Il 6 giugno di 150 anni fa moriva Camillo Benso conte di Cavour, statista indiscutibilmente abile, ha fatto molto e come tutti quelli che molto fanno possono anche essere molto criticati.
Ma se potesse vedere oggi l’Italia come giudicherebbe il proprio operato? Si stupirebbe di vederla ancora unita e di quanto di buono gli italiani hanno saputo costruire? Oppure si stupirebbe di vedere quante divisioni e quanto disincanto sono ancora presenti dopo un secolo e mezzo?
Difficile dirlo, ma vale la pena di riflettere sulle cause che allontanano gli Italiani dai propri simboli. Io credo che l’identificazione tra lo Stato e tutte le sue emanazioni e il concetto di Patria sia la causa prima della scarsa coesione del Paese.
Dopo che il Fascismo aveva fatto propri i simboli dell’Unità, il disastro del regime ha trascinato anche questi nell’oblio, anche perché le due culture dominanti del Dopoguerra, cattolica e marxista, erano avverse al Risorgimento ed ai concetti di Patria e Nazione.
Come conseguenza di tutto ciò il Tricolore, l’inno, il patriottismo in generale erano relegati a simboli di una (piccola) parte politica. Oggi molti hanno buttato le bandiere rosse e hanno rispolverato la bandiera italiana. Comprendo che ciò sia avvenuto più per motivi tattici di bassa politica che per genuina conversione, ma non fa parte del mio carattere fare il processo alle intenzioni, considero positiva la svolta, se poi cantano Mameli rosicando, pazienza, meglio di niente.
Spesso si accusa il Risorgimento di essere stato un movimento elitario diretto dall’alto e non un movimento popolare. Al di là del fatto che molti episodi, come la sollevazione di reparti dell’esercito o le insurrezioni delle città lombarde videro una vasta adesione all’ideale unitario, la partecipazione delle masse, come viene intesa a partire dal XX secolo non può essere applicata ai secoli precedenti. Semmai questo fatto è uno dei più affascinanti del Risorgimento: un’Idea che resta viva grazie alla fede di pochi, che viene passata come una fiaccola di generazione in generazione, mille volte delusa, un’Idea che sembra un’utopia irrealizzabile, fino a quando il momento storico non la rende possibile. Ed è una speranza per chi come me crede nella libertà individuale e la vede quotidianamente minacciata dall’invadenza statale e sovranazionale, oggi la maggior parte delle persone preferisce la comoda protezione dello Stato che ti solleva dalla responsabilità di decidere della tua in vita ma in cambio ti toglie la possibilità di scegliere e ti impone cosa fare, cosa pensare, persino come educare i figli. Noi pochi teniamo viva un’ Idea, tra qualche generazione forse diventerà di molti.
Ugualmente anacronistico è ragionare oggi come se il processo di unificazione nazionale non ci fosse stato, in un modo o nell’altro gli Italiani sono stati fatti e ci sono.
E’ vero che l’unificazione avviene come espansione dello Stato sabaudo che incorpora gli altri. Anche per gli altri Stati europei era andata sostanzialmente così, da ciò intuisco che sia molto complicato fare diversamente. Purtroppo i Savoia non si sono mostrati all’altezza del ruolo storico che si sono trovati a recitare e sono stati più dannosi che utili all’Italia. Ma così è andata. E’ Storia. Quanti bambini vengono al mondo per sbaglio tutti i giorni? Hanno diritto come gli altri a vivere la propria esistenza.
Garibaldi era repubblicano, ma tra un’Italia divisa (peraltro in tante monarchie) e un’Italia unita sotto Vittorio Emanuele, mostrò il realismo che il caso richiedeva. Le annessioni furono una forzatura, con l’applicazione delle istituzioni sabaude a tutta l’Italia, ma oggi non si parla piemontese e Torino non è la Capitale del Paese. Se pensiamo a Mosca, Berlino, Madrid, Parigi, Londra, tutto queste città allargando la propria influenza formano le nazioni e restano il centro del potere, il caso italiano mostra tutta la propria peculiarità, ed è la prova di come anche nella testa dei conquistatori piemontesi il concetto di Italia con Roma capitale esisteva già.
La politica è sempre complicata ed in quel periodo si intrecciavano la questione dell’Unità, dell’Indipendenza, la forma dello Stato in tutte le sue declinazioni: Monarchia, Costituzione, Repubblica, Democrazia, Federalismo, Centralismo, il Papa, ognuno come è ovvio, aveva la propria idea, queste divisioni rendevano fragile qualsiasi tentativo unitario, soprattutto di fronte alle forze estere che si opponevano, Impero Asburgico in testa.
In mezzo a tutto questo, Cavour ha portato a casa il risultato, per usare un gergo sportivo e l’ha fatto alle condizioni che giudicava più accettabili.
lunedì 6 giugno 2011
sabato 21 maggio 2011
Ho assaggiato la mia prima birra
Ho assaggiato la mia prima birra, mia nel senso fatta da me, perché fatte da altri ne ho assaggiate tante!
Conoscendo la mia passione per la birra, mio cognato ha voluto che mi mettessi alla prova e mi ha regalato un kit per la produzione della birra fatta in casa.
Per questo esordio ho scelto di produrre una weizen, perché conoscendo bene questo stile avrei potuto meglio capire la distanza che separa un buon risultato dal mio prodotto.
Sono partito da una confezione di malto (orzo + frumento) già bollito e luppolato; la confezione è una grossa latta (tipo pelati), il contenuto all’interno è una specie di melassa. Invece del lievito base ho usato del lievito Weihenstephan (quello della birra omonima, per la cronaca, in assoluto la mia preferita) ed al posto dello zucchero, un estratto secco di malto.
Insomma i presupposti erano buoni, il risultato finale abbastanza modesto. Il sapore non è malvagio, ma sicuramente è un po’ troppo acidulo per i miei gusti, infatti prediligo le weizen nelle quali questo elemento non è preponderante. Avendo letto che uno dei problemi degli homebrewers sono le bollicine e la schiuma ho probabilmente ecceduto un po’ con lo zucchero aggiunto della fase di imbottigliamento e la schiuma è troppa anche per una weizen. Del resto non volevo rischiare, avessi fatto una ale inglese ok, ma una weizen senza schiuma no!
Una parte della birra l’ho lasciata qualche giorno in più nel fermentatore, prima di imbottigliarla, per verificare le differenze che si vengono a creare, in effetti avrei dovuto fare un travaso, però non ho il fermentatore di riserva. L’esperimento mi suggerisce di non aspettare troppo dopo che la fermentazione è finita, infatti questa birra imbottigliata dopo ricorda vagamente il prosecco… chissà, forse assomiglia ad una lambic, ma vado ad immaginazione perché non ho mai avuto occasione di assaggiare le belghe a fermentazione spontanea.
Comunque ci riproverò, l’obiettivo è fare una buona birra, migliore di quelle industriali, senza la pretesa di raggiungere il livello delle birre di qualità, ma personalizzandola sui miei gusti. Vedremo mi sa che la strada è lunga.
Conoscendo la mia passione per la birra, mio cognato ha voluto che mi mettessi alla prova e mi ha regalato un kit per la produzione della birra fatta in casa.
Per questo esordio ho scelto di produrre una weizen, perché conoscendo bene questo stile avrei potuto meglio capire la distanza che separa un buon risultato dal mio prodotto.
Sono partito da una confezione di malto (orzo + frumento) già bollito e luppolato; la confezione è una grossa latta (tipo pelati), il contenuto all’interno è una specie di melassa. Invece del lievito base ho usato del lievito Weihenstephan (quello della birra omonima, per la cronaca, in assoluto la mia preferita) ed al posto dello zucchero, un estratto secco di malto.
Insomma i presupposti erano buoni, il risultato finale abbastanza modesto. Il sapore non è malvagio, ma sicuramente è un po’ troppo acidulo per i miei gusti, infatti prediligo le weizen nelle quali questo elemento non è preponderante. Avendo letto che uno dei problemi degli homebrewers sono le bollicine e la schiuma ho probabilmente ecceduto un po’ con lo zucchero aggiunto della fase di imbottigliamento e la schiuma è troppa anche per una weizen. Del resto non volevo rischiare, avessi fatto una ale inglese ok, ma una weizen senza schiuma no!
Una parte della birra l’ho lasciata qualche giorno in più nel fermentatore, prima di imbottigliarla, per verificare le differenze che si vengono a creare, in effetti avrei dovuto fare un travaso, però non ho il fermentatore di riserva. L’esperimento mi suggerisce di non aspettare troppo dopo che la fermentazione è finita, infatti questa birra imbottigliata dopo ricorda vagamente il prosecco… chissà, forse assomiglia ad una lambic, ma vado ad immaginazione perché non ho mai avuto occasione di assaggiare le belghe a fermentazione spontanea.
Comunque ci riproverò, l’obiettivo è fare una buona birra, migliore di quelle industriali, senza la pretesa di raggiungere il livello delle birre di qualità, ma personalizzandola sui miei gusti. Vedremo mi sa che la strada è lunga.
lunedì 2 maggio 2011
L'eredità di Bin Laden
Bin Laden è morto. Eticamente non si festeggi una morte, nemmeno se strameritata, però io ho provato gioia e soprattutto sollievo. Non perché questa morte risolva i nostri problemi con il terrorismo, ma perché fino ad oggi era come se il trauma dell’11 settembre non si potesse chiudere, fino a quando Bin Laden era l’imprendibile “Primula Rossa” del terrore, era come se quella nube di polvere delle Torri Gemelle aleggiasse sempre su di noi. Finalmente un capitolo si è chiuso, dopo dieci anni, la polvere si è posata.
La guerra continua, i Talebani continueranno a combattere, ci saranno nuovi attentati ovunque nel mondo, continueranno i conflitti in Nigeria, lungo la frontiera Indo-Pakistana, in Thailandia, nelle Filippine e lungo tutti gli altri confini dell’Islam ed anche al suo interno. Ma è una nuova Storia.
Sappiamo però che gli Americani non sono più quelli che scappavano con gli elicotteri dai tetti di Saigon, ma tengono duro per anni se necessario, una bella lezione da non dimenticare: per prevalere bisogna perseverare, la nostra mancanza di determinazione è la speranza del nemico. Conviene ricordare che le prime grandi stragi qaediste risalgono al 1998 in Kenia e Tanzania, ma allora gli USA non reagirono e l’attacco arrivò fin dentro l’America.
Certo ci sono molti interrogativi che non avranno una risposta definitiva: perché eliminarlo ora, se è vero che erano sulle sue tracce da alcuni mesi? Sicuramente poteva essere proficuo tenerlo sotto controllo ancora un po’, spero non sia stata una decisione affrettata per ragioni politiche, magari per avere ora la scusa per ritirarsi prematuramente dall’Afghanistan.
Certamente Osama Bin Laden aveva protezioni altolocate in Pakistan, dove molti, nel popolo ma soprattutto nelle istituzioni, preferirebbero rimettere i Talebani al potere; difficile però dire se fosse un ospite, un ostaggio, una pedina di scambio o un alleato dei servizi segreti pakistani.
Quel che è certo è che dietro le icone mediatiche del terrorismo altri agiscono più discretamente ma concretamente per ampliare la sfera d’influenza dell’estremismo, si servono dei martiri, ma anche dei media, delle scuole coraniche, si infiltrano nelle istituzioni, anche dei paesi alleati dell’Occidente e, come con il fu Bin Laden “trattare con loro è impossibile. Ragionarci, impensabile. Trattarli con indulgenza o tolleranza o speranza, un suicidio. E chi crede il contrario è un illuso.”
La guerra continua, i Talebani continueranno a combattere, ci saranno nuovi attentati ovunque nel mondo, continueranno i conflitti in Nigeria, lungo la frontiera Indo-Pakistana, in Thailandia, nelle Filippine e lungo tutti gli altri confini dell’Islam ed anche al suo interno. Ma è una nuova Storia.
Sappiamo però che gli Americani non sono più quelli che scappavano con gli elicotteri dai tetti di Saigon, ma tengono duro per anni se necessario, una bella lezione da non dimenticare: per prevalere bisogna perseverare, la nostra mancanza di determinazione è la speranza del nemico. Conviene ricordare che le prime grandi stragi qaediste risalgono al 1998 in Kenia e Tanzania, ma allora gli USA non reagirono e l’attacco arrivò fin dentro l’America.
Certo ci sono molti interrogativi che non avranno una risposta definitiva: perché eliminarlo ora, se è vero che erano sulle sue tracce da alcuni mesi? Sicuramente poteva essere proficuo tenerlo sotto controllo ancora un po’, spero non sia stata una decisione affrettata per ragioni politiche, magari per avere ora la scusa per ritirarsi prematuramente dall’Afghanistan.
Certamente Osama Bin Laden aveva protezioni altolocate in Pakistan, dove molti, nel popolo ma soprattutto nelle istituzioni, preferirebbero rimettere i Talebani al potere; difficile però dire se fosse un ospite, un ostaggio, una pedina di scambio o un alleato dei servizi segreti pakistani.
Quel che è certo è che dietro le icone mediatiche del terrorismo altri agiscono più discretamente ma concretamente per ampliare la sfera d’influenza dell’estremismo, si servono dei martiri, ma anche dei media, delle scuole coraniche, si infiltrano nelle istituzioni, anche dei paesi alleati dell’Occidente e, come con il fu Bin Laden “trattare con loro è impossibile. Ragionarci, impensabile. Trattarli con indulgenza o tolleranza o speranza, un suicidio. E chi crede il contrario è un illuso.”
martedì 26 aprile 2011
Ferrovia senza binari, treno senza ruote... una buona idea?
L’idea del treno tubolare è ben spiegata dalle immagini: il treno non ha ruote ma viene fatto scivolare da ruote che girano fissate nei piloni. Il vantaggio principale sarebbe il minor costo della linea rispetto a quelle tradizionali. Inoltre il treno privo di locomotiva risulta molto più economico e leggero, quindi serve meno energia per farlo muovere. Così a occhio mi sembra strano che la linea con i piloni provvisti di motori elettrici possa costare meno di quelle tradizionali, mentre mi pare plausibile, e quasi scontato, che i costi siano inferiori rispetto ad una linea di metropolitana. Un altro vantaggio è la possibilità di scavalcare facilmente ostacoli, autostrade, fiumi, soprattutto in zone fortemente antropizzate, dove trovare un percorso fattibile per nuove linee tradizionali è molto complicato. Certo non è un sistema adatto per il centro storico delle nostre città, ma potrebbe essere un modo per collegare le periferie o i comuni in un arco di 50 km intorno alle grandi città in modo da far allacciare i passeggeri con le linee di autobus o metropolitana esistenti. Non servirebbero grandi velocità quanto piuttosto convogli con partenze frequenti in modo da portare molti passeggeri ogni ora. Del resto il grosso dei problemi di mobilità delle nostre città avviene nelle tangenziali, nell’ingresso e nell’uscita delle stesse.
sabato 23 aprile 2011
W gli Anni Ottanta. Parte seconda.
Certe cose tipiche degli Anni Ottanta, in realtà potrebbero essere ancora attuali, oppure esistevano anche prima, solo che non lo posso sapere, perché crescendo si perde il contatto con il mondo dei giovani, del divertimento e quindi le mie congetture sul modo in cui si divertono i giovani potrebbero anche essere sbagliate.
Ad esempio negli Anni Ottanta si andava in discoteca la domenica pomeriggio (ma si usa ancora?), con i ravioli del pranzo della domenica sullo stomaco.
Negli Anni Ottanta, questo lo ricordo bene, c’erano i pantaloni da ciclista, per le ragazze intendo. Questo non si può dire che non fosse un bel passo avanti rispetto ai pantaloni a zampa di elefante ed alle gonne multicolore. Certo poi la cosa è un po’ sfuggita di mano ed il look si è abbagasciato* sempre più, almeno questa è l’impressione.
Per fortuna (o sfortuna, dipende, alcune cose è un peccato non poterle rivedere, altre… è meglio così!) non si potevano immortalare su Youtube tutte le bravate e le coglionate tipiche dell’adolescenza. Del resto non solo non esisteva Youtube, ma nemmeno Facebook ed in effetti non esisteva proprio nemmeno internet, se non per qualche pioniere isolato.
Non c’era internet, non c’era il telefonino e si riusciva a vedersi lo stesso, le immense compagnie si ritrovavano e si riunivano lo stesso (oggi per vedersi in quattro sono necessarie minimo un paio di telefonate).
Della TV degli anni 80 ho già parlato nella prima puntata, aggiungo solo che il canale tipico degli anni 80 era indubbiamente Italia1. Oggi Italia 1 cerca sempre di essere il canale giovane, sperimentale, fuori dagli schemi, però mi pare che abbia perso quello smalto e che sia molto più scontato, più omologato di prima. Quest’ultima potrebbe anche essere la classica visione da matusa della serie “ai tempi miei”, oltretutto non è che guardo molta TV quindi è un’opinione puramente pregiudiziale e istintiva, ma quella è.
All’epoca c’erano le mitiche Figurine Panini e ci sono ancora, solo che allora le squadre avevano i titolari, le riserve, insomma per farla breve ho già spiegato altrove che era molto meglio.
Poi c’erano Stallone, Swarzenegger, Blade Runner, L’Impero colpisce ancora, Alien, Indiana Jones, cioè tutti i miti dei miti, i migliori dei migliori.
Nessuno prevedeva o pronosticava la caduta del Muro di Berlino, ma c’era la certezza che senza Muro avremmo avuto un mondo migliore.
C’erano Ronald Reagan e Margaret Thatcher e quindi qualcuno che a voce alta dicesse che il sol dell’avvenire non era un destino ineluttabile e che non eravamo noi la feccia del mondo. Cioè, voglio dire, non bisognava per forza tornare ai tempi dei cow boy bravi contro gli indiani cattivi, ma nemmeno più sorbirsi acriticamente la santificazione degli “indiani” di turno, anche se qualcuno continua a proporcela pure oggi. E questo basta a dire W gli Anni Ottanta.
*termine dialettale, significa simile a meretrice
Ad esempio negli Anni Ottanta si andava in discoteca la domenica pomeriggio (ma si usa ancora?), con i ravioli del pranzo della domenica sullo stomaco.
Negli Anni Ottanta, questo lo ricordo bene, c’erano i pantaloni da ciclista, per le ragazze intendo. Questo non si può dire che non fosse un bel passo avanti rispetto ai pantaloni a zampa di elefante ed alle gonne multicolore. Certo poi la cosa è un po’ sfuggita di mano ed il look si è abbagasciato* sempre più, almeno questa è l’impressione.
Per fortuna (o sfortuna, dipende, alcune cose è un peccato non poterle rivedere, altre… è meglio così!) non si potevano immortalare su Youtube tutte le bravate e le coglionate tipiche dell’adolescenza. Del resto non solo non esisteva Youtube, ma nemmeno Facebook ed in effetti non esisteva proprio nemmeno internet, se non per qualche pioniere isolato.
Non c’era internet, non c’era il telefonino e si riusciva a vedersi lo stesso, le immense compagnie si ritrovavano e si riunivano lo stesso (oggi per vedersi in quattro sono necessarie minimo un paio di telefonate).
Della TV degli anni 80 ho già parlato nella prima puntata, aggiungo solo che il canale tipico degli anni 80 era indubbiamente Italia1. Oggi Italia 1 cerca sempre di essere il canale giovane, sperimentale, fuori dagli schemi, però mi pare che abbia perso quello smalto e che sia molto più scontato, più omologato di prima. Quest’ultima potrebbe anche essere la classica visione da matusa della serie “ai tempi miei”, oltretutto non è che guardo molta TV quindi è un’opinione puramente pregiudiziale e istintiva, ma quella è.
All’epoca c’erano le mitiche Figurine Panini e ci sono ancora, solo che allora le squadre avevano i titolari, le riserve, insomma per farla breve ho già spiegato altrove che era molto meglio.
Poi c’erano Stallone, Swarzenegger, Blade Runner, L’Impero colpisce ancora, Alien, Indiana Jones, cioè tutti i miti dei miti, i migliori dei migliori.
Nessuno prevedeva o pronosticava la caduta del Muro di Berlino, ma c’era la certezza che senza Muro avremmo avuto un mondo migliore.
C’erano Ronald Reagan e Margaret Thatcher e quindi qualcuno che a voce alta dicesse che il sol dell’avvenire non era un destino ineluttabile e che non eravamo noi la feccia del mondo. Cioè, voglio dire, non bisognava per forza tornare ai tempi dei cow boy bravi contro gli indiani cattivi, ma nemmeno più sorbirsi acriticamente la santificazione degli “indiani” di turno, anche se qualcuno continua a proporcela pure oggi. E questo basta a dire W gli Anni Ottanta.
*termine dialettale, significa simile a meretrice
martedì 12 aprile 2011
12 aprile, il giorno che la politica assolse sé stessa
Cosa accade quel giorno, quel 12 aprile 1990? Il Presidente della Repubblica firmò il decreto che promulgava un’amnistia per tutti i reati con pena fino a quattro anni, compiuti fino al 24 ottobre 1989. Era quindi ricompreso il reato di finanziamento illecito dei partiti. La delega al presidente fu approvata alla Camera dei Deputati il 1 marzo 1990 con il voto favorevole di maggioranza e l’astensione dell’opposizione. Per la cronaca, a leggere la dichiarazione di voto per il PCI fu Anna Finocchiaro, sì perché in quella X Legislatura iniziata nel 1987 erano già presenti molti “giovani” politici che da sempre auspicano un rinnovamento della politica! C’erano Fini, Veltroni, Rutelli, Casini, D’Alema… Comunque sia quel 1 marzo in aula c’erano presenti 372 deputati, 224 votarono sì, 6 votarono no e quindi tutti i reati finanziari compiuti dai partiti politici venivano cancellati. Quel reato di finanziamento illecito, che da lì a poco con l’inchiesta Mani Pulite, avrebbe spazzato via il pentapartito, avrebbe riguardato solo i reati compiuti nel periodo compreso tra la fine del 1989 e l’inizio dell’inchiesta, nel 1992. Infatti i partiti della maggioranza andarono avanti con le vecchie pratiche come se nulla fosse successo, come se la loro presenza al Governo fosse ancora una necessità storica, ma i tempi erano cambiati. Invece i comunisti, che si erano finanziati in modo illegale ricevendo fondi dall’URSS, non avevano più queste entrate, ma supplirono con nuovi metodi che per varie ragioni si sono rivelati quasi inattaccabili. Anzi cambiando disco alla propria propaganda sostituirono la “lotta del proletariato” con la “questione morale” e convinsero buona parte dell’opinione pubblica italiana della propria “diversità”. In realtà, se andiamo a vedere, un politico che ruba per sé, è un avido meschino, condannabile moralmente sul piano personale, ma da un punto di vista politico, rubare per il partito è peggio, perché inquina il funzionamento democratico. A maggior ragione se i soldi provengono da un regime straniero disumano, ostile e imperialista.
Amnistia di allora e amnesia di oggi. Non mi va di abbandonarmi a facili moralismi. Piuttosto rilevo che oggi si parla di temi come la legalità e l’etica della politica, come se queste cose non fossero successe.
L’Italia ha superato i decenni del Dopoguerra senza riflettere cosa sono stati quegli anni e soprattutto cosa è stata la nostra vita democratica. Anzi, qualcuno ci viene a raccontare che allora tutti erano più seri e impegnati, che la democrazia era più vera. Invece durante la Guerra Fredda l’Italia era una linea di frontiera dove si confrontavano senza esclusione di colpi i due blocchi mondiali. C’era molta meno informazione di oggi, più censura, più violenza, era una democrazia limitata da tutele esterne e bloccata al suo interno dalla mancanza di alternanza. Servizi segreti, terroristi, affaristi, mafiosi, tutti sguazzavano (e insanguinavano) un Paese che sembrava destinato a non diventare mai adulto. Stragi e misteri vengono interpretati da ognuno per il proprio tornaconto, senza un’onesta analisi generale di com’era quell’Italia e quel Mondo di allora.
Abbiamo ancora tanta strada da fare e tante cose da migliorare, guardando indietro, ma non per tornarci, semmai per meglio andare avanti.
Amnistia di allora e amnesia di oggi. Non mi va di abbandonarmi a facili moralismi. Piuttosto rilevo che oggi si parla di temi come la legalità e l’etica della politica, come se queste cose non fossero successe.
L’Italia ha superato i decenni del Dopoguerra senza riflettere cosa sono stati quegli anni e soprattutto cosa è stata la nostra vita democratica. Anzi, qualcuno ci viene a raccontare che allora tutti erano più seri e impegnati, che la democrazia era più vera. Invece durante la Guerra Fredda l’Italia era una linea di frontiera dove si confrontavano senza esclusione di colpi i due blocchi mondiali. C’era molta meno informazione di oggi, più censura, più violenza, era una democrazia limitata da tutele esterne e bloccata al suo interno dalla mancanza di alternanza. Servizi segreti, terroristi, affaristi, mafiosi, tutti sguazzavano (e insanguinavano) un Paese che sembrava destinato a non diventare mai adulto. Stragi e misteri vengono interpretati da ognuno per il proprio tornaconto, senza un’onesta analisi generale di com’era quell’Italia e quel Mondo di allora.
Abbiamo ancora tanta strada da fare e tante cose da migliorare, guardando indietro, ma non per tornarci, semmai per meglio andare avanti.
domenica 27 marzo 2011
L'ora legale è una boiata pazzesca.
Spostare avanti le lancette per alzarsi un’ora prima mi fa sentire come quelli della barzelletta che si mettono in cento per cambiare la lampadina, novantanove girano la casa e uno tiene ferma la lampadina. In pratica bisogna alzarsi alle sei del mattino ma fare finta che siano le sette.
Va bene il risparmio energetico, per quanto mi riguarda è tutta la vita che spengo luci lasciate inutilmente accese, ma non sarebbe più semplice dire: da domani e fino ad ottobre, scuole, uffici e fabbriche aprono un’ora prima.
Se i minatori inglesi non vedevano mai il sole sarebbe stato sufficiente farli entrare in miniera alle cinque del mattino, del resto quando ci sono estati particolarmente calde alla Fincantieri si mettono d’accordo ed entrano alle sei di mattina e non è che questi ultimi siano tutti iscritti al club dei cervelloni, è basilare buonsenso. I paesi del Nord Europa non perdono occasione per sfotterci e spesso hanno anche ragione, ma sulle piccole questioni pratiche gli diamo dieci a zero, anche perché da noi siamo abituati al fatto che non funziona niente quindi ci arrangiamo, siamo flessibili, troviamo la soluzione mentre loro restano attoniti di fronte al granello che blocca l’ingranaggio.
Personalmente sono mattiniero, quindi alzarmi prima non mi creerà sconvolgimenti psicosomatici, disturbi, malesseri legati al fuso orario, l’unico disagio sarà pensare che la lampadina si può cambiare anche da soli….
Va bene il risparmio energetico, per quanto mi riguarda è tutta la vita che spengo luci lasciate inutilmente accese, ma non sarebbe più semplice dire: da domani e fino ad ottobre, scuole, uffici e fabbriche aprono un’ora prima.
Se i minatori inglesi non vedevano mai il sole sarebbe stato sufficiente farli entrare in miniera alle cinque del mattino, del resto quando ci sono estati particolarmente calde alla Fincantieri si mettono d’accordo ed entrano alle sei di mattina e non è che questi ultimi siano tutti iscritti al club dei cervelloni, è basilare buonsenso. I paesi del Nord Europa non perdono occasione per sfotterci e spesso hanno anche ragione, ma sulle piccole questioni pratiche gli diamo dieci a zero, anche perché da noi siamo abituati al fatto che non funziona niente quindi ci arrangiamo, siamo flessibili, troviamo la soluzione mentre loro restano attoniti di fronte al granello che blocca l’ingranaggio.
Personalmente sono mattiniero, quindi alzarmi prima non mi creerà sconvolgimenti psicosomatici, disturbi, malesseri legati al fuso orario, l’unico disagio sarà pensare che la lampadina si può cambiare anche da soli….
sabato 26 marzo 2011
Libri - speciale Valerio Massimo Manfredi
Mi piace leggere romanzi, quando capita, solo che di solito quando spulcio gli scaffali in libreria o cerco su internet, finisco quasi sempre per farmi incuriosire da qualche saggio storico e allora i romanzi vengono posticipati. Un’altra ragione è che i romanzi sono più adatti ad essere divorati rapidamente, quindi l’ideale è leggerli in vacanza o comunque se si ha molto tempo a disposizione, cosa che non sempre è possibile avere!
L’unico scrittore di romanzi che conosco in modo approfondito è Valerio Massimo Manfredi ed allora ho deciso di dedicare un post solo per lui per dare i miei voti! L’elenco copre la maggior parte della sua produzione letteraria; sono quasi tutti romanzi eccetto “I Greci d’Occidente” ed in parte “Akropolis” che è piuttosto un racconto autobiografico che mischia esperienze personali e reminescenze storiche. Il primo libro che lessi è “L’ultima legione” e l’impressione fu molto positiva, tanto che mi convinsi che l’autore meritava il bis. Quindi mi buttai su “Alexandros” che è uno dei miei libri preferiti in assoluto. Questi due assieme al “Tiranno” meritano le cinque stelle nel mio personalissimo cartellino.
Lo stile di Manfredi è un po’ epico, a volte un po’ barocco, è bravissimo a delineare uomini tutti d’un pezzo, che non perdono la propria identità neanche nei rimescolamenti vorticosi cui le vicende storiche li trascinano. Fortemente consigliati a coloro che amano la Storia e i personaggi ad alto tasso di testosterone, meno adatti a chi ama storie minimali, i colpi di scena a ripetizione, scavare di pagina in pagina nella psicologia intima.
Valerio Massimo Manfredi Akropolis ****
Valerio Massimo Manfredi I Greci d'Occidente ***
Valerio Massimo Manfredi Le paludi di Hesperia ***
Valerio Massimo Manfredi I cento cavalieri **
Valerio Massimo Manfredi L'isola dei morti **
Valerio Massimo Manfredi Lo scudo di Talos ****
Valerio Massimo Manfredi Il faraone delle sabbie ***
Valerio Massimo Manfredi L'impero dei draghi ****
Valerio Massimo Manfredi L'armata perduta ***
Valerio Massimo Manfredi Il tiranno *****
Valerio Massimo Manfredi Alexandros *****
Valerio Massimo Manfredi L'ultima legione *****
L’unico scrittore di romanzi che conosco in modo approfondito è Valerio Massimo Manfredi ed allora ho deciso di dedicare un post solo per lui per dare i miei voti! L’elenco copre la maggior parte della sua produzione letteraria; sono quasi tutti romanzi eccetto “I Greci d’Occidente” ed in parte “Akropolis” che è piuttosto un racconto autobiografico che mischia esperienze personali e reminescenze storiche. Il primo libro che lessi è “L’ultima legione” e l’impressione fu molto positiva, tanto che mi convinsi che l’autore meritava il bis. Quindi mi buttai su “Alexandros” che è uno dei miei libri preferiti in assoluto. Questi due assieme al “Tiranno” meritano le cinque stelle nel mio personalissimo cartellino.
Lo stile di Manfredi è un po’ epico, a volte un po’ barocco, è bravissimo a delineare uomini tutti d’un pezzo, che non perdono la propria identità neanche nei rimescolamenti vorticosi cui le vicende storiche li trascinano. Fortemente consigliati a coloro che amano la Storia e i personaggi ad alto tasso di testosterone, meno adatti a chi ama storie minimali, i colpi di scena a ripetizione, scavare di pagina in pagina nella psicologia intima.
Valerio Massimo Manfredi Akropolis ****
Valerio Massimo Manfredi I Greci d'Occidente ***
Valerio Massimo Manfredi Le paludi di Hesperia ***
Valerio Massimo Manfredi I cento cavalieri **
Valerio Massimo Manfredi L'isola dei morti **
Valerio Massimo Manfredi Lo scudo di Talos ****
Valerio Massimo Manfredi Il faraone delle sabbie ***
Valerio Massimo Manfredi L'impero dei draghi ****
Valerio Massimo Manfredi L'armata perduta ***
Valerio Massimo Manfredi Il tiranno *****
Valerio Massimo Manfredi Alexandros *****
Valerio Massimo Manfredi L'ultima legione *****
lunedì 21 marzo 2011
La matematica è un'opinione
La giornalista Angela Frenda scrive un articolo sul settimanale allegato al principale quotidiano italiano e riporta questi dati:
1 – dato numero uno: gli immigrati in Italia sono 5,5 milioni
2 – dato numero due: gli stupri sono commessi per la maggior parte (58%) da italiani
Quindi riassumendo il 9% di popolazione (immigrati) compie il 42% di stupri.
Conseguenza logica della giornalista: non è vero che gli stranieri commettono più stupri degli italiani!
Puntualizziamo: io non uso mai l’argomento criminalità nei ragionamenti che riguardano l’immigrazione.
Prima di tutto perché se non riusciamo a far rispettare la legge è un problema nostro che sta a monte e che va comunque risolto a prescindere dall’immigrazione.
Poi perché non è corretto nei confronti degli immigrati che sono cittadini esemplari.
Infine non uso questo argomento perché esistono ragioni a sufficienza per suggerire all’Italia di adottare restrizioni all’immigrazione, senza dover far leva sulla paura della criminalità.
Detto questo: come è possibile che questa giornalista voglia portare avanti una tesi con dei numeri che dimostrano l’opposto di quello che dice? E’ un mistero.
Oltretutto, a rincarare la dose, non è che nell’analisi propone qualche lettura dei dati che possa spostare a suo favore l’arido dato numerico, anzi aggiunge dei commenti che vanno a smentire ulteriormente le sue affermazioni, scrive infatti che la maggior parte degli stupri compiuti da italiani avviene tra le mura domestiche, cosa che evidentemente accresce la percentuale di “pericolo” all’esterno.
Gli altri articolisti della citata rivista per supportare le proprie altrettanto opinabili convinzioni, evitano di avventurarsi sul terreno scivoloso dei numeri, quindi diamo atto alla nostra giornalista di aver avuto almeno il coraggio di cercare di dimostrare l’indimostrabile, cosa che i suoi colleghi nemmeno fanno, anzi tronfi educano i lettori con la gravità e la sicurezza di uno appena sceso dal Sinai con la bozza sotto braccio scolpita nelle pietra.
Comunque questo nuovo teorema Frenda apre la strada a tutta una serie di applicazioni ed io comincio subito, voglio essere un pioniere della matematica del futuro: allora nel sudest asiatico secondo le stime più prudenti vengono morse da serpenti velenosi 110 mila persone; le altre zone del mondo , assieme contano circa 310 mila attacchi (fonte: www.PLosMedicine.org). Quindi se passeggiate in una jungla vietnamita camminate tranquilli, perché la maggior parte delle vittime dei serpenti sono localizzate da qualche altra parte!
1 – dato numero uno: gli immigrati in Italia sono 5,5 milioni
2 – dato numero due: gli stupri sono commessi per la maggior parte (58%) da italiani
Quindi riassumendo il 9% di popolazione (immigrati) compie il 42% di stupri.
Conseguenza logica della giornalista: non è vero che gli stranieri commettono più stupri degli italiani!
Puntualizziamo: io non uso mai l’argomento criminalità nei ragionamenti che riguardano l’immigrazione.
Prima di tutto perché se non riusciamo a far rispettare la legge è un problema nostro che sta a monte e che va comunque risolto a prescindere dall’immigrazione.
Poi perché non è corretto nei confronti degli immigrati che sono cittadini esemplari.
Infine non uso questo argomento perché esistono ragioni a sufficienza per suggerire all’Italia di adottare restrizioni all’immigrazione, senza dover far leva sulla paura della criminalità.
Detto questo: come è possibile che questa giornalista voglia portare avanti una tesi con dei numeri che dimostrano l’opposto di quello che dice? E’ un mistero.
Oltretutto, a rincarare la dose, non è che nell’analisi propone qualche lettura dei dati che possa spostare a suo favore l’arido dato numerico, anzi aggiunge dei commenti che vanno a smentire ulteriormente le sue affermazioni, scrive infatti che la maggior parte degli stupri compiuti da italiani avviene tra le mura domestiche, cosa che evidentemente accresce la percentuale di “pericolo” all’esterno.
Gli altri articolisti della citata rivista per supportare le proprie altrettanto opinabili convinzioni, evitano di avventurarsi sul terreno scivoloso dei numeri, quindi diamo atto alla nostra giornalista di aver avuto almeno il coraggio di cercare di dimostrare l’indimostrabile, cosa che i suoi colleghi nemmeno fanno, anzi tronfi educano i lettori con la gravità e la sicurezza di uno appena sceso dal Sinai con la bozza sotto braccio scolpita nelle pietra.
Comunque questo nuovo teorema Frenda apre la strada a tutta una serie di applicazioni ed io comincio subito, voglio essere un pioniere della matematica del futuro: allora nel sudest asiatico secondo le stime più prudenti vengono morse da serpenti velenosi 110 mila persone; le altre zone del mondo , assieme contano circa 310 mila attacchi (fonte: www.PLosMedicine.org). Quindi se passeggiate in una jungla vietnamita camminate tranquilli, perché la maggior parte delle vittime dei serpenti sono localizzate da qualche altra parte!
mercoledì 16 marzo 2011
Perchè festeggio l'Unità d'Italia.
Gli Stati Uniti d’America non sono nati in un giorno di luglio di tanti anni fa e la Rivoluzione Francese non si è compiuta con la presa della Bastiglia. O se volete Rome wasn’t built in a day. Nemmeno l’Italia nacque un 17 marzo di 150 anni fa, e non solo perché mancavano Roma, Venezia, Trento e Trieste. Le date sono simboli che servono a ricordarci qualcosa, servono per fermarsi a riflettere. Vi dirò perché questo 17 marzo dovrebbe rappresentare, più di tutte le altre feste civili che ricorrono durante l’anno, qualcosa da ricordare e festeggiare.
E’ qualcosa che non riguarda il fatto di essere monarchici o repubblicani, federalisti, clericali o libertari. Non riguarda il giudizio storico che si può dare del Risorgimento, esula insomma dalle modalità con cui l’Italia ha conseguito la propria unità.
Io cambierei tante cose in Italia, a cominciare dalla Costituzione, fino a leggi, regolamenti, usi e consuetudini! Cambierei lo Stato Italiano, ma lo Stato non è l’Italia. L’Italia siamo noi.
Le nostre capacità, i nostri meriti e le nostre colpe. Siamo la nostra Storia. Una storia che copre ben più di 150 anni. L’Italia c’era già duemila anni fa, sotto l’impero di Augusto, allora era divisa in undici regioni*. Era abitata da diversi popoli, molti di loro imparentati da un’origine comune, altri arrivati da poco nella penisola, altri ancora sarebbero giunti nei secoli successivi. Tutti hanno condiviso un territorio, che da allora tutto il mondo chiamerà Italia e tutti hanno condiviso una storia per molti versi straordinaria, soprattutto per il contributo dato allo sviluppo spirituale, artistico e scientifico del genere umano.
I popoli sono come i pianeti: quelli con una grande massa influenzano quelli più piccoli, ne determinano il moto e le perturbazioni. Gli italiani divisi si sono combattuti, spesso in modo feroce e quelle lotte erano quasi sempre il riflesso di tensioni provenienti dall’esterno, l’Italia insomma era il campo di battaglia di guerre fatte da altri. Anche negli ultimi 150 anni molto sangue è corso tra italiani, del resto le antiche abitudini non si perdono facilmente; però la miriade di staterelli ha saputo dar vita ad un Paese in grado di primeggiare con i migliori in moltissimi campi.
Durante i lunghi secoli di divisone, le migliori menti della Penisola hanno preso coscienza di questo stato di cose e hanno cercato di indicare la via per migliorarle, anche se il contesto faceva apparire l’Italia unita un sogno, una fantasia, un’utopia in un Paese governato da stranieri, depredato e spesso umiliato.
La Patria è la terra dei Padri, la riceviamo in dote, una dote ricca, la riceviamo insieme con la grande responsabilità di migliorarla, amarla e difenderla. Io sono orgoglioso di essere italiano, non perché siamo superiori o migliori degli altri, nessuno è migliore o peggiore degli altri. Ma perché bisogna saper apprezzare i propri pregi per cercare di correggere i propri difetti e bisogna aver amor proprio per rispettare gli altri. Festeggio perché oggi, come allora “Uniti per Dio, Chi vincer ci può?”.
* Liguria, Transpadana, Venezia e Istria, Etruria, Emilia, Umbria, Piceno, Sannio, Lazio e Campania, Apulia e Calabria, Lucania e Bruzio.
lunedì 14 marzo 2011
Errore di Wikipedia. Secondo me.

Visto che il precedente post che riguardava un errore di Wikipedia è piaciuto, ne propongo un altro in cui mi sono imbattuto. Leggendo la scheda del veicolo cingolato da combattimento Dardo, si può vedere che è accreditato da Wikipedia di una torretta da 105 mm. La cosa mi è apparsa inverosimile ed illogica (anche guardando la foto stessa) ed in effetti cercando altrove su internet tutte le fonti indicato una bocca da fuoco da 25 mm.
Ribadisco che non passo il tempo a fare le pulci a Wikipedia, che trovo spesso comodo e pratico, ma che credo sia giusto segnalare gli errori che trovo, ai miei sparuti ma affezionati lettori, anche se probabilmente non perdono il sonno chiedendosi il calibro dei nostri mezzi corazzati. Comunque tanto per ribadire: non credete a tutto quello che si legge in giro....
giovedì 3 marzo 2011
Crisi economica. Quando finirà il videogioco.
Crisi. Crisi. Crisi. Ormai la parola ci accompagna dal 2008 e non ci abbandona ancora. Quando ne usciremo? Ne usciremo? Il ministro Tremonti l’ha definita un videogioco: appena hai ucciso un mostro, passi al livello successivo e ne arriva uno più grosso e cattivo. In realtà non è proprio così, il problema è che i primi mostri non sono stati affatto sconfitti, si è evitato di affrontarli. Innanzi tutto, quindi, c’è già una piccola lezione da trarre: voler rinviare al futuro i costi di una crisi non fa che allungarne e peggiorarne gli effetti. Ci sono stati cattivi investimenti e prestiti che non verranno onorati, sono costi che pagheremo prima o poi, l’unica cosa che possiamo fare è evitare di commettere gli stessi errori che ci hanno portato fino a qui. Ma questo non è stato fatto. Innanzi tutto perché, come dei lemmings verso il baratro, tutti coloro che decidono le sorti economiche dei paesi continuano ad applicare lo stesso fallimentare modello keynesiano e poi perché i politici non vogliono risolvere la situazione. Farlo significherebbe cambiare le regole del gioco, affrontare recessione e deflazione, insolvenze e fallimenti. Le scadenze elettorali non tollerano tutto ciò. L’avessero fatto ne saremmo già fuori, ed invece sono già passati 3 anni inutilmente. Come scrivevo nel 2007 quando c’erano solo alcune nubi a preannunciare la tempesta, non è mai troppo tardi per prendere le misure necessarie. Giudicavo inutili le misure prese a maggio dai leaders europei e purtroppo ho avuto ragione, non mi sembra ci siano oggi motivi per cambiare idea, le prospettive non sono buone, il peggio deve ancora arrivare. Certo il settore privato si adegua, cambia, struttura, ristruttura, taglia, il mondo si evolve, ma gli squilibri e le manipolazioni monetarie, finanziarie, commerciali non sono stati rimossi e continueranno ad appesantire e menomare la creazione di ricchezza.
Per tappare le falle sono intervenuti con i soldi pubblici, ma oramai siamo giunti al limite, anzi qualcuno il limite l’ha superato, quindi gli Stati non si possono indebitare più di così. Neanche la Germania ha altre risorse per soccorrere paesi in difficoltà. E’ rimasta la Cina l’unica ad avere capitali a disposizione, ma mi sembra che non abbia voglia di riempire ulteriormente il suo portafoglio di titoli che potrebbero rivelarsi carta straccia. Piuttosto si sta comprando porti, cantieri, aziende….
Ora si propone l’escamotage degli Eurobond, ma è evidente a tutti che sarebbe solo un modo per far guadagnare un po’ di tempo ai paesi messi peggio, sempre a danno dei risparmiatori, che ricevono tassi da Bund, ma con i soldi che vanno ai PIGS! Ma per pagare il tasso del Bund, non dobbiamo inventare proprio niente: basta non fare deficit, è così semplice, basta che la Grecia e a seguire tutti gli altri spendano solo i soldi che incassano. Impossibile?
Preclusa ormai la strada ad ulteriori salvataggi pubblici, c’erano due opzioni: prendere atto che il sistema non funziona oppure distruggerlo definitivamente inondando ulteriormente di liquidità il mondo. Ovviamente le banche centrali hanno scelto la seconda.
Per il momento non c’è una presa di coscienza della gravità, né tra i politici né soprattutto nella gente, dei danni causati dall’uso dell’inflazione come medicina. Malediciamo i rincari della benzina, del pane, delle bollette, ma non si comprende che tutto questo è il costo che stiamo pagando alla politica demenziale delle banche centrali. Eppure non è difficile da capire: ogni giorno estraiamo 85 milioni di barili di petrolio nel mondo, che restano 85 milioni di barili anche se stampiamo tonnellate di denaro fresco durante la notte! Abbiamo più soldi per comprare, ma il petrolio, il grano, l’acciaio restano quelli che sono, costeranno solo di più impoverendo quelli che non hanno accesso immediato alla nuova liquidità immessa nel sistema.
Per tappare le falle sono intervenuti con i soldi pubblici, ma oramai siamo giunti al limite, anzi qualcuno il limite l’ha superato, quindi gli Stati non si possono indebitare più di così. Neanche la Germania ha altre risorse per soccorrere paesi in difficoltà. E’ rimasta la Cina l’unica ad avere capitali a disposizione, ma mi sembra che non abbia voglia di riempire ulteriormente il suo portafoglio di titoli che potrebbero rivelarsi carta straccia. Piuttosto si sta comprando porti, cantieri, aziende….
Ora si propone l’escamotage degli Eurobond, ma è evidente a tutti che sarebbe solo un modo per far guadagnare un po’ di tempo ai paesi messi peggio, sempre a danno dei risparmiatori, che ricevono tassi da Bund, ma con i soldi che vanno ai PIGS! Ma per pagare il tasso del Bund, non dobbiamo inventare proprio niente: basta non fare deficit, è così semplice, basta che la Grecia e a seguire tutti gli altri spendano solo i soldi che incassano. Impossibile?
Preclusa ormai la strada ad ulteriori salvataggi pubblici, c’erano due opzioni: prendere atto che il sistema non funziona oppure distruggerlo definitivamente inondando ulteriormente di liquidità il mondo. Ovviamente le banche centrali hanno scelto la seconda.
Per il momento non c’è una presa di coscienza della gravità, né tra i politici né soprattutto nella gente, dei danni causati dall’uso dell’inflazione come medicina. Malediciamo i rincari della benzina, del pane, delle bollette, ma non si comprende che tutto questo è il costo che stiamo pagando alla politica demenziale delle banche centrali. Eppure non è difficile da capire: ogni giorno estraiamo 85 milioni di barili di petrolio nel mondo, che restano 85 milioni di barili anche se stampiamo tonnellate di denaro fresco durante la notte! Abbiamo più soldi per comprare, ma il petrolio, il grano, l’acciaio restano quelli che sono, costeranno solo di più impoverendo quelli che non hanno accesso immediato alla nuova liquidità immessa nel sistema.
lunedì 28 febbraio 2011
Gheddafi, un alpino morto e l'ipocrisia imperante.
L’Italia aveva un problema e due strade per risolverlo: la carota o il bastone. Migliaia di persone entravano illegalmente transitando dalla Libia. Con un tipo come Gheddafi non ci sono tanti discorsi da fare, o paghi oppure mandi le Forze Armate. Il Governo italiano ha scelto di pagare. Tutti quelli che si stracciano le vesti e vaneggiano di una politica estera che deve mettere al primo posto i diritti umani sono pronti a prendere il fucile e partire? Perché forse hanno dimenticato che il mondo è pieno di Gheddafi. Sono anni che in Darfur ci sono stupri e massacri, qualcuno di quelli criticano la politica estera italiana ha fatto qualcosa? Si è messo di guardia fuori dai villaggi per sparare ai carnefici mandati dal governo di Khartoum? Qualcuno si è mosso per difendere i monaci trucidati dai tiranni birmani? No, non si è mosso nessuno. Non dico che non bisogna tener presente i diritti umani in politica estera e avrei anche qualche idea in proposito sul come fare, ma se devi ottenere qualcosa da questi regimi o usi la forza o tratti. Raccogliere firme, mandare e-mail, mettere la faccina indignata su facebook serve a poco. Chavez quando è arrivato in Italia è stato accolto con gli applausi, eppure non è certo meglio di Mubarak. Saddam Hussein era molto peggio di Gheddafi eppure quando qualcuno si è preso la briga di mandarlo via a calci tutti gli amanti della Libertà e dei diritti dei popoli erano pronti a salvarlo. Idem per i Talebani. L’Italia sta già facendo la propria parte, egregiamente, in Afghanistan, dove la parte migliore del nostro paese è impegnata a tenere a bada i nemici dei diritti umani e lo sta facendo pagando con il sangue e la vita dei propri ragazzi.
Ricordiamo anche che noi italiani siamo meno dell’1% della popolazione mondiale, con un‘economia in difficoltà e poche risorse da spendere, quindi non possiamo fare “pressioni” economiche, sanzioni o cose simili proprio a nessuno. Posto che gli embarghi non hanno mai fatto cadere nessun dittatore, semmai li rafforzano, perché nella scarsità, chi controlla le poche risorse ha ancora più potere e influenza.
Invocare l’ONU poi è addirittura comico: proprio l’ONU che aveva messo la Libia alla presidenza della Commissione sui Diritti Umani! L’ONU serve solo a pagare lo stipendio a quelli che ci lavorano e i paesi democratici farebbero bene a uscirne.
Gheddafi è un dittatore. In Libia non c’è democrazia, né tantomeno libertà. Come in tutti gli altri paesi arabi. L’Italia non ha certo gestito in modo impeccabile il suo rapporto con Gheddafi, né questi giorni di proteste. Io sostengo che dobbiamo appoggiare coloro che chiedono libertà, in Libia come nel resto del mondo, ma sapendo che questo comporta un prezzo da pagare e che la battaglia è appena cominciata. Infatti le minacce più gravi alla libertà dell’Egitto, della Tunisia, della Libia e degli altri paesi sono ancora di là da venire, la storia dell’Iran ce lo insegna e vedremo allora se i difensori dei diritti umani saranno ancora in prima linea per proteggere dalla forca i manifestanti.
Ricordiamo anche che noi italiani siamo meno dell’1% della popolazione mondiale, con un‘economia in difficoltà e poche risorse da spendere, quindi non possiamo fare “pressioni” economiche, sanzioni o cose simili proprio a nessuno. Posto che gli embarghi non hanno mai fatto cadere nessun dittatore, semmai li rafforzano, perché nella scarsità, chi controlla le poche risorse ha ancora più potere e influenza.
Invocare l’ONU poi è addirittura comico: proprio l’ONU che aveva messo la Libia alla presidenza della Commissione sui Diritti Umani! L’ONU serve solo a pagare lo stipendio a quelli che ci lavorano e i paesi democratici farebbero bene a uscirne.
Gheddafi è un dittatore. In Libia non c’è democrazia, né tantomeno libertà. Come in tutti gli altri paesi arabi. L’Italia non ha certo gestito in modo impeccabile il suo rapporto con Gheddafi, né questi giorni di proteste. Io sostengo che dobbiamo appoggiare coloro che chiedono libertà, in Libia come nel resto del mondo, ma sapendo che questo comporta un prezzo da pagare e che la battaglia è appena cominciata. Infatti le minacce più gravi alla libertà dell’Egitto, della Tunisia, della Libia e degli altri paesi sono ancora di là da venire, la storia dell’Iran ce lo insegna e vedremo allora se i difensori dei diritti umani saranno ancora in prima linea per proteggere dalla forca i manifestanti.
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lunedì 7 febbraio 2011
Mercenari di Ippolito Edmondo Ferrario

Il libro parla delle storie dei mercenari italiani impegnati in Congo nei turbolenti anni successivi all’indipendenza del grande paese africano. Purtroppo il libro rappresenta un’occasione persa perché manca a mio avviso un filo conduttore che riassuma le storie in un quadro unitario. Ci sarebbe voluto un maggiore approfondimento degli eventi, come si sono svolti e come si sono intrecciati con le vicende personali dei protagonisti. Invece alcune ripetizioni e una certa sbrigatività lasciano la voglia insoddisfatta di saperne di più. Sicuramente i libri non si valutano a peso, ma 160 pagine non bastano a dare completezza agli argomenti messi sul tappeto dall’autore: la vicenda storica, le biografie degli intervistati, i personaggi dell’epoca e lo spirito di quei mercenari europei, avrebbero richiesto più spazio e più ricerche. Comunque il libro riesce ad essere avvincente e getta una luce su avvenimenti e sentimenti esclusi dal mainstream giornalistico, cinematografico e televisivo. La parola mercenario porta alla mente un individuo che agisce solo per soldi, che non è inquadrato in truppe regolari e quindi non rispetta alcuna regola nel fare la guerra, un’ultima spiaggia per individui poco raccomandabili, per la feccia insomma. Sulle motivazioni che hanno spinto queste persone a lasciarsi alle spalle una vita tranquilla, forse troppo tranquilla e ad infilarsi in uno dei posti più pericolosi e problematici del mondo, l’autore ci fornisce invece indicazioni che vanno in altre direzioni. Per molti la spinta decisiva è stata la sorte dei caschi blu italiani trucidati e mangiati dalle milizie congolesi, ma si intravede oltre a questo una predisposizione d’animo preesistente, qualcosa che ha a che fare con il cameratismo, le emozioni forti e il non accettare passivamente l’esistente. Sarebbe interessante un secondo volume per un confronto con le esperienze degli italiani arruolatisi volontari nelle guerre jugoslave degli anni novanta e con i contractor della guerra irachena. Dai colloqui dell’autore, il fenomeno si inquadra come una rivolta, l’unica via rimasta per opporsi al corso dei tempi: all’epoca c’era la decolonizzazione, il blocco comunista in espansione e una generale considerazione dell’Europa come di un continente finito e umiliato. Non so se allora i mercenari potessero avere realmente un margine di manovra, uno spazio per idee proprie o probabilmente essere solo un utile strumento nelle mani delle strategie degli Stati. Certo, dal libro, la figura del volontario risulta abbastanza idealizzata e non tutti avranno seguito il codice etico dell’onore indicato da uno dei protagonisti: “se sei una persona onesta che non ruba e che mantiene la parola data, è indifferente che tu sia un panettiere o un mercenario. Il tuo lavoro lo fai bene, con la coscienza a posto. Se sei un pezzo di merda, qualsiasi cosa tu faccia, tale rimarrai”, però aiuta a rimuovere un po’ di pregiudizi, che, come sempre, non aiutano a capire.
giovedì 3 febbraio 2011
Corriere della Sera e indottrinare il popolo
Andare a spulciare gli altri quotidiani è come sparare sulla Croce Rossa ma il Corriere della Sera è considerato il quotidiano più autorevole e più moderato. Probabilmente lo è, infatti è questo il motivo per cui sconforta leggere certi articoli. Titolo: “Barometro della democrazia. Tra i Paesi più evoluti, l'Italia arranca” e fin qui nulla da dire sono il primo a denunciare le imperfezioni della nostra democrazia. Vediamo di cosa di tratta: un indice, elaborato dall’Università di Zurigo e dal “Social Science Research Center” di Berlino, cerca di classificare lo stato di salute delle trenta democrazie più consolidate del mondo. Per la cronaca l’Italia risulta ventiduesima (davanti a Regno Unito e Francia, insomma pensavamo peggio). Ecco il primo commento del Corriere: “Il risultato poco esaltante del Belpaese - dichiara lo studio - è determinato dalla limitata libertà di stampa che ostacola il processo democratico. Nell'Italia di Silvio Berlusconi - continua la ricerca - il declino è evidente.” . Notare che la ricerca considera il decennio dal 1995 al 2005, ma soprattutto che il responsabile della ricerca intervistato da der Spiegel dice testualmente: “(the survey) is designed to go deeper than whether a country holds free and fair elections, but not to go deep into individual governmental policies." Quindi ricapitolando: il giornalista del Corriere non si sente offeso dal fatto di essere considerato “non libero” ed è pronto ad accusare Berlusconi (anche di questo… non c’è già abbastanza carne al fuoco?) nonostante il fatto che gli autori stessi della ricerca dicano che non hanno considerato le politiche governative! Ma questo è il meno, subito dopo commentando il fatto che il Belgio risulta terzo in Europa, il giornalista aggiunge: “Probabilmente se lo studio analizzasse l'anno in corso, difficilmente Bruxelles, che da oltre sette mesi è senza governo, riuscirebbe a ottenere una posizione così prestigiosa.” Non lo sfiora l’idea che una democrazia può tranquillamente vivere anche senza Governo in carica, che un Paese è fatto dai milioni di persone che si alzano, lavorano e che un paese è fortunato quando i Governi si limitano a non fare danni ed a spolpare il meno possibile i contribuenti. Se i nostri politici fossero stati a casa (pagati si intende) per sette mesi ogni legislatura, saremmo tutti più ricchi.
Il giornalista riporta invece senza aver nulla da eccepire alcuni criteri usati per elaborare l’indice, sentite qua sull’Inghilterra: “l'Inghilterra, sebbene sia considerata la madre di tutti i parlamenti, è penalizzata da un sistema elettorale che potrebbe alterare il responso della volontà popolare” cioè in pratica a questi studiosi non piace il collegio maggioritario uninominale e allora gli affibbiano un brutto voto. Ancora sull’Inghilterra penalizzata da “da un sistema dei media troppo legato agli interessi privati”! Urca, ma come hanno fatto a dimostrare che negli altri paesi i media sono slegati da ogni interesse privato?
Bella anche questa: “La Francia invece è in fondo alla classifica per il numero limitato di partiti politici presenti in Parlamento” quindi l’equazione è: più partiti = più democrazia, allora l’Italia può rimontare quando vuole, i partiti in Parlamento aumentano da un giorno all’altro!
Il bello è che non intendo contestare i risultati dello studio. I paesi del nord Europa primeggiano. Non dico di no, anche se con qualche riserva sui reati di opinione e sul controllo ossessivo che su alcuni aspetti tendono ad avere sull’organizzazione della vita dei propri cittadini. Non contesto nemmeno il fatto che l’informazione italiano non è abbastanza libera, infatti idee come quelle che leggete nel mio blog, non le trovate sui giornali! E’ che si cerca sempre di inculcare nella mente dei lettori un unico modello di democrazia, fatto di più Stato, più politicamente corretto, più pensiero unico, mentre la democrazia si nutre anche e soprattutto di pluralità di pensiero.
Il giornalista riporta invece senza aver nulla da eccepire alcuni criteri usati per elaborare l’indice, sentite qua sull’Inghilterra: “l'Inghilterra, sebbene sia considerata la madre di tutti i parlamenti, è penalizzata da un sistema elettorale che potrebbe alterare il responso della volontà popolare” cioè in pratica a questi studiosi non piace il collegio maggioritario uninominale e allora gli affibbiano un brutto voto. Ancora sull’Inghilterra penalizzata da “da un sistema dei media troppo legato agli interessi privati”! Urca, ma come hanno fatto a dimostrare che negli altri paesi i media sono slegati da ogni interesse privato?
Bella anche questa: “La Francia invece è in fondo alla classifica per il numero limitato di partiti politici presenti in Parlamento” quindi l’equazione è: più partiti = più democrazia, allora l’Italia può rimontare quando vuole, i partiti in Parlamento aumentano da un giorno all’altro!
Il bello è che non intendo contestare i risultati dello studio. I paesi del nord Europa primeggiano. Non dico di no, anche se con qualche riserva sui reati di opinione e sul controllo ossessivo che su alcuni aspetti tendono ad avere sull’organizzazione della vita dei propri cittadini. Non contesto nemmeno il fatto che l’informazione italiano non è abbastanza libera, infatti idee come quelle che leggete nel mio blog, non le trovate sui giornali! E’ che si cerca sempre di inculcare nella mente dei lettori un unico modello di democrazia, fatto di più Stato, più politicamente corretto, più pensiero unico, mentre la democrazia si nutre anche e soprattutto di pluralità di pensiero.
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