domenica 1 aprile 2007

Petrolio e guerra

Mi permetto di sottoporre a chi legge alcune considerazioni circa un recente articolo di Greg Palast su petrolio e guerra in Iraq, rilanciato in Italia da varie fonti, alcune neutrali, altre attivamente impegnate nella campagna di denigrazione dell’Occidente.
All’inizio della campagna irachena molti scrissero che gli americani andavano a prendersi il petrolio, oggi a qualche anno di distanza, constatiamo che la produzione di greggio non aumenta e, presumibilmente, fino a quando la sicurezza non sarà ristabilita gli investimenti infrastrutturali necessari andranno a rilento. Ma nella divisione del mondo tra buoni e cattivi agli americani spetta sempre quest’ultima parte, ed allora ecco che il fine analista riscrive il complotto: la guerra è servita per far aumentare il prezzo del greggio e far così guadagnare molti soldi alle figlie delle Sette Sorelle.
L’analisi parte subito con una palese contraddizione: all’inizio si afferma che c’era la chiara volontà degli americani di preservare i pozzi petroliferi, poco dopo si afferma che l’invasione vuole impedire agli iracheni di estrarre più petrolio e, come conseguenza di questa minore offerta, far aumentare il prezzo dello stesso. E’ evidente che, se lo scopo è quello di impedire l’estrazione, era molto più comodo bombardare i pozzi dal cielo, evitando così le critiche sulle vittime civili, piuttosto che procedere, come è stato fatto, con l’invasione di terra che, oltre tutto, provoca numerose perdite tra i soldati.
Tutto il ragionamento è poi inficiato da una considerazione generale: il prezzo del greggio è stato spinto verso l’alto dalla crescente domanda proveniente dall’Asia, in particolare dalla Cina, fare una guerra apposta per alzarlo è del tutto inutile; il mondo consuma 86 milioni di barili al giorno, se non ci fosse questa richiesta così sostenuta non basterebbe certo il taglio di due milioni di greggio iracheno a far lievitare il prezzo. La controprova è stato il periodo alla fine degli anni ’90 quando la crisi delle Tigri Asiatiche fece crollare il prezzo del petrolio, nessun taglio approvato dall’OPEC riuscì a far risalire le quotazioni fino al momento in cui l’economia mondiale non riprese a crescere.
L’autore ricollega la politica pacifista clintoniana al basso prezzo del petrolio, ma è una affermazione sorprendente, intanto Clinton ordinò diversi interventi militari e poi non risulta che l’Amministrazione Clinton si adoperasse per mantenere basso il prezzo, anzi destava preoccupazione il fatto che quel livello di prezzi stesse portando la Russia verso la bancarotta, con tutte le destabilizzanti conseguenze che ne potevano derivare.
L’aumento del prezzo, essendo espresso in dollari, è poi dovuto ovviamente anche alla debolezza attuale della valuta americana, in ogni caso faccio notare che la conseguenza di tutto ciò non è stata solo che le compagnie petrolifere hanno fatto grandi profitti in questi anni, ma anche alcuni governi hanno avuto enormi risorse da gestire, ad esempio Iran e Venezuela. Sarà contento Bush di questo? Saranno soddisfatti Chavez e Ahmadinejad della politica mediorientale di Bush? Forse questo ci verrà spiegato nei prossimi film di Michael Moore, ci verrà spiegato anche che l’intenzione di Bush di ampliare le trivellazioni in Alaska per aumentare la produzione americana è un astuto bluff, stesso discorso per l’accordo in Brasile sul biodiesel….
Una cosa è certa: più il prezzo aumenta, più diventa conveniente cercare alternative al petrolio, speriamo che i ricercatori facciano presto, così respireremo aria buona e non leggeremo più dietrologie petrolifere banali sui guerrafondai bianchi cattivi.

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