martedì 21 agosto 2007

L'era del petrolio



“L’era del petrolio” di Leonardo Maugeri ripercorre la storia del petrolio, le caratteristiche del suo mercato, i rapporti tra società petrolifere, governi e opinione pubblica. Il libro è molto scorrevole, le tesi espresse sono supportate da cifre ed esempi ricavati da casi concreti.

La foto che apre il post non fa parte del libro in questione ma simboleggia bene uno dei concetti base espressi: quando il costo di una risorsa cresce si cercano soluzioni alternative. La foto proviene dal sito della SkySails una società che produce e commercializza dei giganteschi aquiloni che, funzionando come un kite, dovrebbero aiutare lo spostamento delle navi consentendo un risparmio di carburante di almeno 10%. Non so se l’idea avrà successo ma indica proprio come gli attuali prezzi del petrolio stanno mettendo in moto un processo già avvenuto in passato.
Il meccanismo è più o meno questo: quando il prezzo è basso si abbandonano i pozzi da cui è troppo costoso estrarre il greggio, inoltre non ci sono né le risorse né lo stimolo a cercare nuovi giacimenti; in questo modo, lentamente, l’offerta diventa inadeguata e nel momento in cui si manifesta un surriscaldamento della domanda i prezzi cominciano a salire.
Viceversa un periodo di prezzi alti innesca due reazioni: la prima è data da nuove ricerche di giacimenti e la possibilità di avere profitto anche là dove l’estrazione è molto onerosa. L’altra reazione è la sostituzione del petrolio con altre fonti o la ricerca di motori più efficienti. Entrambe le reazioni hanno tempi lunghi ma quando giungono a maturazione provocano un eccesso di offerta ed il crollo dei prezzi. Il libro è ricco di esempi storici di questo andamento schizofrenico e imprevedibile (perché legato a innumerevoli fattori complementari).

Ogni volta che i prezzi salgono, come la fase attuale che stiamo vivendo, sembra che sia un aumento definitivo e che il progressivo esaurimento delle riserve sia imminente. I dati snocciolati dall’autore suggeriscono però che la parola fine sull’era del petrolio è ancora lontana.
Il dato che mi ha impressionato di più riguarda i pozzi: negli Stati Uniti, dove l’industria petrolifera è nata e dove numerose imprese private hanno lottato per la ricerca di risorse sono stati perforati oltre un milione di pozzi esplorativi, in tutto il Golfo Persico ne sono stati perforati 2000!!! Considerando solo il decennio tra il 1995 ed il 2004 il dato è questo: 15.700 pozzi negli USA, meno di 100 nel Golfo Persico. Nel 2005 oltre metà della produzione giornaliera dell’Arabia Saudita, quindi circa 5,5 milioni di barili, provengono da un unico giacimento, Al-Ghawar, entrato in produzione nel 1951. Quindi ad oggi è ragionevole prevedere che, se il petrolio verrà sostituito a breve, non sarà a causa del suo esaurimento.

Piuttosto la criticità sollevata da Maugeri a questo proposito è un’altra: nei paesi più ricchi di greggio l’attività è affidata a società statali altamente inefficienti che sfruttano male i giacimenti, cosa che può portare a rendere i giacimenti stessi non più fruibili ben prima che il greggio ivi contenuto sia finito. Dall’altro lato le società occidentali con la loro tecnologia sono in grado di sfruttare al meglio le risorse, ma hanno spazi in cui operare sempre più ristretti.

I dati più consistenti che suggeriscono l’esaurirsi del petrolio sono quelli relativi alla capacità inutilizzata, che è molto bassa, quindi i paesi produttori stanno estraendo praticamente tutto il greggio che attualmente sono in grado di mettere sul mercato, inoltre le scoperte di nuovi giacimenti sono minori dei consumi annuali. Queste situazioni sono inevitabili alla luce dei due decenni passati di bassi investimenti, ovviamente chi non cerca non trova.

Ecco alcuni effetti delle precedenti fasi di prezzi alti: nel 1980 gli USA consumavano 1,8 barili di petrolio ogni 1000 dollari di PIL prodotto, nel 2004 siamo a 0,6 barili. Nel 1978 consumavano 32 barili a testa all’anno, oggi siamo a 26. Le leggi dell’economia funzionano a prescindere dalle pianificazioni: ciò che è caro viene risparmiato. Oggi tutti gli Stati più avanzati, eccetto l’Italia, non usano petrolio per produrre energia elettrica. Per il momento è insostituibile per i trasporti (e la chimica) ma anche in questi settori, la regola è la stessa.

Questi meccanismi spiegano anche perché il petrolio come arma di ricatto dei paesi produttori nei confronti dei consumatori ha senso solo nel breve periodo, anche di recente il presidente iraniano ha ventilato l’embargo ma a conti fatti ha più bisogno lui dei nostri soldi che noi del suo petrolio.

domenica 19 agosto 2007

Destra Sociale ieri e oggi

Il nuovo movimento di Francesco Storace, denominato La Destra, nasce per raccogliere tutti coloro che, a disagio con la linea politica dettata da Fini ad Alleanza Nazionale, vogliono raccogliersi su posizioni più tradizionali della destra italiana.

Non è solo un problema di contenuti che ha provocato lo strappo ma, a detta dello stesso Storace, anche e soprattutto di metodo: dentro AN non ci sono spazi per esprimere opinioni diverse dal leader e non ci sono regole in grado di garantire alla base di informare ed influenzare i vertici del partito. Su quest’ultimo punto mi è difficile fare una valutazione, non sono mai stato iscritto ad alcun partito e dal di fuori è difficile giudicare se queste accuse sono fondate. Di sicuro dall’esterno si nota uno scarso rinnovamento dei quadri dirigenti, certo la mancanza di figure nuove ed un po’ più giovani è un tratto comune a tutti i partiti.

Sui temi politici ci sono delle cose apprezzabili ed altre a mio avviso più discutibili.

Apprezzabile il fatto di volersi muovere all’interno di una logica di coalizione e di proposta per governare, il nuovo movimento non cerca uno splendido isolamento ma resta all’interno della Casa della Libertà.
Condivisibile la critica di aver lasciato ad altri partiti alcuni temi sentiti nell’opinione pubblica: la sicurezza alla Lega, il cambiamento a Forza Italia, la moralità in politica all’Italia dei Valori.
Ho trovato positivo anche il richiamo a Fiuggi e la volontà di non tornare ad una posizione di politica estera aprioristicamente antiatlantica.

Discutibile l’avversione preventiva per il Liberismo. Discutibile non perché non sia legittimo che una forza politica si proponga altre politiche economiche, ma perché porsi a priori contro il liberismo in Italia è un po’ come essere contro i pinguini in Egitto. Voglio dire che l’Italia non brilla a livello mondiale per il suo libero mercato ma piuttosto per una presenza invasiva dello Stato nella vita economica. C’è da aspettarsi dunque che questa Destra, che vuole essere sociale, espliciti la propria socialità con forme e proposte nuove, perché altrimenti finisce per dare l’immagine di chi difende un vecchio statalismo che lungi dal rappresentare uno Stato forte, rappresenta invece uno Stato che, volendo fare tutto, non riesce a raggiungere nessuno scopo che si prefigge.
Tra l’altro, come ha fatto notare Giordano Bruno Guerri, una delle critiche mosse a Fini è quella di trasformare AN in una specie di DC, ma il sistema economico che sembra proporre Storace assomiglia proprio al modello delle partecipazioni statali democristiano.

Ovvio che la realtà è molto variegata, non tutto ciò che è Stato è come la RAI o l’Alitalia, è importante però ammettere che tante imprese in concorrenza tra di loro possono essere più sociali di un monopolio statale.
A differenza del Movimento Sociale Italiano, che respingeva per principio qualunque classe sociale di riferimento, così come ne respingeva il concetto stesso, Alleanza Nazionale alla sua nascita cercava di esplicitare alcune categorie economiche come interlocutori privilegiati. Queste categorie erano quelle escluse dal binomio Confindustria- Triplice sindacale, che erano preposti a trattare le decisioni politiche ed organizzare il consenso nella Prima Repubblica. AN voleva parlare quindi alla media e piccola impresa, ai professionisti, ai commercianti, agli artigiani, ai disoccupati, ai precari.
A mio avviso tutto l’insieme dei principi e dei programmi di un partito va al di là delle sole questioni economiche e quindi per sua natura si rivolge a tutti, tendenzialmente gli ideali sono universali, i programmi coinvolgono alcune categorie di cittadini, in ogni caso, con o senza blocco sociale di riferimento, le risposte e le proposte alle varie categorie bisogna darle. Sugli ideali la Destra di Storace si è già espressa, sui programmi vedremo nei prossimi mesi.

giovedì 9 agosto 2007

La notizia più importante di oggi

Non so se i giornali ne parleranno o come al solito si dilungheranno a commentare le ultime dichiarazioni inutili del politico di turno, ma oggi la BCE ha immesso qualcosa come 100 miliardi di euro di liquidità sul mercato.
Un intervento di queste dimensioni non si vedeva dai giorni dell'attentato alle Torri Gemelle, evidentemente a Francoforte si sono resi conto che la situazione dei bad loans americani sui mutui potrebbe essere più grave del previsto.
Il fatto clamoroso è che solo martedì, senza che fosse obbligata a farlo, la Banca Centrale ha praticamente preannunciato, per settembre, l'ennesimo rialzo dei tassi di interesse. Nell'arco di due giorni quindi abbiamo assistito ad una inversione ad U, per carità tutti possiamo sbagliare, certo noi comuni mortali quando prendiamo queste cantonate sul lavoro veniamo cazziati, mentre i banchieri centrali non so.
Sarebbe bello che la prossima volta ci andassero più piano con dichiarazioni tipo: prevediamo che le materie prime costeranno di più (bravi dateci anche le quote come fanno i bookmakers)quindi alzeremo i tassi (non è che poi i prezzi delle materie prime aumetano lo stesso e noi ci troviamo cornuti e mazziati e con l'Euro-forte troppo forte?).

mercoledì 1 agosto 2007

Lancio con il paracadute. Lucca, 28 marzo 2004

L'armata nel deserto




“L’armata nel deserto” di Arrigo Petacco è la storia della guerra in Nordafrica durante il secondo conflitto mondiale.

La guerra che ci descrive Petacco è una guerra (forse l’ultima) combattuta tra nemici irriducibili ma rispettosi di quelle regole che, anche in un contesto terribile, cercano di non far perdere un barlume di umanità. A differenza degli altri scenari dove si combatte la Seconda Guerra Mondiale, in Norafrica gli Inglesi, gli Italiani ed i Tedeschi si combattono senza cedere alla crudeltà ed alla spietatezza gratuite.
La figura che domina soprattutto la prima parte del libro è quella di Rommel.
In una guerra fatta di macchine riesce ad imporsi come un condottiero all’antica, che grazie alle sue capacità riesce a dettare la trama agli avvenimenti. Usa la sorpresa, il morale, il movimento come elementi decisivi.

Come si intuisce dal sottotitolo del libro: “Il segreto di El Alamein”, la narrazione è spezzata tra un prima e un dopo la battaglia decisiva.
Il segreto di cui parla Petacco è quello legato al fatto che gli inglesi erano in grado di decriptare le comunicazioni tedesche, con effetti devastanti soprattutto a danno della nostra marina, i cui movimenti conosciuti in anticipo, consentivano alla marina inglese di colare a picco gran parte dei rifornimenti spediti verso l’Africa.
La battaglia di El Alamein in realtà è decisiva solo in quanto punto di svolta non più reversibile ma, a posteriori, appare chiaro che non ci sono segreti e che le sorti erano già decise. L’attimo fuggente in cui il destino è in bilico e basta poco per far pendere le sorti per una parte o l’altra era già passato. Gli eserciti arrivano all’appuntamento con la Storia di El Alamein in situazioni opposte: gli Italiani ed i Tedeschi, per quanto vincenti sono stremati e lontanissimi dai rifornimenti delle retrovie; gli Alleati, invece, anche se in fuga da mesi, hanno raggruppato forze ingenti. Montgomery dispone di più mezzi, più uomini, più munizioni, più carburante, più acqua: può solo vincere.
Ciononostante la battaglia entra giustamente nel mito, il senso del dovere mostrato dai militari italiani, quel senso del dovere, quello spirito di corpo, che ti fa resistere ad ogni costo e che sconfina nell’eroismo, rimarrà per sempre legato a quei luoghi.
I due paragrafi dedicati alle divisioni Ariete e Folgore sono imperdibili, sono due paginette ma valgono da soli l’acquisto del libro. Questo l’ultimo comunicato radio pervenuto dall’Ariete alle 15:30 del 4 novembre: “Carri nemici penetrati a sud dell’Ariete. Conseguentemente Ariete circondata, ma Ariete continua a combattere”.
Dal paragrafo “La morte della Folgore” il resoconto dell’appello del 6 novembre: “…alle 14, esaurite anche le cartucce, il colonnello Luigi Camosso decise di arrendersi…” “…il maggiore Zanninovich dopo avere dato l’attenti, presentò la forza al colonnello: “Ufficiali trentadue, truppa duecentosettantadue”. Erano partiti in cinquemila dall’Italia.”

Ci dicono che noi italiani siamo buoni solo a solo a fregare il prossimo, che non abbiamo amici e alleati, ma solo protettori da adulare e protetti sacrificabili, che siamo inaffidabili, voltafaccia, incapaci di concepire il bene comune; ma la memoria del passato serve a ricordarci che, se lo vogliamo, possiamo essere migliori di come ci descrivono.

martedì 31 luglio 2007

Risparmio energetico 2


I miei cani adorano passeggiare nei boschi, soprattutto se non fa troppo caldo, come loro anch’io amo stare in mezzo alla natura; odio il modo in cui i gas di scarico anneriscono le nostre città e rendono l’aria puzzolente e nociva, proprio per questo cerco di capire come si potrebbe andare verso un mondo più pulito.

Certamente ci sono oggetti che richiedono meno energia per essere prodotti e meno energia per usufruirne di altri. Considerando l’esempio proposto da Scriccia, 50 euro di benzina inquinano di più di 50 euro di biglietto ferroviario. Teniamo però presente che se mille abitanti di una metropoli seguono il comportamento virtuoso e con i soldi risparmiati in bolletta prendono il treno, le ferrovie dovranno mettere in campo un nuovo convoglio che per essere mosso richiede energia elettrica. Io tengo moltissimo all’ambiente e credo che sia una delle sfide più importanti da affrontare, il ragionamento sul risparmio energetico vuole essere un modo per riflettere sul fatto che siamo di fronte a problemi che non hanno risposte a costo zero.

Produzione dell’energia, rifiuti, ambiente, è tutto concatenato. Sicuramente l’approccio che punta sulla responsabilizzazione dei comportamenti individuali, evitare gli sprechi, riciclare ecc. è una parte importante della risposta a questi problemi, ma deve essere accompagnata a delle risposte di “sistema”, ad esempio su come vogliamo produrre l’energia che usiamo. In Italia, per quanto riguarda l’elettricità, usiamo gas e petrolio, una quota carbone e c’è una parte rilevante di idroelettrica. La scelta di puntare, in questi ultimi anni, sul gas mi sembra che sia stata presa senza che a livello politico e di opinione pubblica ci fosse un dibattito sui pro e sui contro, in generale siamo un paese che quando può sceglie di non decidere e questo ci ha fatto diventare il più grande importatore di energia elettrica. Non decidendo come produrla la compriamo dai vicini che la generano prevalentemente con centrali nucleari. Curiosamente, da un punto di vista strettamente economico, questo fatto non è del tutto negativo, visto che, da quanto ho letto, quella che compriamo dall’estero costa meno di quella che ci produciamo in casa.

Il ragionamento che ho fatto nel post precedente cerca anche di spiegare come mai nei paesi dove si sono fatti passi avanti enormi nella direzione del risparmio energetico, ad esempio la Danimarca, l’ammontare complessivo dell’energia consumata non è diminuito.
In realtà un modo per trasformare il risparmio energetico individuale in risparmio complessivo c’è: grazie ai 50 euro che abbiamo risparmiato in bolletta decidiamo di lavorare un giorno in meno. In questo modo a livello aggregato il reddito totale è invariato ma con un livello di consumo energetico minore. La controindicazione c’è però anche in questo caso e non è di poco conto: senza crescita economica, o con crescita negativa, le condizioni economiche di tutti tendono a peggiorare, di conseguenza chi si trova ai limiti della sussistenza scivolerà nella povertà.
Purtroppo, lo dico senza ironia, mantenere 7 miliardi di persone, far uscire dalla miseria intere popolazioni e non inquinare è un cerchio difficile da far quadrare, quasi sempre se si migliora da un lato si peggiora dall’altro, negli anni Cinquanta e Sessanta in Cina si moriva letteralmente di fame: i consumi energetici erano una frazione di quelli odierni.

Comunque non disperiamo, soprattutto nei paesi avanzati, molti passi avanti sono stati fatti, in termini materiali di minori emissioni ed in termini di coscienza del problema. Come italiani dovremmo semplicemente metterci d’accordo e fare delle scelte… beh forse facciamo prima ad aspettare che il resto del mondo salvi il pianeta.

venerdì 27 luglio 2007

Le 20 scene mitiche del cinema


Prendendo spunto dal blog di Dario Vassallo che cita le dieci scene più memorabili della storia del cinema, metto le mie venti (dieci erano poche!):


Il Corvo: vittime lo siamo tutti!



Highlander: Kurgan mozza la testa a Connery NE RESTERA’ SOLO UNO!!


Lo chiamavano Trinità: i mormoni preparano la tavolata per il pranzo, ma arriva la banda di banditi messicani che li perseguitano, stavolta però tra i commensali ci sono anche Bambino e Trinità, cioè Bud Spencer e Terence Hill.




Il cacciatore: alla fine della festa i due amici ubriachi corrono nudi nella notte, l’amico si fa promettere da De Niro che qualunque cosa succederà non lo lascerà in Vietnam, la promessa verrà mantenuta…



Conan il Barbaro: Conan trova la spada degli avi, spezza le catene e rinasce a nuova vita


LA confidential: la scena del poliziotto buono e del poliziotto cattivo



Mission Impossible II: Ethan Hunt, Tom Cruise, facendo un lavoro noioso qund'è in vacanza si diletta con il free climbing



Revenge: Costner cerca di fare una spremuta di agrumi ma con Madeleine Stowe nei pressi è un’operazione difficilissima



Matrix: appare Morpheus e ti chiede pillola rossa o pillola blu?



Il Gladiatore: le gesta che compiamo in vita riecheggiano nell’eternità



Carlito’s way: alla fine del film il sole del cartellone che tramonta



C’era una volta il West: il duello finale tra Charles Bronson e Henry Fonda con flash back e armonica in sottofondo

Alien: il robot viene “riesumato” per sapere la verità sulla missione, poi il negrone gli stacca la testa con un pugno

Rocky: Balboa si allena e ascende la scalinata di Philadelphia

Terminator: senti suonare il campanello apri la porta è che Scharzenegger che ti chiede “è lei Sara Connors?”

Braveheart: "Agonizzanti in un letto, tra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere l'occasione, solo un altra occasione, di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita ma non ci toglieranno mai la libertà!"

The program: Steve Lattimer scelto tra i titolari è così esaltato che spacca i vetri delle macchine a testate.

The Blues Brothers: la casa salta in aria ma loro impassibili partono, hanno una missione da compiere, per conto di Dio…

Una poltrona per due: Dan Aykroyd si risveglia nel suo letto pensa di aver avuto un incubo e si vede davanti Eddie Murphy

L’esercito delle 12 scimmie: Brad Pitt dà del matto a Bruce Willis che lo sta affrontando alla brutta maniera.

lunedì 23 luglio 2007

Modello economico del Fascismo

La difficoltà principale nell’affrontare i temi inerenti al fascismo è che si è trattato di un fenomeno estremamente sfaccettato, che ha avuto una dimensione quotidiana ed una ideale spesso molto distanti, per cui c’è una grande diversità tra ciò che il fascismo è stato, ciò che avrebbe voluto essere, ciò che avrebbero voluto fosse stato quelli che l’hanno vissuto e quelli che sono venuti dopo. In poco più di venti anni il fascismo si trasforma da piccolo movimento politico a regime, attraversando quindi fasi diverse che gli storici si sono applicati ad etichettare in vario modo: età del consenso, periodo delle guerre e via dicendo. Quindi a seconda dell’aspetto e del periodo che si considera troviamo un fascismo un po’ diverso, anche perché mentre Mussolini era impegnato a rafforzare il regime ed a fascistizzare l’Italia, succedeva che la società italiana in qualche modo italianizzava il fascismo, lo normalizzava, in una qualche misura lo svuotava sia degli elementi di innovazione, di cui era portatore, sia di quelli più esecrabili.
Spesso si citano i regimi totalitari del XX secolo e vi si accosta anche il fascismo. In effetti (scusate la contraddizione in termini), il fascismo è stato totalitario solo in parte; ha cioè organizzato in modo autoritario tutta una serie di aspetti della vita individuale: istruzione, organizzazione politica, informazione ecc, ma a differenza dei regimi totalitari tout court, che non concepiscono al loro interno alcuna espressione indipendente dal regime, il fascismo ha permesso la sopravvivenza, o perlomeno Mussolini non ha avuto il coraggio o la forza di eliminare, di organizzazioni, non fasciste. Tra questi elementi che anno convissuto con il regime, partecipandovi ma senza esserne inglobati, ricordiamo la monarchia, parte delle forze armate, la Chiesa cattolica, le cui espressioni politico – sindacali sono state smantellate dallo squadrismo ma che, soprattutto dopo i Patti Lateranensi, hanno potuto ritagliarsi un po’ di spazi per continuare a vivere. Queste forze non hanno saputo comunque frenare i comportamenti più deleteri del fascismo: l’uso della violenza, la censura, il razzismo e nel momento della caduta di Mussolini non hanno saputo impedire lo sfascio del paese.

Il Fascismo non ha un vero modello economico di riferimento, perlomeno non nasce propugnandone uno precisamente definito. Il Fascismo rivoluzionario delle origini si rifà genericamente alla categoria dei produttori, ma in ogni caso il riscatto economico promesso è presentato più come un riflesso derivante dall’edificazione di uno Stato Nuovo, che non il nucleo centrale della nuova ideologia. I valori ed i caratteri che emergono come parole d’ordine del Fascismo toccano marginalmente gli aspetti economici: c’è il nazionalismo, il reducismo, il cameratismo, il militarismo. C’è l’ordine, il dovere, ci sono gli arditi, i futuristi, i dannunziani… il programma economico è meno variegato: il Fascismo nasce come movimento militante antibolscevico. L’uso della violenza è parte integrante di questo obiettivo minimale. Il Fascismo si presenta come garante della proprietà privata, in anni in cui una rivoluzione sovietica sembra plausibile anche in Europa occidentale. Una volta preso il potere, mentre alcuni temi, come l’instaurazione della repubblica, il federalismo, l’anticlericalismo vengono messi da parte, si procede prioritariamente alla costruzione di un sistema fascista all’interno delle strutture esistenti.

Nel frattempo con la Carta del Lavoro il Fascismo esplicita un proprio modello economico che vuole essere una terza via tra Capitalismo e Comunismo. E’ lo Stato Corporativo, nel quale lo Stato ha l’autorità di dirigere e dirimere tutte le questioni relative al mondo produttivo, si afferma tuttavia che “Lo Stato corporativo considera l'iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell'interesse della Nazione” (art. 7), si chiarisce inoltre all’articolo 9 che:
“L’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l'iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello Stato”.
La gestione dell’economia diventa la parte più urgente da affrontare soprattutto quando, alla fine degli anni Venti la recessione colpisce il mondo intero.
Si innesta quindi il processo che porta alla creazione dell’IRI e a un coinvolgimento maggiore dello Stato nella gestione diretta di attività produttive. Questo spostamento verso una statalizzazione avviene però senza che sia elaborato concettualmente un nuovo modello di riferimento.
Il Corporativismo “taglia” la società in modo verticale, respingendo la divisione in classi (bassa, media, alta), propugna invece delle Corporazioni che racchiudano in sé lavoratori, operatori, dirigenti e imprenditori di uno stesso settore produttivo. Di fatto il Corporativismo più che un modello economico è un modello che attiene ai rapporti di lavoro ed alle relazioni sindacali.
Esso appare come un sistema rigido, ma bisogna dire che nasce in un’economia che si evolveva in modo molto meno rapido di oggi, l’Italia degli anni Venti e Trenta è un paese agricolo, basta guardare qualche foto d’epoca delle nostre città e cittadine, un po’ ovunque (non solo in via Gluck!), dove oggi ci sono quartieri all’epoca c’era l’erba, o meglio orti.

martedì 17 luglio 2007

Gran bella cosa il risparmio energetico, ma...

C’è in corso una vasta campagna per sensibilizzarci ad un uso responsabile delle risorse energetiche. Devo dire che qui in zona, in Liguria, il risparmio non è certo una novità, anzi è sempre andato di moda. Mi ricordo, ad esempio, che già parecchi anni fa, quando ero piccolo, i miei genitori mi dicevano di non lasciare la luce accesa nella stanze da cui uscivo. Sono quindi cresciuto con una convinta avversione verso ogni forma di spreco. Lo spreco è antieconomico: un’impresa che spende 1.000 euro di bolletta, quando potrebbe spenderne 500, si priva di risorse impiegabili in altro modo. Il punto debole della campagna è proprio questo: i cosiddetti ecologisti fanno passare il messaggio che il risparmio possa essere la soluzione del problema energetico, cioè usiamo meno la lavastoviglie e così chiudiamo una centrale termoelettrica.
Questa è un’idea priva di senso: il risparmio che realizzo in bolletta o andando in bicicletta invece che in macchina si traduce in maggior reddito disponibile. Ciò significa che avrò più soldi a disposizione con cui posso, ad esempio, comprarmi un condizionatore d’aria, o farmi un week end in vacanza (consumando carburante), o comprarmi qualsiasi oggetto che ha richiesto energia per essere prodotto. Quindi il mio comportamento virtuoso accresce la mia ricchezza ma non riduce il fabbisogno energetico nazionale. Volete la controprova? Negli ultimi decenni l’efficienza energetica degli elettrodomestici, delle centrali, dei motori è andata aumentando eppure la quantità di energia consumata è aumentata ugualmente. L’unica via per ridurre i consumi globali è lavorare meno, guadagnare meno, consumare meno, cioè la recessione, l’impoverimento. Quindi abbasso gli sprechi, viva il risparmio, che ci fa più ricchi, MA non risolve il problema di produrre energia e di decidere come farlo.

domenica 15 luglio 2007

Milton Friedman di Antonio Martino


La biografia di Milton Friedman scritta da Antonio Martino è un vero concentrato di spunti interessanti. Il libro è scritto in modo volutamente semplice e richiede solo una “infarinatura” generale di nozioni economiche per poter essere seguito ed apprezzato, è un testo imperdibile per chiunque voglia mettere alla prova le proprie convinzioni in materia di libero mercato, statalismo, inflazione e benessere economico.

Martino descrive l’ambiente accademico degli anni ’60, in cui i precetti keynesiani erano dogmi indiscussi, sottolineando come l’opera di Friedman abbia riaperto i giochi mettendo in discussione ed in definitiva smentendo quel tipo di approccio. Avendo fatto l’Università negli anni ’90 devo peraltro dire che qui da noi Keynes vandava ancora piuttosto forte.
Non posso non citare dal libro questi passaggi su Keynes che descrivono così bene un atteggiamento mentale molto diffuso ancor oggi nel nostro paese:

“il suo statalismo (di Keynes of course) è paternalistico ed aristocratico, basato sulla concezione che sia diritto e dovere della borghesia colta dirigere gli affari del Paese”

… infatti:

“intento di Keynes è, scopertamente, quello di persuadere le elites, siano esse politiche o accademiche o culturali; ciò in perfetta coerenza con le sue origini ed il suo temperamento aristocratico. Nei suoi scritti politici Friedman invece si rivolge all’opinione pubblica, all’uomo della strada, e questo sia per la sua radicata , profonda sfiducia nei confronti di politici, uomini d’affari, intellettuali, gente che conta, sia per quella sua inclinazione democratica, frutto delle sue umili origini.”

E mentre le politiche suggerite da Friedman mettono a repentaglio le rendite di posizione dei ceti privilegiati, in primis i politici, all’opposto:

“Keynes sosteneva tesi molto gradite all’establishment e ai politici, di cui l’applicazione delle sue ricette di politica economica allargava enormemente il potere”

Il libro affronta il ruolo della moneta, dei cambi, dei tassi di interesse e dei sindacati. Dimostrando che questi ultimi non possono creare inflazione, ma possono invece creare disoccupazione. Per inciso si dimostra anche l’inesistenza del legame inverso tra inflazione e disoccupazione.

Un’obiezione comune alle politiche liberiste è che i mercati non sono in equilibrio lasciati a loro stessi, si tratta però di un’obiezione ad un’argomentazione inesistente, infatti Martino chiarisce che i mercati non raggiungono l’equilibrio automaticamente da soli, dimostra però che le politiche interventiste nel migliore dei casi non servono, ma spesso peggiorano gli squilibri.

Un’ultima citazione: “è sbagliato credere che l’efficienza sia il prodotto di manager qualificati; è esattamente vero il contrario: i manager qualificati sono il risultato di mercati efficienti, che eliminano gradualmente quanti non riescono a rispettare le regole della concorrenza”.

Ambiente competitivo, adattamento, selezione: tutte premesse per lo sviluppo economico.
Ma in Italia, mentre celebriamo la nascita di grandi gruppi bancari, le imprese italiane sono quasi assenti dai settori più innovativi.

sabato 14 luglio 2007

LUPO SOLITARIO

Le sere che mi sento particolarmente stanco, lascio stare il computer e guardo qualcosa in televisione. Spesso la cosa migliore da vedere è qualche vecchio film e quindi mi è capitato di recente di rivedere per l’ennesima volta “Il Santo” con Val Kilmer. Il film è leggero, non si preoccupa certo della verosimiglianza, ma ha tutti gli ingredienti che mi fanno piacere una trama: c’è un po’ di azione, c’è il buono che è anche un po’ cattivo, c’è una fanciulla da conquistare e da salvare. Capita talvolta, quando si rivede un film, di fare caso a particolari o frasi che le altre volte non si erano notate e così aprendo il mio blog mi è venuta in mente la scena in cui il protagonista, per conquistare una bella scienziata, cerca di delinearne la personalità, i sogni, le debolezze e le qualità. Azzecca il profilo facendo colpo, anche perché aveva letto il diario della stessa, introducendosi furtivamente in casa sua e quindi ha avuto gioco facile nel toccare le corde giuste. Lei però prende la palla al balzo e senza trucchi fa una radiografia dell’anima del Santo, cosa che lo colpisce profondamente, facendone vacillare le sicurezze ed il distacco professionale con cui affronta la missione di carpire una formula segreta elaborata dalla scienziata stessa, interpretata da Elisabeth Shue.

Aprendo quindi il mio blog mi sono fatto un po’ di auto-psicoanalisi, soffermandomi in particolare sull’immagine che fa da sfondo alla testata.
Non ricordo esattamente come avevo trovato l’immagine del lupo nel bosco, ma mi era piaciuta subito e quindi l’ho adottata come sfondo. Quel lupo solitario mi rappresenta bene, un lupo solo.

Solo contro tutti, solo contro il mondo. Un lupo che cerca nella penombra del bosco un po’ di pace.
Ti guardo e ti vedo lupo solitario, sei stanco ma non puoi fermarti. Hai un fuoco dentro, sei un lupo che ama la lotta, ma è un fuoco che ti può consumare e se troppo represso non si controlla. Nel branco diventa invece un’energia positiva che si trasmette agli altri.
Il branco però non c’è più, ululi al cielo per la rabbia e perché non ti rassegni ma il branco non c’è più.
Il branco è disperso per il mondo, è troppo indaffarato, come te, ad allevare i propri cuccioli, a svolgere mille compiti, spesso poco eccitanti per valere la pena di essere raccontati. Ma i membri del branco non si dimenticano, tu ti ricordi di loro e loro si ricordano di te; possono essere lontani, possono essere isolati da qualche parte, ma uno del branco è come un fratello. Per questo basta incrociarne anche uno solo per riscoprire lo spirito positivo, che ti fa apprezzare tutto il resto, che ti fa apparire il mondo diverso e migliore.

martedì 3 luglio 2007

Marxismo 3, la lotta di classe

Tra i luoghi comuni(sti) più propagandati c’è sicuramente quello della lotta di classe; affermazione che esce continuamente nei proclami dell’estrema sinistra, quasi che a furia di essere ripetuta possa materializzarsi prima o poi. E’ stata richiamata durante le primarie per l’elezione a sindaco di Genova, dal poeta Edoardo Sanguineti, che ne ha fatto il suo slogan, invitando addirittura a rispolverare l’odio di classe. E’ chiaro che essendo poeta, per lui i sentimenti sono strumenti di lavoro, è quindi naturale che abbia scelto un sentimento per giustificare le proprie idee, peccato che abbia scelto l’odio, ma ha avuto almeno il pregio di essere sincero e di chiamare le cose con il proprio nome, contrariamente a molti dei suoi giovani adepti che mascherano l’odio dietro altri termini come ad esempio pace, Palestina, poveri del mondo e via dicendo.
Io, che poeta non sono, più modestamente affronterò l’argomento da un punto di vista più ragionato.

Il concetto di classe è naturalmente molto antico e nei secoli si evolve incessantemente. Nell’antichità era spesso collegato a differenziazioni funzionali; il concetto adoperato dalla sinistra comunista risale invece agli inizi della Rivoluzione Industriale e sostanzialmente si rifà al pensiero di Karl Marx.
Questo studioso, osservando la realtà del tempo, aveva elaborato la seguente divisione: ci sono i lavoratori da una parte ed i capitalisti dall’altra. I lavoratori producono la ricchezza, una parte viene riconosciuta loro con la corresponsione del salario, il resto chiamato profitto viene intascato, per Marx in pratica rubato, dal capitalista.
Se questa analisi fosse corretta o meno all’epoca della formulazione è una questione sulla quale ora voglio sorvolare per giungere nel nostro terzo millennio e vedere come stanno le cose.

Intanto è bene chiarire che la figura del Capitalista racchiude in sé due funzioni diverse, che spesso sono svolte da due persone diverse: una è quella di direzione/organizzazione dell’azienda; l’altra è quella di avere la proprietà dell’azienda.
Può darsi che il proprietario si occupi della sua azienda o che se ne disinteressi del tutto; in quest’ultimo caso di fatto l’attività imprenditoriale è svolta da colui che comanda, ma non rischia.
Ora il profitto in realtà va a remunerare queste due funzioni, cioè paga il lavoro del direttore/organizzatore/imprenditore e paga il proprietario per il rischio che corre.
Con questo non voglio dire che per definizione gli stipendi degli amministratori delegati sono sempre giustificati, anzi abbiamo molti esempi in cui non lo sono; lo stesso dicasi per la remunerazione del capitale, ad esempio un capitale impiegato in regime di monopolio non è che corre molti rischi, eppure spesso viene remunerato in maniera ingente.
In ogni caso chi possiede un capitale può detenerlo in forma di banconote sotto il cuscino; oppure comprarsi dei titoli di Stato, oppure assumere delle persone comprare dei macchinari esercitare insomma una attività, è ovvio che si tratta di tre opzioni con diverso grado di rischio e di conseguenza dalle quali ci si aspetta un diverso grado di remunerazione.
E’ vero che se uno eredita un ingente capitale si ritrova ricco senza alcun merito e che tutti, io compreso, vorremmo fare cambio con lui assumendoci pure il rischio di impresa, ma ciò non toglie che sono le imprese investendo a creare la ricchezza che poi circola.

La cosa più interessante è analizzare la condizione dei lavoratori e vedere se veramente la classe esiste e se la lotta che devono intraprendere è quella che dicono i marxisti.
Ecco che se Marx si risveglia oggi ha una sorpresa! A decurtare pesantemente il salario non c’è solo il profitto ma il prelievo fiscale, inoltre tale prelievo decurta pesantemente il profitto stesso, che nella logica marxista è dei lavoratori. Lo Stato intasca una quantità ingente del salario, sia in via diretta che indiretta, quindi è del tutto incoerente richiamarsi al marxismo e tradirne il principale fondamento, cioè la difesa del salario; ma la cosa più grave non è il comportamento dei partiti che hanno tale ispirazione, perché in quanto partiti dovrebbero comunque avere un bilanciamento di interessi di natura diversa, ma è più grave l’atteggiamento dei sindacati che non solo non difendono il salario dalle tasse, ma sono ferocemente ostili a quelle forme contrattuali che riportano parte del profitto in busta paga, ad esempio nei modi indicati dal professor Ichino quando descrive forme di contrattazione aziendale in deroga al Contratto Collettivo Nazionale.

Il limite concettuale più grosso della lotta di classe è che non si riesce a definirla, come già faceva notare, tra gli altri Paul Ginsborg nella sua analisi sulla società italiana. L’altro limite è che nella realtà i lavoratori si trovano ad avere interessi economici legittimi contrastanti. Ciò può avvenire tra settori diversi, ad esempio la destinazione di un’area può favorire i lavoratori di certe imprese rispetto ad altre; chi lavora in imprese che lavorano per il mercato nazionale possono essere avvantaggiati da certe politiche che invece danneggiano quelle dedite all’export. Il conflitto fondamentale è poi tra lavoratori del privato e quelli del pubblico, il sindacato pretende di rappresentare entrambi ma è come se un avvocato divorzista rappresentasse in una causa entrambi i coniugi. Un altro esempio è quello di cui si discute in questi giorni circa l’età pensionabile: chi vuole abolire lo scalone sta rappresentando gli interessi economici dei lavoratori che senza scalone andrebbero in pensione a 57 anni, ma non può pretendere di rappresentare anche gli interessi dei lavoratori giovani, perché i soldi se li dai ai pensionati cinquantasettenni, allora li prendi da chi resta al lavoro. Il resto è propaganda o inganno.
Come abbiamo visto il passo dalla lotta di classe all’odio di classe è breve, ma vista la difficoltà ad individuare le classi e di dare delle risposte realistiche per difenderne gli interessi, tutto si converte più banalmente in odio politico.
Il nemico diventa semplicemente chi la pensa diversamente, chi vota diversamente, a questo si riducono le grandi lotte per l’emancipazione delle masse.

martedì 26 giugno 2007

Leggi dello Stato e valori del Vangelo

Il dibattito sull’impegno politico e sociale dei cristiani è cruciale per il nostro paese dove la presenza della Chiesa Cattolica è così importante e non andrebbe ridotto, come avviene, soltanto agli interventi della CEI sulle questioni di attualità.
Di solito viene dato per scontato che le norme della morale cristiana dovrebbero essere, per un cristiano, tradotte in leggi dello Stato.
Chi si oppone a questo afferma di solito che esistono anche persone non cristiane alle quali non è giusto imporre o vietare certi comportamenti.
La mia opinione è che utilizzare la forza coercitiva dello Stato per promuovere la morale cristiana è semplicemente contrario all’impianto di valori dei Vangeli.

Vorrei sviluppare il ragionamento incentrandomi sul caso concreto dell’aborto.
Mi sembra pacifico che la pratica dell’aborto sia contraria alla morale cristiana, direi che gli insegnamenti di Gesù sono tutti incentrati sull’amore e sul rispetto della vita in generale e di quella umana in particolare, da questo punto di vista al di là della discussione se l’embrione o il feto sono persone, discussione che non può avere peraltro mai un risultato finale, certamente sia l’embrione, sia il feto sono vita.
Il comportamento di una persona intimamente persuasa di questo, conseguentemente, è il rifiuto dell’aborto. E’ il passaggio successivo, cioè il divieto legislativo dell’aborto, ad essere discutibile; a mio avviso, infatti, nessun postulato dei Vangeli implica che i comportamenti cristiani debbano essere legge dello Stato.
Non dimentichiamoci che la Legge, implica necessariamente una coercizione, se necessario applicata con la forza; spesso ce ne dimentichiamo, soprattutto in Italia dove il rispetto della Legge è lasciato in gran parte alla buona volontà del singolo cittadino, ma le regole comuni che i Parlamenti sanciscono, prevedono sanzioni pecuniarie o la perdita della libertà.
Il cristiano è esortato da Gesù ad annunciare la propria fede, a predicarla, a testimoniarla con il proprio comportamento, ma mai ad imporla. E su questo punto viene a cadere anche l’obiezione laicista che citavo prima, perché anche in una comunità dove il 100% dei cittadini sono cristiani, di confessione cattolica e praticanti, l’imposizione per legge di tale convinzione è contraria al messaggio evangelico.

So bene che la storia spesso è andata diversamente, so bene che ne ha convertito di più Carlo Magno che San Francesco, non voglio fare dell’utopismo spiccio proponendo una Chiesa avulsa dal contesto politico e legislativo, però la Chiesa per prima riflette su se stessa e i politici che affermano di seguirne i principi dovrebbero fare altrettanto.
Tornando al tema dell’aborto vorrei sgombrare il campo da un equivoco: si può essere contrari all’aborto essendo cristiani, si può essere contrari essendo di un’altra religione, si può essere contrari all’aborto ovviamente anche se si è atei; ogni persona che lo ritiene può battersi per vietare la pratica dell’aborto, mi sembra lecito farlo, ciò che non mi trova d’accordo è farlo autoproclamandosi portabandiera di un conformismo al dettato evangelico che non mi sembra tale.

I Vangeli così ricchi di precetti morali sono privi di leggi; i padri della Chiesa affiancano al Vangelo anche l’Antico Testamento, quasi a voler colmare con i Comandamenti un vuoto normativo che appare forse rivoluzionario, forse difficile da praticare, forse spaventa anche coloro che lo devono testimoniare, del resto sono gli apostoli stessi che sollecitano Gesù a dare loro dei comandamenti, senza i quali si sentono forse un po’ persi; Gesù non si sottrae e dà loro il famoso comandamento dell’amore, che lui stesso del resto pratica con loro. Cosa fa se non amarli, nei loro pregi e nei loro difetti, Gesù stigmatizza le loro debolezze, ma solo per esortarli a superarle; parla alle loro coscienze, ai loro cuori direbbe qualcuno, perché sa che l’unica virtù possibile è quella che l’uomo pratica consapevolmente e volontariamente, cioè coscientemente appunto.

Ma allora un cristiano come tale non ha nulla da chiedere alla politica? Ha moltissimo da fare, da chiedere, da proporre, può occuparsi di tutto e dire la sua su ogni cosa e per prima cosa a mio avviso dovrebbe chiedere di praticare liberamente la propria religione.
Ma se della religione ne fa una bandiera politica o un partito entra in contraddizione con se stesso.

giovedì 21 giugno 2007

Erodoto aveva ragione!

Durante il congresso annuale della Società Europea di Genetica Umana, tenuto a Nizza dal 16 al 19 giugno (http://www.eshg.org/eshg2007/), il professor Piazza, insieme ad altri colleghi, ha presentato uno studio sull'origine degli Etruschi. Gli indizi emersi dall'analisi comparata del cromosoma Y di alcuni individui di Murlo e Volterra, con altri di varie zone del Mediterraneo, hanno mostrato che la teoria di Erodoto sull'origine anatolica degli Etruschi sembra fondata.
Infatti le correlazioni tra i campioni prelevati nel sud della Turchia e quelli toscani sono significative. Erodoto narra la storia di una migrazione guidata dal re Tirreno, proveniente dalla Lidia, ed approdata in Italia centrale. La civiltà etrusca così diversa e per molti versi così matura rispetto ai popoli confinanti veniva così descritta in passato:
"Etrusca era la gioia ai piaceri dell'esistenza, ai conviti, alle donne e ai begli adolescenti, ai giochi scenici, crudeli o comici, alla lotta dei gladiatori, al circo e alla farsa, all'indolenza, amabile e contemplativa..." (http://www.centrostudilaruna.it/romualdiindoeuropei.html);
però molto nutrita è stata in questi anni anche la schiera degli studiosi che hanno sostenuto la tesi dell'origine autoctona.
La nuova frontiera della ricerca, che muove i primi passi, sarà l'analisi del DNA fossile.
E poi chissà....
Intanto Erodoto rimane sempre un buon punto di partenza.


mercoledì 20 giugno 2007

Evasione fiscale, retorica, propaganda e realtà

Da anni, periodicamente, si discute di evasione fiscale, ma non cambia nulla: in Italia il sommerso vale almeno il doppio degli altri paesi europei. In questi giorni il Governo, messo sulla difensiva su molti fronti, agita le cifre dell’evasione, giustificando così la propria politica fiscale. Prima di tutto viene da chiedersi: ci sono tanti evasori, perché non andate a prenderli? Visto che non ce lo dicono, ve lo spiego io: prendendo in considerazione solo i contribuenti sottoposti al sistema degli studi di settore abbiamo circa 4 milioni di soggetti da controllare. Già detta così è un’impresa titanica, ma il punto centrale è un altro: il sistema italiano è un intrico di numerosissime norme e di numerosi tributi che rendono il controllo del singolo contribuente un lavoro lungo e pieno di insidie. Il sistema è così cavilloso che produce un curioso effetto: anche chi in buona fede intende rispettare ogni prescrizione può facilmente essere colto in fallo; mentre chi in malafede cerca delle scappatoie, ha un molti appigli per occultarsi.

L’altro punto fondamentale è il peso della pressione fiscale: fino a quando lo Stato chiede una quantità così alta di reddito, renderà sempre conveniente a chi vuole evadere correre il rischio. Abbassare le tasse rende più competitivo il soggetto che paga le imposte, favorisce chi paga, compresi i dipendenti e rende non conveniente correre il rischio per chi evade. Semplificare le regole, abbattere le aliquote e cancellare alcuni tipi di imposte è il primo passo per impostare una seria lotta all’evasione, questo nel breve periodo ha delle conseguenze sul bilancio dello Stato ma, a prescindere dalla Curva di Laffer, si può ragionevolmente puntare a recuperare almeno 100 miliardi di imponibile (sui 270 miliardi stimati di imponibile sottratto al fisco). Può darsi che in Italia ci sia un problema culturale nel senso civico e nel modo in cui i cittadini si rapportano con il fisco, ma non penso che gli italiani siano antropologicamente portati all’evasione, se c’è più evasione che negli altri paesi avanzati significa che c’è un problema di regole: adottiamo le regole che ci sono all’estero e vediamo se le cose cambiano. Per inciso: bisogna anche dimostrare al contribuente che i suoi soldi vengono usati con responsabilità: ma si sa, quando pagano gli altri…

Tutti i menestrelli cantori dei luoghi comuni, alla Furio Colombo per intenderci, citano volentieri l’esempio degli USA, sostengono che il modello americano piace molto al centrodestra fuorché per quello che riguarda il fisco, perché negli USA gli evasori vanno in carcere ed in generale il fenomeno dell’evasione è molto più ristretto che in Italia. Facciamo sommessamente notare a tutti costoro qualche precisazione in merito: se negli USA qualcuno provasse ad introdurre un sistema come quello italiano, questo qualcuno verrebbe preso a calci nel sedere; nel caso in cui si riuscisse ad introdurlo, sicuramente l’evasione aumenterebbe e si avvicinerebbe ai tassi italiani; vogliamo il carcere per gli evasori? Benissimo, però adottiamo tutto il sistema fiscale americano, inoltre la severità penale deve essere proporzionale ai vari reati: negli USA ti beccano a guidare ubriaco e vai in galera, ammazzi qualcuno e vai sulla sedia elettrica; da noi non è esattamente così…

Il fisco deve essere efficiente: è inutile mettere centinaia di regole cervellotiche per non fare ingiustizie, perché così facendo si crea un sistema che non funziona e quindi per definizione ingiusto. Le politiche sociali si fanno dal lato della spesa: lo Stato italiano ogni anno incassa più di 400 miliardi di euro, ha quindi le risorse per svolgere i propri compiti e per intervenire nelle aree di difficoltà. L’idea di voler rendere tutti uguali con prelievi fiscali sempre più progressivi è un’idea infantile e impossibile da mettere in pratica, perché chi produce reddito lo fa per il proprio benessere, se gli si chiede di dare tutto il guadagno eccedente al fisco, o se ne va all’estero o smette di lavorare e se ne va a pescare, in ogni caso le entrate tributarie non aumentano.

Sulle complicazioni congenite della mente del legislatore consideriamo l’esempio dell’ICI: sarebbe da abolire per la prima casa, però c’è chi dice che non è giusto perché c’è chi ha come prima casa una villa e chi ha un appartamentino. E’ vero non è giusto, ma se cominciamo ad introdurre parametri legati alla metratura, al numero di componenti, alla zona ecc. il risultato sarà che diventa impossibile controllare se tutti hanno rispettato le regole e quindi chi fa il furbo avrà buone possibilità di farla franca a danno chi coloro che pagano.

E’ proprio così che funziona oggi, quella che chiamano lotta all’evasione: consiste nel bastonare l’unico che beccano, mentre altri cento non possono essere controllati.

Comunque alla fine quello che conta sono i fatti: sarà il gettito 2007 a dire se la strategia governativa di lotta all’evasione funziona. Ho i miei dubbi, penso che, depurato dall’effetto che sta avendo sulle nostre esportazioni il buon andamento dell’economia tedesca, non darà alcun segno di miglioramento; vedremo se Prodi, Padoa Schioppa e Visco mi smentiranno, ma se così non sarà sarebbe bene cambiare tattica… e soprattutto la squadra!