venerdì 13 aprile 2007

La società multiculturale del futuro

Da anni si sente ripetere ossessivamente che ci dobbiamo preparare, ci dobbiamo abituare, ci dobbiamo felicitare perché vivremo in una società multiculturale. Si sottintende che sia una cosa positiva e che volersi opporre a questo ineluttabile cambiamento, o giudicarlo negativamente, è indice di razzismo, di ignoranza, significa essere retrogradi e provinciali.
Le cose non stanno così, intanto questo cambiamento non è ineluttabile, in secondo luogo non è frutto di una scelta democratica consapevole, in quanto nessuno ha chiesto ai cittadini italiani di scegliere in proposito, né viene dato modo di riflettere sulle conseguenze.
La mia critica riguarda il concetto di società multiculturale laddove si intende una società in cui non si distingue più un tratto comune, ma dove i flussi immigratori hanno creato tante enclave culturali, linguistiche, religiose, dove è possibile riconoscere i caratteri distintivi dei paesi d’origine.
Una società quindi dove, sostanzialmente, il substrato italiano non è che uno dei modi di vivere tra i tanti. Questo concetto implica quindi un forte ridimensionamento numerico della nazionalità ospitante a favore di quelle immigrate. Tutto ciò è innanzitutto irresponsabile perché sottovaluta in modo sconcertante i pericoli di destabilizzazione che un processo del genere comporta. Non si può presentare la società multiculturale come una parata carnevalesca dove tutti si incontrano e vanno felici a braccetto a fare baldoria; la convivenza di culture diverse su uno stesso territorio è sempre stata complicata, a prescindere dalla buona volontà e dalle intenzioni delle parti.
La democrazia è il modo storicamente peggiore per governare una situazione del genere, sia perché si finisce per votare partiti su base etnica, sia perché alcune minoranze possono non riconoscere alla maggioranza il diritto di legiferare su tutti.
Anche in una democrazia molto omogenea, con valori e stili di vita condivisi, c’è il rischio che la maggioranza voglia omologare tutti, attraverso l’approvazione di leggi, a determinati comportamenti, creando tensioni con la minoranza di cittadini non consenzienti; questo rischio in una società multiculturale si presenta ogni momento. Faccio un esempio per chiarire il concetto: all’interno dell’Impero Ottomano, monarchia assoluta con sudditi privi di diritti politici, vivevano numerosissime etnie e, non contando il numero, nessuna poteva imporre leggi sulle altre; solo il potere politico di Istambul poteva decidere di voler omologare tutti i propri sudditi, ma per non provocare sommosse di solito evitava forzature. Quando l’Impero è crollato e sono nati Stati, più o meno nazionali, con una certa crescente influenza delle masse nella vita politica, sono nati anche i problemi relativi; nella stessa Turchia la presenza di greci, arabi, ebrei, curdi e armeni ha innescato scontri e tragedie immani.
La pressione immigratoria verso l’Europa è fortissima, ma non possiamo subirla senza cercare di governarla perché finirebbe per travolgerci. L’Italia, come ogni paese, ha il diritto di scegliere chi, come e quanti possono venire a stabilirsi entro i suoi confini. Il rispetto umano per la persona, da qualunque paese provenga, dei suoi diritti, della sua dignità, non è in discussione e non è pertinente con questo problema. Il problema è essenzialmente e semplicemente numerico. Comunità di milioni di individui non sono gestibili e se decidono di vivere contro le leggi del nostro paese non c’è modo di intervenire senza creare scenari di vera guerriglia urbana.
Vorrei che si capisse in tempo la differenza tra passeggiare in una città italiana ed entrare a mangiare in un ristorante arabo e passeggiare in una città che era italiana ma dove ora c’è un intero quartiere dove si applica la sharia a chiunque vi risiede.
Chiudo con l’immancabile polemica verso il mondo dei comici, conduttori, cantanti, registi, scrittori, opinionisti di sinistra paladini del political correct: quante omelie sulla triste sorte dei buoni pellerossa nordamericani e degli indios dell’amazzonia, sommersi dai bianchi malvagi e corrotti e ridotti a minoranza nella loro stessa terra, ecco mostrate un po’ di coerenza, non aspettate che gli Italiani facciano la stessa fine, perorate la giusta causa dei popoli autoctoni, dateci almeno gli stessi diritti degli amerindi. Ma forse le altre migrazioni, per costoro, sono tutte buone, l’importante è che gli yankee vadano a casa, per gli altri invece porte aperte, avanti c’è posto. Finchè ce n’è.

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