erano un po’ diverse e ci poteva essere la tentazione di avere una politica più autonoma.
Al contrario gli Stati Uniti, non avendo nemici ai confini terrestri, hanno sempre dato la priorità alle forze navali che dovevano difendere il paese, mantenere libere le rotte di comunicazione con gli alleati durante i conflitti mondiali e proiettarne la potenza.
Uno scontro convenzionale e nello stesso tempo asimmetrico: preponderanza di forze terrestri da una parte, navale dall’altra, che non vide mai la luce, bloccato dall’equilibrio del terrore atomico.
lunedì 16 aprile 2012
L'ha scritto wikipedia... però è sbagliato
La rubrica sugli errori di wikipedia è tra le preferite dei miei lettori e quindi colgo l’occasione per aggiungere un altro capitolo. Questa volta la voce incriminata è “San Bernardo”, non il santo, ma il cane. Come si vede nell’immagine scrivono testualmente: “nessun altra razza canina può raggiungere il peso del San Bernardo (fino a 90/100 kg nei grandi maschi)”. Appena finito di leggere la frase mi sono subito venute in mente 3 o 4 razze che sicuramente possono arrivare a quel peso. La cosa buffa è che la stessa wikipedia si autosmentisce perché nella scheda del Mastiff scrive: “peso ideale maschio: 90/115 kg” e descrive il Mastino Spagnolo così: “con un peso che supera i 110 kg” !!!
Secondo me anche nel Mastino dei Pirenei non è raro che si possa arrivare al quintale di peso.
Ci sono poi altre razze che normalmente pesano meno, ma che in qualche raro soggetto possono arrivare ai 90 kg: il Mastino Napoletano, il Leonberger, il Cane da Montagna dei Pirenei, l’Alano….
giovedì 12 aprile 2012
Corruzione, inchieste...bla, bla, bla: questo è il sistema
I migliori alleati dei corrotti spesso sono proprio quelli che si scandalizzano e poi lottano per non cambiare niente. Facciamo un semplice conto della serva: lo Stato spende circa 700 miliardi di euro all’anno, sono soldi sostanzialmente gestiti dai politici. Supponiamo di vivere in un paese estremamente virtuoso dove il 99% delle operazioni avviene onestamente, significa che ogni anno 7 miliardi vanno in tasca ai corrotti. 7 miliardi di euro!!! Una cifra comunque spaventosa e pensare che la realtà è certamente peggiore: secondo le stime della Corte dei Conti la cifra si aggira sui 60 miliardi. Sia come sia da questo si capiscono già alcune cose:
- Quello che è emerso dalle inchieste degli ultimi vent’anni è una piccolissima parte del fenomeno, praticamente ne beccano uno su mille se va bene. Quindi di cosa ci indigniamo? Non so quale sia il criterio con cui i magistrati beccano quell’uno su mille, oppure lo so e sorvolo, ma cambia poco: per come è concepito, il sistema produce corruzione. Piercamillo Davigo, uno dei magistrati del pool di Milano che fece Mani Pulite ha dichiarato che nelle regioni italiane dove non ci sono condanne per corruzione vuol dire che la corruzione è molto più diffusa! Infatti significa che il sistema è talmente condiviso a tutti i livelli da risultare chiuso alle inchieste, un funzionamento senza sbavature. E’ evidente, aggiungo io, che anche parte della magistratura è connivente e quindi possiamo fare tutte le leggi che vogliamo senza che le cose cambino.
- La spesa pubblica va ridotta, ma soprattutto va concepita in modo diverso, sono ripetitivo, ma il cuore dei problemi italiani è quello. La spesa dello Stato per la scuola è 80 miliardi? Bene quei soldi vanno dati agli studenti che li spenderanno per istruirsi. La scuola pubblica continua ad esistere, ma invece di mantenersi con i trasferimenti si mantiene con i buoni studio che incassa dagli studenti. Sono 80 miliardi immediatamente sottratti al gioco delle tangenti. Il funzionario onesto che non prende tangenti dai fornitori finalmente vedrà riconosciuti i suoi meriti, perché la sua scuola pagherà meno gli acquisti e avrà più soldi per erogare i propri servizi, pagare di più gli insegnanti e così via. Operando in questo modo su scuola e sanità una grossa fetta di corruzione verrebbe meno e si potrebbero concentrare i controlli sulle opere pubbliche.
Eppure nonostante tutta l’antipolitica che dilaga, spesso gli italiani scelgono di continuare ad aumentare il potere dei partiti. Io non sono contro lo Stato, ma lo Stato per essere forte, utile e autorevole e per assolvere la sua funzione fondamentale, che è quella di tutelare i diritti dei cittadini, non ha bisogno di depredare metà dei loro stipendi come avviene oggi.
giovedì 5 aprile 2012
Meglio 40 anni da leone che un giorno da pecora
Ma chi non è stato pecora, o coniglio, per un giorno? Quarant’anni sono un capitolo che si chiude e ti inducono a ripensare a ciò che è stato e qualche volta sì, anch’io sono stato pecora o coniglio, ma tutto sommato sono soddisfatto per come ho sempre cercato di vivere invece da leone o meglio da guerriero. Per questo per i miei primi quarant’anni mi sono regalato un drago. Il drago è simbolo della sfida, delle forze oscure e della saggezza. Perché è entrando nella grotta e combattendo il drago che si può conquistare il tesoro, cioè raggiungere la saggezza, la consapevolezza di sé. Il drago è il nemico più pericoloso perché è il nemico che si cela dentro di noi: sono le nostre paure, i nostri difetti, le nostre debolezze. Il drago mi ricorda le mie virtù, il mio valore e le volte che non sono stato all’altezza, mi ricorda le vittorie e le sconfitte. Mi ricorda ciò per cui bisogna lottare: i valori e le persone care.
mercoledì 28 marzo 2012
Gesù era comunista?
Il marketing politico della sinistra, soprattutto quella italiana, è insuperato e insuperabile. Ti martellano con dei concetti seducenti, cui è bello e rassicurante credere.
Gesù è stato il primo comunista! E’ una di quelle frasi che viene buttata lì per spiazzare l’uditorio e che fa facilmente breccia. A quel punto, soprattutto se chi ascolta è un credente, c’è poco da replicare: se era comunista il figlio di Dio, chi sono io per non esserlo?
Pensandoci un attimo qualche obiezione mi sorge spontanea:
Parlare di socialismo e comunismo prima della rivoluzione industriale, ha lo stesso senso di dire che Gesù è stato il primo Juventino. Le regole del calcio non erano state ancora codificate credo, quindi fate voi. Peraltro è probabile che avrebbe seguito maggiormente il basket, che mi sembra più popolare da quelle parti.
L’atteggiamento di Gesù verso la ricchezza è di distacco. Non mette mai l’avanzamento materiale dei poveri come l’obiettivo della sua azione, la frase ambigua al ricco è uno dei pochissimi accenni sul tema. Del resto già i filosofi greci vedevano nell’eccessivo attaccamento agli oggetti terreni un ostacolo per la crescita spirituale.
Il suo messaggio non ha una dimensione politica, Gesù parla alle persone. E’ ovvio che se sommiamo i singoli comportamenti si hanno grandi cambiamenti a livello sociale e politico ed anche il politico che prende decisioni è una persona. Ma Gesù non prende mai in considerazione il modello sociale o politico; il cristiano può e deve muoversi all’interno di un impero, come di una repubblica, in uno stato libero o totalitario, del resto è significativo che Gesù non aspirasse al trono. Sicuramente nella società ebraica dell’epoca il suo messaggio era rivoluzionario. Nel momento in cui mette in discussione l’autorità del clero e degli scribi, e la loro interpretazione della legge biblica, ad esempio opponendosi alla lapidazione dell’adultera, o al riposo del sabato, pone in essere un atto rivoluzionario, che non a caso suscita una reazione che lo porterà sulla croce. Però mi sembra decisamente un atteggiamento più libertario che statalista, infatti quando la Chiesa diventerà potente tenderà ad accantonare quella parte del messaggio evangelico.
L’uguaglianza di cui parla Gesù non è materiale, proprio perché non è quello che ha importanza nella vita. E’ ovvio che se ami il prossimo lo aiuti, anche economicamente, ma questo non significa certo organizzare la società attraverso l’esproprio, anzi una cosa esclude l’altra. Se è altruismo si agisce in prima persona, nel caso del comunismo o del socialismo si vuole che sia un altro ad agire al nostro posto. Cioè è una solidarietà fatta con i soldi degli altri.
Le prime comunità cristiane mettevano in comune i propri beni: questa è una facoltà pienamente riconosciuta all’interno di una economia libera. Gli uomini spontaneamente si associano, creano strutture sociali, cooperano. Più lo Stato invade, imponendo la sua azione coercitiva, prelevando, tassando, espropriando, meno le comunità possono cercare la propria strada, né hanno lo stimolo o le risorse per farlo.
venerdì 16 marzo 2012
Lavoro, lavoro... o disoccupazione
Il progresso economico avviene con il cambiamento. I capitali investiti lasciano settori non più profittevoli o superati e si dirigono verso nuovi settori o vecchi settori tornati interessanti. Gli investimenti sbagliati producono perdite e contrazione nel volume di prodotti e servizi erogati, i capitali investiti con profitto producono espansione della produzione. Un sistema dove i lavoratori passano dalle vecchie produzioni alle nuove è un sistema in evoluzione. Le politiche per l’occupazione più efficaci sono quelle che agevolano questa transizione, quelle che aiutano i lavoratori a cambiare, a riqualificarsi, a superare senza traumi il periodo di riallocazione. Che effetti avrebbe avuto una politica economica statale anticiclica volta a mantenere in vita le fabbriche di carrozze trainate dai cavalli, quando nel mondo si cominciava a vendere automobili?
La chiusura delle imprese inefficienti, non significa la sparizione dei relativi fattori di produzione, ragion per cui l’analogia con la selezione naturale non è corretta: un animale morto è fuori dal gioco. Invece le persone e i macchinari coinvolti nella precedente esperienza potranno essere reimpiegati in nuove attività economiche. Sicuramente questo processo di riconversione ha dei costi, talvolta elevati, talvolta in grado di bloccare il sistema economico per lungo tempo.
Spesso questa ovvia constatazione viene fraintesa, deducendo che la disoccupazione sia un elemento necessario al capitalismo o all’economia di mercato. Tale fraintendimento nasce anche dal concetto marxista di “esercito di riserva”. Ma si tratta in entrambi i casi di un’inversione tra causa ed effetto. Lo sviluppo economico non necessita di disoccupati da cui attingere, ma lo sviluppo economico produce disoccupati che sono temporanei a meno che politiche sbagliate non li facciano diventare di lungo corso.
La remunerazione del lavoro dipende dalla saggio di profitto del capitale, detto in parole povere, se un’attività, ad esempio una pizzeria, consegue molti utili, potrà pagare buoni stipendi a tanti dipendenti, in caso contrario bassi stipendi a pochi o nessuno. E’ vero che tutto ciò dipende anche dal numero di pizzaioli e camerieri disponibili. Ma se tutti smettono di mangiare pizza e mangiano sushi, così come se tutti comprano automobili invece di calesse, la presenza di un esercito di riserva di pizzaioli ed ebanisti non è di alcun giovamento al sistema economico, sia che questo sia capitalista o meno, e indipendentemente dal fatto che il capitale sia privato o pubblico. E’ ovvio anche che se lo Stato interviene prendendo soldi dal settore automobilistico per tenere aperte le fabbriche di calesse, sta riducendo la profittabilità del primo settore a vantaggio del secondo e… a svantaggio di tutti. Il lavoro non si può inventare, se per abbassare la disoccupazione una Regione assume cento persone per contare i gabbiani che volano, si capisce che in realtà sta distruggendo occupazione e che le risorse di quel posto di lavoro ne avrebbero potuto creare un numero maggiore se inserite in un’attività di mercato. Del resto si può confrontare il dato sull’occupazione di alcune regioni del sud Italia con quelle del nord per averne la riprova (anche se questa non è ovviamente l’unica causa della disoccupazione al sud).
La disoccupazione in Italia non nasce purtroppo da un eccesso di innovazione o dalla robotizzazione delle fabbriche. E’ piuttosto dovuta al peso fiscale, alle leggi sul lavoro, alla formazione inadeguata e chi ne fa le spese sono le categorie più deboli, quelle che a parole tutti difendono, ma poi nella sostanza non si fa nulla per migliorarne la condizione.
venerdì 2 marzo 2012
2 marzo 1969 guerra tra URSS e Cina
Cina e URSS formalmente alleate in nome del comunismo, avevano profonde differenze culturali e ideologiche. L’URSS aveva impostato la propria politica estera imponendo una sorta di vassallaggio a tutti i paesi comunisti. La Cina però era semplicemente troppo grande, ambiziosa e nazionalista per poter restare in quella posizione a lungo. Dopo la morte di Stalin, le critiche di Mao all’imperialismo sovietico e al revisionismo di Krusciov furono il segnale che tra i due giganti era cominciata una rivalità e la posta in palio era la supremazia sui movimenti comunisti in tutto il mondo. In questo clima sorsero dispute territoriali e incidenti di frontiera.
Per i cinesi i trattati che fissarono i confini tra Russia zarista e Cina durante il XIX secolo furono delle annessioni subite con la forza.
A partire dagli anni ’60 quindi quei “quegli iniqui trattati” furono la causa, o il pretesto, per alimentare tensioni crescenti con i sovietici.
Già nel 1964 un vasto territorio nel Pamir sovietivo fu reclamato dalla Cina, che in negli anni precedenti era stata impegnata a riscrivere, con la forza delle armi, il confine verso l’India.
L’URSS aveva uno strapotere bellico indiscutibile nei confronti del vicino, ma la Guerra Fredda era la sua priorità, inoltre anche la Cina era diventata una potenza nucleare, rendendo impraticabile l’opzione militare come soluzione della disputa.
Lo scenario dove si svolse lo scontro più grave fu l’isola di Zenbao (o Damansky) in mezzo al fiume Ussuri che fa da confine tra i due paesi.
Il 2 marzo 1969 truppe cinesi attaccarono, o meglio tesero una trappola, alle guardie di confine sovietiche sull’isola di Zhenbao, provocando decine di morti e molti feriti. La reazione sovietica respinse l’incursione e nei giorni successivi i sovietici bombardarono la sponda opposta dell’Amur fino ad espellere le truppe nemiche e riprendere il possesso dell’isola.
Nessuno dei contendenti mostrò la volontà di estendere il conflitto, l’anno precedente l’URSS era intervenuta in Cecoslovacchia stroncando con la forza la Primavera di Praga ed era impegnata a sostenere il Vietnam del Nord contro gli Stati Uniti. La Cina, dove imperversava la Rivoluzione Culturale che la porterà allo sfascio, sembrava appagata dall’azione dimostrativa.
Secondo l’interpretazione più comune questi scontri furono la causa dello storico e clamoroso riavvicinamento tra Cina e USA che sfocerà nel viaggio di Nixon del 1972.
Secondo altri fu invece proprio il desiderio cinese di cambiare la politica estera ed appoggiarsi agli USA, la causa che li spinse a cercare questi incidenti di confine con l’URSS.
La questione dei confini settentrionali cinesi è stata chiusa solo nel 2004 con un accordo con la Russia che ha stabilito la linea di confine.
Restano sul tappeto molte altre rivendicazioni e questioni aperte con India, Giappone, Vietnam, Filippine, Malaysia, Taiwan… che Pechino non sembra né voler dimenticare, né tantomeno mostrarsi accomodante, soprattutto oggi che sta diventando sempre più potente.
mercoledì 29 febbraio 2012
5 anni da blogger
Sono passati cinque anni da quando iniziai a scrivere questo blog. Mi sembra incredibile ma è così. Di solito si inizia un blog spiegando i perché e i percome nel primo post, io invece ho aspettato che arrivasse il momento giusto, ed è arrivato.
Innanzitutto scrivo perché mi piace scrivere, mi aiuta a mettere in ordine i pensieri, a mettere alla prova le mie convinzioni, perché un conto è avere un’idea, un altro è metterla per iscritto, spiegarla.
Che tipo di blog ho voluto creare? Il mio blog è la versione moderna del messaggio nella bottiglia, viene lanciato nel mare di internet e prima o poi, in qualche posto, chissà quando qualcuno si imbatterà nel messaggio e ci troverà qualcosa di interessante.
Non è un blog facile. Non è un blog leggero. I pochi che si avventurano nella lettura devono essere molto motivati! Non è fatto di slogan, non è fatto di copia e incolla, non ripete i titoli dei giornali. Anzi uno degli scopi del blog è instillare dubbi, mostrare l’altra faccia della medaglia, ribaltare i luoghi comuni, quando non proprio sbugiardare le verità che vengono passate dall’informazione ufficiale. La quale vive in uno stato di conformismo deprimente e di monopolio culturale. Nei talk show vanno sempre le stesse persone che ripetono stancamente la propria parte da anni, dicendo le stesse cose e non c’è mai spazio per una visione diversa, alternativa, quella che invece si può trovare qui.
Spesso il mondo dei blogger viene descritto come una massa di frustrati, egocentrici, maniaci, creduloni, turpiloquianti, poco colti che sfogano con gli insulti la propria rabbia.
A volte è così.
Ma, se si cerca, tra i blog si può trovare anche tanta buona informazione, persone che pensano, ragionano e scrivono in modo non banale. E’ un modo diverso, un modo in più, per imparare e per riflettere. Spesso inoltre il blogger ha dei vantaggi decisivi nei confronti del giornalista: può parlare solo di ciò che conosce bene, non deve vendere il proprio prodotto, non deve vendere sé stesso.
E quindi può riportare i fatti anche se sono scomodi, o impopolari.
Per chiudere, ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito fino ad oggi, gli affezionati che tornano e gli occasionali.
Se intuite qualcosa che non riuscite a spiegarvi, sentite solo che c’è; se è tutta la vita che avete la sensazione che c’è qualcosa che non quadra nel mondo, non sapete bene di che si tratta ma l’avvertite… bene, anche in futuro potete tornare e vedere che, spesso, le cose non si riescono a capire perché le spiegazioni che ci danno sono sbagliate, scriverò ancora per esplorare insieme quanto è profonda la tana del bianconiglio.
domenica 19 febbraio 2012
19 febbraio 1942. Attacco all'Australia.
L’avanzata del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale è una delle più strabilianti guerre di conquista di tutta la storia militare. Il Giappone, già in guerra da alcuni anni con il paese più popoloso del mondo, la Cina, di cui occupa praticamente tutta la parte costiera, scatena un’offensiva che porta all’attacco di Pearl Harbour ed alla conquista in pochi giorni di Singapore (perno della presenza militare britannica nell’area) e nei mesi successivi di Malesia, Indonesia, Filippine, Birmania. Sotto controllo giapponese è anche, con il “consenso” del governo di Vichy, l’Indocina francese.
In questo contesto il 19 febbraio 1942 una squadra navale giapponese composta da quattro portaerei sferra un attacco aereo contra la città australiana di Darwin. Il bombardamento si concentra sulla zona portuale e le infrastrutture, provocando molti danni ed alcune centinaia tra morti e feriti. Sembra il preludio ad un’invasione, del resto la città di Darwin, unico grande centro del nord dell’Australia dista migliaia di chilometri dalle città principali del paese, situate nella zona sudorientale.
L’invasione però non si concretizzò. Il fronte su cui erano impegnate le forze del Sol Levante era diventato immenso e la forza propulsiva dell’espansione si esaurì. Nel frattempo le forze armate americane, sottodimensionate rispetto alle esigenze della guerra, riducevano di mese in mese il gap con i propri avversari, arrivando ben presto a sovrastarli con una produzione bellica irraggiungibile per il resto del mondo.
Le incursioni aeree giapponesi sull’Australia settentrionale continuarono fino alla fine del 1943, quando il riflusso dell’Impero Nipponico mise l’Australia fuori dalla portata delle sue forze aeronavali.
venerdì 10 febbraio 2012
W gli Anni Ottanta. Atto terzo.
una cosa: vengono rappresentati come un miscuglio di edonismo egoista,
consumismo, disimpegno, ma tutto ciò fu semplicemente una reazione immunitaria
alla grottesca caricatura che della parola “impegno” fu data nel decennio
precedente.
Tutte le epoche, i decenni, i periodi portano con sé novità
positive e negative e questo vale per gli Anni Settanta, Ottanta e tutti gli
altri. Quello che rigetto è il luogo comune sull’impegno degli Anni Settanta,
successivamente dimenticato e tradito.
Impegnarsi di per sé implica fare qualcosa di concreto,
mentre il cosiddetto impegno politico era diventato un blaterare vuoto su
sistemi che non possono stare in piedi nemmeno nel mondo dei fumetti. Parlare
di valori, come alcuni fanno ancora oggi, ricorrendo a quella voce triste e
grave, condendoli con tutti gli stereotipi e i luoghi comuni possibili, con
l’ipocrisia di chi li usa come arma di propaganda a senso unico, ecco così
facendo i valori si svuotano, perdono di significato. Un po’ come quando senti
parlare Fabio Fazio di legalità e ti viene voglia di violare qualche legge.
L’impegno degli anni Settanta, che tanti rimpiangono, è stato seppellito da
Fantozzi quando decreta che la Corazzata Potionki è una cagata pazzesca, è stato
seppellito dalla noia mortale di personaggi che si prendono troppo sul serio,
che parlano di lavoro e non hanno mai lavorato, parlano di contratti e non
hanno mai assunto nessuno, ma soprattutto da quel tono da salvatori del mondo,
da moralizzatori, educatori del popolo. Anch’io parlo di cose noiose, leggo,
scrivo, guardo cose noiose, ma mica per questo mi sento il Mosè della
situazione che guida il popolo verso la terra promessa ed infatti appena ho
l’occasione alleggerisco, sdrammatizzo. Quell’impegno è stato seppellito
dall’intolleranza, dalla violenza, dalla pretesa di uniformare tutti e tutto
alle verità comode preconfezionate, di presumere di essere sempre dalla parte
di chi ha ragione e mai del torto.
Quell’impegno si è addormentato per non aver saputo distinguere
tra cosa significa essere persone serie e la seriosità di chi non è capace di
ridere, di scherzare, di divertirsi. Perché la seriosità e la pallosità è
giustificabile se uno lavora, fa qualcosa di utile, allora lo sopporto, ma la
seriosità unita alle chiacchiere, è inutile, è dannosa, è deprimente, è una
perdita di tempo.
Chi denigra gli Anni Ottanta dice che prima si voleva
cambiare il mondo! Sì ma come? In peggio forse. Grazie al Sessantotto adesso ci
si può sposare anche se non si è vergini, d’accordo, ma a parte questo che cosa
c’è da celebrare? Il rito di andare a tirare sassi alla polizia e poi
propinarci il vittimismo se la polizia s’incazza?
Non si può sempre associare il bene con la mortificazione,
la privazione, il mondo migliora anche sprigionando l’entusiasmo, l’energia, la
positività, dissacrante, ironica, dinamica, divertente, che cova dentro ogni
essere umano! I sacrifici vanno bene per migliorare sé stessi, non come ricetta
da propinare al prossimo. E poi all’epoca persino a sinistra si divertivano e
ridevano, i miei amici “sinistri” leggevano avidamente Cuore e si davano da
fare per sostenere che un sogno legittimo nella vita è “farsi praticare sesso
orale da una nota (e bona) showgirl”*.
Non sono gli Anni di Plastica contro gli Anni di Piombo,
semmai sono gli anni delle patatine
fritte, contro gli anni dell’aria fritta. Per questo li apprezzo… anche se non mangio
patatine fritte!
*La locuzione originale era po’ più esplicita.
mercoledì 1 febbraio 2012
La crisi è finita. Comprate BTP.
La crisi è finita: comincia la stagnazione.
Arrivati a un passo dal baratro la politica ha preso la (non) decisione più scontata: nessun Stato europeo deve fallire. Tutti i buoni propositi con cui era nata la BCE sono stati rinnegati ed è chiaro che la BCE interverrà in modo sempre più massiccio per cui non mancheranno compratori per i Titoli di Stato. Questo è quello che è accaduto negli ultimi mesi e sarà così anche in futuro.
Senza l’intervento della BCE, l’Italia e gli altri Stati più deboli sarebbero già falliti e con loro molte banche.
Tutto sommato potrebbe essere anche la scelta giusta, soprattutto se veramente si rinuncerà anche alla politica dei deficit di bilancio perenni e dei debiti statali in costante aumento.
Restano però due problemi principali:
1 – La creazione di liquidità da parte della BCE ha salvato la situazione ma è un frutto avvelenato, porterà a scompensi futuri e comunque è un impoverimento generale. Basta fare benzina per accorgersene. Eppure non basta mai, un coro incessante chiede a Draghi di allargare sempre più i cordoni, fare il prestatore di ultima istanza (cosa che in pratica già fa), stimolare la crescita come la FED (i soldi che “presta” all’1% alle banche non rientrano nella categoria?) , salvo poi piangere pensando a quanto costavano le cose prima dell’Euro (peraltro anche qui dimenticandosi che con la lira il potere d’acquisto diminuiva ancora più velocemente). Comunque non si può prevendere la portata di questi scompensi e delle bolle future, poniamo che questi danni collaterali potrebbero anche essere limitati, resta il secondo fardello da sopportare:
2 – Ancora più preoccupante è infatti il secondo problema: anche se l’Italia e gli altri paesi europei riusciranno a giungere al pareggio di bilancio, stabilizzando la situazione sui mercati finanziari e scongiurando per il momento guai peggiori al sistema bancario, lo faranno con un livello di pressione fiscale e di spesa pubblica elevatissimo. Un livello tale da risultare incompatibile con uno sviluppo economico che possa portare a benefici diffusi. Soprattutto in uno scenario mondiale che si va complicando e con le materie prime sempre più costose.
La nostra Italia ne è l’esempio più eclatante. Occorre ripensare il modello economico e creare uno Stato sociale che sia tale non solo di nome come quello attuale. Per adesso non vedo segnali in questo senso, anzi proprio i più accaniti critici della casta dei partiti, sono quelli che ne chiedono ad ogni occasione l’ampliamento dei poteri.
martedì 24 gennaio 2012
Liberalizzazioni inutili, alternative mancanti
Puoi lubrificare il motore quanto vuoi, ma con una cinquecento non puoi trainare il rimorchio di un camion.
Sono favorevole in generale a tutto ciò che rimuove gli ostacoli a chi vuole intraprendere un’attività, ma applicare all’Italia le liberalizzazioni appena varate, non sortirà effettivi tangibili fino a quando permane il peso insostenibile di uno Stato che occupa metà dell’economia italiana. Non entro nel merito dei singoli provvedimenti, alcuni dei quali discutibili, altri liberalizzano solo di nome, in coerenza con un’impostazione dirigista, la stessa che viene applicata ad esempio dalle autorità antitrust italiane ed europee; l’impostazione per cui si dice di voler salvaguardare la concorrenza ma in realtà si vuole stabilire chi, cosa, quando e come produrre.
Ma questo ha poca importanza, ciò che conta è che il sistema italiano non regge la struttura statale che si è dato.
Chi invece osteggia per principio le liberalizzazioni e vaneggia circa la necessità di nuovi New Deal dovrebbe riflettere su due fatti:
1 – L’unico vero successo del New Deal fu di immagine, o di marketing se preferite, cioè far credere che abbia funzionato, cosa non vera.
2 – Tornare a quel modello sarebbe in effetti un successo, sapete perché? Perché all’epoca lo Stato pesava molto meno di oggi! Sia in Europa che negli Stati Uniti.
In realtà è lo stesso sviluppo tecnologico ed economico a consentire l’espansione della spesa pubblica. Oggi un lavoratore italiano lavora fino al 24 giugno per lo Stato e poi per sé e la propria famiglia. Nei tempi antichi i signori non potevano pretendere tanto dai propri sudditi e servi perché altrimenti li avrebbero condannati a morire di fame. I compenso i signori erano pochi e i servi tanti, quindi i padroni potevano contare comunque su ottime entrate, oggi la platea di coloro che vivono di spesa pubblica è molto più estesa e questo pone problemi di riforma ben maggiori.
Detto ciò i gusti individuali sono insindacabili. Comprendo bene che si possa desiderare un ruolo ancora maggiore dello Stato a prescindere da qualunque controindicazione, magari arrivando fino all’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e stipendi uguali per tutti. Legittimo desiderarlo, auspicabile però trovare nuovi mezzi, nuove idee per conseguire il fine. Rimanere ancorati alle partecipazioni statali pentapartitiche, all’IRI fascista, ai soviet, alla lotta di classe di ottocentesca memoria, come ispirazioni per il ruolo dello Stato nell’economia nel XXI secolo, mi sembra una mancanza sconcertante di idee innovative.
lunedì 16 gennaio 2012
La vera colpa delle agenzie di rating
Dallo scoppio della crisi si fa un gran parlare delle agenzie di rating, ma di tutte le accuse che vengono mosse a Standard & Poor’s e simili, manca la più importante: non aver fatto l’abbassamento del rating prima e con prima intendo anni fa. Molti economisti denunciavano l’insostenibilità dei debiti e del sistema finanziario, eppure le agenzie di rating confermavano l’affidabilità assoluta degli emittenti. L’hanno fatto per incapacità o per interesse? Probabilmente per entrambe le ragioni. Sia come sia, non sono state in grado di fare il proprio lavoro, così come ampiamente dimostrato in passato (caso Lehman Brothers su tutti), declassare oggi è come fare un pronostico su una partita durante i minuti di recupero: sono capaci tutti e ci si azzecca quasi sempre.
Queste agenzie operano in regime di oligopolio, sancito talvolta dalla legge, operano in conflitto di interessi, perché non possono essere chiaramente indipendenti da coloro che ne sono proprietari e arrivano sempre in ritardo. Però tutto ciò non può essere una scusa per dire che i paesi dell’euro meritino voti migliori! Si può affermare semmai che i voti riferiti ad altri sono ancora troppo generosi.
C’è un altro aspetto dell’ultimo declassamento che non viene colto: potrebbe anche essere un segnale che il peggio è passato. Supponiamo che chi può influenzare i rating, in questi mesi si sia alleggerito il portafoglio titoli vendendo bond italiani, spagnoli, francesi. Se questi grandi investitori ritengono che tutto sommato non si arriverà al default, quale mossa migliore che un doppio declassamento per ricomprarsi i titoli a prezzo più basso e (in tempi di tassi vicini allo zero!) incamerare ricche cedole.
E’ una ricostruzione di fantasia, ma più logica di tanti improbabili complotti che si celerebbero dietro la crisi. I ricchi e potenti hanno uno scopo principale: guadagnare. Altre finalità, come distruggere l’Euro o cambiare governi sono tuttalpiù effetti collaterali, magari a volte graditi e auspicati, ma sui quali non credo qualcuno sia disposto a rischiare il proprio (ingente) patrimonio.
Intendiamoci, è ovvio che i complotti esistano, ma di solito operano cogliendo le occasioni che si presentano. Sicuramente il governo Berlusconi dava fastidio a qualcuno, ma pensare che si possa creare dal nulla la crisi finanziaria o la rivolta libica per abbatterlo non è credibile, che si sia approfittato degli eventi per dargli una spinta, fa parte del gioco.
Viene spesso riportata la Rivoluzione Arancione come esempio di rivoluzione creata a tavolino, ma le Rivoluzioni non si creano a tavolino, ci devono essere delle precondizioni e poi si possono appoggiare, incoraggiare, alimentare ma non inventare.
Comunque, complotti o no, le agenzie di rating non sono credibili. Purtroppo, i politici che le criticano, nemmeno.
venerdì 13 gennaio 2012
La sovrapproduzione (di minchiate) all'origine della crisi
La crisi che stiamo vivendo viene interpretata da ciascuno secondo il proprio credo, per cui ci troviamo di fronte a spiegazioni tra loro opposte: ad esempio c’è chi dice che quando le Banche Centrali obbedivano alla politica e stampavano soldi a tutto spiano le cose andavano meglio, c’è chi dice che proprio l’abuso nell’offerta di moneta abbia generato la crisi (io propendo più per la seconda ipotesi ma non è di questo che tratto oggi). C’è chi invece si concentra sugli aspetti produttivi e quindi afferma che la scarsità delle risorse sta alla base del declino, chi invece afferma che la crisi nasce perché si produce troppo. Mi voglio soffermare su quest’ultimo aspetto. Produrre troppo è un concetto vago: che cosa significa troppo? Che nessuno vuole un certo prodotto o che il prodotto è troppo caro e quindi non lo si può comprare? In ogni caso se c’è un eccesso di produzione vuol dire che ci sono stati investimenti sbagliati e questo è insito nella natura del capitalismo: c’è chi azzecca le previsioni e chi no. Piuttosto sono discutibili le cure che di solito vengono consigliate in questi casi.
Faccio un esempio concreto: apro una macelleria, ma lo stesso giorno tutti, eccetto uno, diventano vegetariani. C’è una sovrapproduzione di carne, a questo punto devo cambiare e vendere zucchine fritte, a meno che l’unico mangiatore di carne non sia un riccone ed allora posso provare a far diventare la carne un bene di lusso e vendere le fettine al prezzo di un Cartier. Se però lo Stato mi incentiva a tenere aperto, la sovrapproduzione continua. E’ quello che accade nel settore dell’automobile. L’intervento dello Stato è come l’irrigazione del deserto, se il flusso si interrompe la pianta muore. C’è anche un altro problema: le risorse che eroga sono prese da un’altra parte, che viene impoverita. In pratica si penalizza ciò che funziona e si perpetua quello che non funziona.
Questa ricetta che potremmo chiamare Keynesiana (o se preferite del “dai la cera togli la cera”) cerca di rimediare alla presunta carenza di consumi (peraltro dovrei essere io a decidere quando cambiare macchina e non il Ministero dello Sviluppo) “stimolandoli” in vario modo. Ma paradossalmente quando lo Stato esce dai propri compiti naturali ed interviene nell’economia induce sistematicamente sovrapproduzione perché fornisce beni e servizi non richiesti e dei quali non si sa quale sia il reale livello di domanda.
Un’altra ricetta era molto in voga negli anni passati ma ha ancora molti estimatori ed è la soluzione di Marx. Lui si concentra non tanto sui consumatori, quanto sui produttori, i quali non sanno prevedere correttamente il futuro e quindi creano le crisi economiche. Su questo potrei anche essere d’accordo, solo che la sua soluzione non mi convince molto. In pratica si dovrebbe fare così: un gruppo di persone molto dotate, chiamate avanguardia, oppure dirigenti del partito dei proletari, o con altri sinonimi del genere, sono così bravi che riescono a decidere meglio degli imprenditori cosa e quanto produrre, così non ci sono più crisi.
Non mi convincono due cose: se uno è così bravo a indovinare il futuro potrebbe fare direttamente l’imprenditore di successo e diventare ricco (e poi siccome è comunista divide con gli altri tutto quello che ha guadagnato). In questo modo non perde tempo a discutere con gli altri dell’ufficio politico, che magari non sono tutti geniali come lui.
L’altra cosa che non mi convince è questa: i personaggi superdotati dell’ufficio politico sanno che cosa è bene per tutta la popolazione e provvedono a soddisfarla, ma se per ipotesi sbagliassero qualcosa? Chi glielo dice, chi li fa smettere? Cioè: il macellaio di cui sopra deve cambiare mestiere altrimenti muore di fame, questi invece anche se sbagliano possono tranquillamente andare avanti, soprattutto se, assieme a tutte le attività economiche, queste supermenti collettiviste controllano anche polizia, esercito, sistema giudiziario…. In pratica: se alzi la mano e dici: ehi, secondo me si dovrebbe fare in un altro modo e ti becchi una pallottola….
Insomma la sovrapproduzione ha delle responsabilità nella crisi attuale, ma più che la sovrapproduzione di beni, la sovrapproduzione di idee contorte e convinzioni che non reggono alla prova dei fatti.