martedì 22 gennaio 2008

Non tutte le recessioni vengono per nuocere

La parola recessione intimorisce, si evita di pronunciarla come un tabù, la si nega pervicacemente fino a quando è possibile, è lo spauracchio che agita i sonni dei politici, degli economisti e delle persone comuni.
In parte tutto ciò è giustificato: meno prodotto, meno reddito, meno consumi, meno investimenti, meno reddito… disoccupazione, utili in discesa e borse in caduta libera come ieri…. Insomma un circolo vizioso che spaventa, soprattutto per il timore che la recessione diventi depressione.
Però c’è qualcosa di schizofrenico e di sbagliato in tutto ciò.
La recessione di cui si parla oggi deriva da alcuni squilibri generati dalla grande crescita economica mondiale di questi anni. Da noi in Italia c’è stato solo un pallido riflesso di questa crescita, ma nel resto del mondo c’è stata ed è stata robusta.
Il primo squilibrio generato da questa crescita è l’impennata dei prezzi delle materie prime: il petrolio, l’uranio, l’acciaio, il rame, il piombo e così via hanno visto salire le proprie quotazioni in modo vertiginoso e questo già di per sé ha un effetto recessivo, perché è evidente che a parità di reddito restano meno soldi per acquistare altre cose. C’è poi il grande disavanzo commerciale statunitense, particolarmente pesante verso i paesi asiatici, Cina in testa. La recessione, se ci sarà, darà una aggiustata, perlomeno temporanea a questi due squilibri.
C’è poi il problema delle sofferenze bancarie dovute alle insolvenze legate ai mutui, riguardo a questo problema c’è molta incertezza perché non si conosce l’entità delle perdite, ma fino ad oggi le autorità monetarie hanno pilotato la crisi con molta solerzia, pompando liquidità (forse anche troppa?) tutte le volte che era necessario; è chiaro che se la situazione fosse più grave di quanto appare, le banche più esposte dovranno saltare e si provvederà al salvataggio di quelle messe meno peggio.
La cosa più importante che non viene detta è che le recessioni sono il momento in cui i sistemi economici più competitivi e dinamici ricostituiscono le condizioni per riprendere una crescita solida e duratura.
In un certo senso è il momento della selezione, dell’evoluzione del sistema.
Se un sistema funziona a dovere, durante la recessione le imprese che non fanno utili chiudono o sono assorbite da quelle più efficienti. Anche i lavoratori migrano verso le aziende più produttive, così i capitali, in questo modo, una volta esaurita la pulizia del sistema, l’economia può ripartire.
Molti capitali investiti nei primi anni del secolo in aziende legate ad internet non hanno prodotto utili e ciò ha provocato un rallentamento dell’economia, perché non c’è nulla di peggio che un capitale investito male per deprimere la crescita.
Questo dovrebbero avere in mente coloro hanno in mano le leve dell’economia: spremere le aziende produttive e cercare invece di tenere in piedi attraverso sussidi o quant’altro aziende che non possono funzionare è un modo per costruire la povertà del futuro.

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