lunedì 11 giugno 2007

10, 100, 1000 Nassirya

In mancanza di idee, per fare notizia restano i disordini, le vetrine spaccate ed i cori infami, tra cui il famigerato 10, 100, 1000 Nassirya. Eppure quello slogan evoca una storia andata male, 10, 100, 1000 Vietnam auspicava infatti Che Guevara, entusiasmato dalle difficoltà americane nel sud-est asiatico. Ma forse oggi, se fosse vivo, dovrebbe ritrattare il suo auspicio, infatti oggi il Vietnam, dopo decenni di fallimenti economici e miseria, ha abbracciato il capitalismo, naturalmente alla cinese. Quindi un capitalismo senza libertà e senza democrazia, questo è oggi lo sbocco, 30 anni dopo il ritiro americano, la cui vittoria invece avrebbe evitato al popolo vietnamita la tragedia e i 1utti dell’esodo disperato dei boat people, avrebbe evitato il genocidio delle minoranze, la repressione e l’oppressione.
1000 di questi Vietnam volevano quelli che bruciavano le bandiere a stelle e strisce allora, anche se qualcuno dirà di no, che le intenzioni erano altre, ma la realtà è che i vietcong non hanno costruito una società nuova, senza sfruttamento, senza ingiustizie, senza disuguaglianza e la storia ha dato loro torto.

Oggi il nemico invocato da emulare, gli estremisti islamici, è un nemico diverso da allora e non possiamo contare sull’effetto del tempo, che finirà per darci ragione. Non possiamo contarci perché, a differenza dei comunisti di allora, non c’è una promessa di benessere alla base della loro ideologia. Per i comunisti il riscatto economico delle masse è l’obiettivo dichiarato ed è un obiettivo misurabile, un obiettivo che a distanza di anni misura il fallimento di un modello. Invece per gli estremisti islamici l’instaurazione del loro regime è il fine stesso delle loro azioni di propaganda e di violenza.

Churchill dichiarò una volta che, se Hitler avesse invaso l’inferno, ci si doveva alleare con il diavolo; in fondo il ragionamento dei no-global è analogo: chiunque combatte gli USA è loro alleato, quindi vanno bene anche i Talebani o i terroristi che uccidono i nostri carabinieri in Iraq.
Tornando allo slogan ed a Che Guevara possiamo dire, parafrasando Morpheus, che alla Storia non manca il senso dell’ironia: il Comandante Guevara, fiero oppositore della civiltà del business e del marketing, è diventato un’icona, un logo per t-shirt, i suoi epigoni odierni non sono da meno, fieramente contrari alla globalizzazione omologatrice, sono però curiosamente tutti uguali, hanno un look inconfondibile, curato nei dettagli ed assolutamente internazionale, dall’America, all’Europa si riconoscono immediatamente.

Un’altra somiglianza li lega al loro modello: anche lui promuoveva a parole grandi ideali, pace, giustizia, ma pochi fatti e nessuna idea da rendere concreta; certo lui ha fatto la guerra, cosa che per i pacifisti di oggi ha un grande valore, ma il contributo bellico in cui si è distinto maggiormente è stato quello di infierire su prigionieri inermi, imitato oggi da quelli che impiccano inoffensivi fantocci durante le manifestazioni.

Un pregio glielo riconosco: vanno in piazza col volto coperto, ma mostrano a tutti senza ipocrisia la faccia di un’ideologia che giustifica la violenza e l’intolleranza. E’ il volto moderno di un filo ininterrotto di odio che percorre la nostra storia italiana da decenni e che è sempre vivo. Eppure è una violenza sterile, perché è ormai un distruggere senza avere poi nulla da costruire in alternativa. Sono in definitiva comportamenti infantili fuori tempo massimo, questi cortei ripetitivi sembrano una stanca recitazione, sono il mito del ’68 cristallizzato e continuamente riproposto all’infinito, come fanno i dannati nei gironi dell’inferno dantesco. Il lancio degli oggetti, il rogo delle effigi dei nemici, sono ormai riti, esorcismi reiterati, forse per assicurare al mondo ed a sé stessi di esserci ancora, di essere vivi. Però questa ideologia neomarxista che muove i cortei no-global esiste solo a metà: non c’è più il fare, non si lotta a favore di qualcosa, sa esistere solo al negativo, contro qualcosa o qualcuno. Ha bisogno di un nemico, di un governo, di un presidente, ha bisogno delle forze dell’ordine, ha bisogno di simboli da odiare, di bandiere altrui da bruciare perché non ne ha più di proprie da sventolare, ha bisogno delle guerre degli altri. Nomen omen dicevano gli antichi, il destino è racchiuso nel nome, si chiamano gruppi antagonisti, quindi hanno bisogno di noi per esistere, ma noi, invece, di loro possiamo farne volentieri anche a meno.

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