martedì 19 giugno 2007

Kosovo, confini e profughi

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il principio guida dell’intangibilità dei confini degli Stati è sempre stato richiamato in occasione di ogni crisi internazionale.
Questo principio parte dal presupposto che troppe guerre sono state combattute per spostare avanti e indietro dei confini, magari di pochi chilometri e ciò non deve essere ripetuto; si voleva soprattutto impedire che il confine tracciato tra Germania e Polonia, estremamente punitivo per i tedeschi, potesse far sorgere dispute future. L’esistenza delle minoranze doveva essere tutelata all’interno dei vari Stati e non diventare motivo di possibili conflitti. Come tutti i principi rigidi, anche questo si è scontrato in questi decenni con varie realtà che mal vi si adattano, inoltre le potenze mondiali, garanti di questo principio lo hanno interpretato, ovviamente, a seconda delle convenienze.

E’ difficile giudicare se sia un principio veramente utile per prevenire conflitti armati, personalmente credo che ogni Stato debba perseguire i propri scopi con realismo e talvolta cambiare i confini, creare entità statali può essere il metodo migliore, sia per tutelare i propri interessi, sia per evitare tragedie maggiori.
Le vicende della Jugoslavia, il suo disfacimento e le guerre che ne sono conseguite, danno un’indicazione in merito: una volta che il principio viene disatteso bisogna essere pronti ad affrontarne le conseguenze fino in fondo. La divisione della confederazione in 5 nuovi Stati, in un quadro etnico così complicato, ha innescato nuove rivendicazioni a catena, con una spirale di disgregazione ed atomizzazione di cui non si vede la fine.
L’Unione Europea ha dato, durante la crisi jugoslava, la peggior prova di sé: si è mossa in ordine sparso, ha incoraggiato la secessione di Slovenia e Croazia; dimenticandosi tutta la retorica usata durante la rievocazione delle stragi naziste, non ha saputo usare la forza per difendere le popolazioni dal genocidio, non ha espresso nessuna idea sulla sistemazione futura di quei territori. Alla fine è stato l’intervento degli USA a porre fine al massacro. Certo gli americani sono intervenuti alla loro maniera: hanno individuato un cattivo, Milosevic, che del resto si prestava perfettamente per il ruolo, lo hanno preso a mazzate, una parte ha vinto l’altra ha perso. Una guerra complicata, dove ragioni e torti erano difficili da districare è stata risolta con un colpo di spada.

A qualche anno di distanza lo status del Kosovo è ancora da decidere, le forze di sicurezza internazionali sono ancora sul posto, tutti sanno che l’indipendenza è inevitabile, ma nessuno vuole affrontare la questione, il rinvio finora è stata la soluzione più semplice.
Credo sia interesse di tutta Europa superare questo empasse, se c’è una ragione per cui gli albanesi del Kosovo possono staccarsi dalla Serbia ed invece i serbi non possono staccarsi dalla Bosnia, allora tiriamola fuori, sosteniamola di fronte alla Russia ed al mondo; altrimenti bisogna cercare un compromesso, che sicuramente scontenterà tutti, ma in grado di dare qualche compensazione a chi ha perso casa e territorio, di togliere qualche argomento agli ultranazionalisti di Belgrado e possibilmente di chiudere questo capitolo tragico della storia europea.

L’Italia, per ragioni storiche, dovrebbe essere più sensibile di altri all’argomento, perché ha avuto i suoi profughi dall’Istria e dalla Dalmazia. La memoria storica, però, è sempre latitante dalla nostra scena politica e questo caso non fa eccezione.

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