domenica 29 aprile 2007

Telecom, capitalisti e lacrime di coccodrillo

La vicenda Telecom sembra volgere al termine: prenderà il comando Telefonica, con l’appoggio di un po’ di banche. La definirei un soluzione salomonica: all’Enel l’energia elettrica spagnola, agli spagnoli i telefoni italiani, così ancora una volta i fatti smentiscono le parole. Le parole dei politici naturalmente, infatti sugli organi di informazione abbiamo avuto una processione ininterrotta e replicata alla nausea di politici, Capo del Governo in primis, che si affannavano a dire che la politica non c’entra, deve starne fuori, salvo poi arrivare proprio alla soluzione più gradita a Prodi e Zapatero. Pazienza, non sono così idealista da pensare che chi ha il potere si astenga dall’esercitarlo, ma gradirei qualche volta ascoltare da queste persone frasi coerenti con i comportamenti, così tanto per non essere preso in giro.
Ma l’aspetto più paradossale è un altro e riguarda la domanda posta, come una litania, per settimane: i capitalisti italiani dove sono? Tronchetti Provera agita lo spettro della vendita a soci esteri della sua quota di Olimpia, la società che controlla il pacchetto di maggioranza in Telecom Italia, ed ecco che i politici italiani hanno cominciato a versare fiumi di lacrime, imprecando contro il capitalismo nostrano, affetto da nanismo ed inadeguato a rilevare le azioni in vendita.
Abbiamo addirittura sentito il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, esprimersi un questo senso. Ora cerchiamo di pensare un attimo con la nostra testa e vediamo se la logica ci può aiutare. In Italia c’è una quantità di piccole e medie imprese di successo impressionante, a volte soffrono, ma complessivamente mostrano notevole vitalità. Per quanto riguarda i grandi gruppi siamo invece ridotti al minimo, comunque assolutamente al di sotto dei paesi economicamente paragonabili al nostro. Le ragioni saranno sicuramente molte ed una parte di queste sono di tipo culturale, legate alla mentalità ed alle modalità operative degli imprenditori italiani, ma in definitiva è l’ambiente che dà forma agli organismi, se un biologo sbarca in un continente sconosciuto, dal tipo di ambiente può già dire se incontrerà animali grandi o piccoli. Quindi è evidente che se ci sono meno grandi imprese che negli altri paesi vuol dire che da noi è più difficile vivere o sopravvivere per una grande impresa. Questa mancanza è strutturalmente il punto più debole della nostra economia, perché la grande impresa mette in moto alcuni meccanismi che sono, in Italia, deficitari: ha le risorse per la ricerca e sviluppo; crea occupazione di qualità, perché ha bisogno di quadri e dirigenti; consente una maggiore specializzazione e produttività del lavoro.
Naturalmente le grandi imprese fanno anche paura, perché con le risorse immense di cui dispongono possono distorcere la vita democratica, scavalcare o controllare le istituzioni a scapito dei cittadini. Questo aspetto è sentito in modo particolare negli USA, dove si concentra la maggior parte delle imprese di più grandi del mondo. Il dibattito tra chi sostiene le grandi corporation oppure chi sostiene lo small business è talmente centrale che è sufficiente fare un qualunque test di orientamento elettorale su internet, per vedere che un grande numero di domande è incentrato su questo tema. In Italia il tema è stato talvolta affrontato in questi termini quando si è constatato un effetto negativo dell’apertura di grandi supermercati, cioè l’estinzione dei piccoli negozi al dettaglio. Al di là che sia un bene o un male non avere grandi imprese, io faccio notare un’assurdità che mi sembra non sia stata rilevata: le grandi imprese in Italia non ci sono perché l’ambiente non ne permette l’esistenza, coloro che ne lamentano l’assenza, cioè i politici, sono i responsabili primi. Esse sono penalizzate dal punto di vista normativo e, come abbiamo visto con Telecom Italia, subiscono pesantemente l’ingerenza della politica. Lo Statuto dei Lavoratori incoraggia il nanismo aziendale; fiscalmente si drenano risorse, attraverso ad esempio l’Ires e l’Irap, dalle aziende che fanno utili e si ridistribuiscono, come aiuti di Stato, a quelle in crisi, ribaltando la distruzione creatrice, facendola diventare agonia permanente. A questi coccodrilli interessa occupare, in un modo o nell’altro, tutti gli spazi ed i posti disponibili; piangono lacrime per gli imprenditori che non ci sono, ma sono lacrime false, gli imprenditori se li sono appena mangiati, quelli che provano ad arrivare li fanno scappare a gambe levate.

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