giovedì 31 maggio 2007

La lezione delle elezioni

Il risultato della tornata elettorale amministrativa di domenica scorsa ha avuto un risultato inequivocabile: la crescita del centrodestra ed un calo nettissimo del centrosinistra. Questo dato indica che in questi anni si è verificata una trasformazione epocale dell’elettorato di sinistra: in precedenza la fedeltà e la disciplina dell’elettore di sinistra era inossidabile, pur di sconfiggere l’avversario erano disposti a votare sempre e chiunque. Questo aspetto era particolarmente evidente con la legge maggioritaria, nei collegi elettorali uninominali, dove il candidato “sinistro” faceva sempre il pieno dei voti, mentre il candidato di centrodestra quasi mai arrivava ad acquisire la somma dei voti espressi a favore dei partiti. Quindi a fronte di un elettore di centrodestra severo nel giudicare il candidato proposto e, come si è visto durante i cinque anni del governo Berlusconi, anche pronto a mandare segnali di insofferenza ad ogni occasione di elezioni amministrative o suppletive, avevamo degli elettori “rossi” disciplinati al massimo. Questo diverso grado di fedeltà produce una democrazia squilibrata, ma oggi si è visto che anche dall’altra parte non si firmano più deleghe in bianco. Già c’era stato qualche segnale in passato, come ad esempio le regionali del 2000, ma questa volta le proporzioni del calo sono impressionanti. La speranza è che questo induca i loro dirigenti a costruire una sinistra più liberale, più innovatrice, più europea, perché un conto è perdere le elezioni e trovarsi al governo un Tony Blair, ben diverso è perdere e trovarsi un Diliberto nella maggioranza. Questo sarebbe il bene dell’Italia ed anche del centrodestra, perché con questo governo Prodi si vince facile, ma senza competizione non si migliora in nessun campo, neppure in politica. Il Partito Democratico dovrebbe essere una risposta? Finora è stata una grossa delusione, non solo perché è stata un’operazione di vertice senza alcun coinvolgimento della base, ma soprattutto perché non ha espresso per ora nessuna idea. Non è un partito identitario e quindi per dare dei punti di riferimento dovrebbe esprimere degli obiettivi; si definisce riformista perché riunisce, dicono loro, le diverse correnti storiche riformatrici della politica italiana, ma non hanno proposto finora neanche una riforma da fare. Sarà perché qualunque riforma degna di questo nome verrebbe immediatamente sbarrata dagli alleati comunisti, sarà perché stanno riunendo solo ora il comitato di 45 saggi (in cui hanno invitato anche Follini! …e con una palla al piede così, fare della strada è molto dura), sarà perché prima devono decidere chi sarà il leader, comunque per ora nulla. I numeri parlano chiaro: vince chi è capace di motivare il proprio elettorato, lo sforzo comunicativo deve essere rivolto a chi è orientato in un senso ma non è convinto ad andare al seggio. E’ una lezione importante anche per la Casa della Libertà, perché questa volta è bastato un anno di Prodi per recuperare consensi ma, giustamente, in futuro per smuovere gli elettori conteranno sempre meno gli slogan e sempre di più i fatti e le proposte tangibili.

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